Da il sussidiario.it
Dopo innumerevoli discussioni, dopo che una Commissione (De Toni) ha lavorato ad hoc per qualche anno, incontrata la condivisione del mondo del lavoro con il placet di Confindustria, vista la saggia decisione del Ministro Gelmini di concludere quanto iniziato dal Ministro Fioroni, rompendo “l’abitudine” dei predecessori di ricominciare sempre da capo, sembra concretizzarsi l’ipotesi che nel 2010 prenderà realmente avvio la riforma dell’Istruzione Tecnica e Professionale.
Il mondo della scuola a sua volta sembra dare fiducia all’ipotesi visto che si sono avviate fin dal corrente anno scolastico sperimentazioni volontarie in diversi Istituti Tecnici sparsi sul territorio nazionale, con grande concentrazione in Lombardia, e Confindustria ha, a sua volta, sponsorizzato l’iniziativa denominata “Club dei
Tutto, quindi, sembra preludere ad una buona partenza, ma siamo sicuri che non si stiano facendo “i conti senza l’oste” come usavano dire i nostri nonni?
L’“oste” in questo caso sono studenti e famiglie. Approfondendo i punti salienti della riforma si notano caratteristiche interessanti ed innovative quali l’uso diffuso della “didattica laboratoriale” o un forte peso all’ottima conoscenza, anche nel lessico tecnico, di una lingua straniera, così come i profili in uscita degli indirizzi previsti sono di alto profilo e rispondenti alle esigenze del mondo del lavoro con il quale questi profili sono stati mediati e concordati, ma a quali studenti tutto questo potrà essere offerto?
L’orientamento può essere il tallone di Achille di questa operazione che tende, più che giustamente, a rivalutare l’Istruzione Tecnica e professionale nel Nostro Paese. Abbiamo spesso sentito, anche da esponenti di rilievo dell’Amministrazione Scolastica, una critica alla modalità di orientamento utilizzata negli ultimi vent’anni al termine della scuola media secondo la quale moltissimi docenti si sono limitati (parole loro) alla massima semplificazione: vai bene a scuola? Fai il liceo, hai qualche problema con lo studio? Iscriviti all’istruzione tecnica, ti piace poco studiare? Vai all’istruzione professionale con tutte le conseguenze negative che questa modalità ha portato.
La conseguenza più grave è l’aver portato l’opinione delle famiglie verso un graduatoria di “dignità culturale” dei diversi percorsi puntando ad iscrivere i propri figli al Liceo non per la loro predisposizione o per il loro interesse, ma per una sorta di immagine sociale cui non rinunciare.
Da qui una domanda e due proposte.
Basterà una pubblicità diffusa sull’utilità dell’Istruzione Tecnica (Confindustria Veneta lo ha già fatto lo scorso anno), aprire le fabbriche per visite guidate durante il periodo degli open day o preparare imprenditori che facciano “promozione” nelle scuole? A mio avviso può essere utile per ottenere un incremento di iscritti, poco per una rivalutazione dei percorsi.
Prima proposta: puntare sull’aggiornamento dei docenti “formatori” che saranno impegnati nel difficile compito dell’orientamento nei prossimi anni affinché siano forti indicatori predisposizione, interessi e potenzialità dei singoli studenti.
Seconda proposta: mi sono chiesto: cosa deve offrire l’Istruzione Tecnica per convincere uno studente (e la sua famiglia) che termina con un’ottima valutazione gli studi della secondaria di primo grado perché ne sia attratto e decida di iscriversi? Oggi la famiglia chiede soprattutto che il figlio venga inserito in una classe il cui livello medio sia buono, nella quale i docenti non siano costretti ad abbassare i livelli culturali per aiutare la maggioranza in difficoltà, in cui la spinta ad ottenere risultati di qualità sia buona. Da qui, vista la linea di indirizzo del Ministro Gelmini che punta sul merito e sulla qualità degli apprendimenti, sarebbe “scandaloso” pensare che ogni Istituto Tecnico avesse al suo interno una o più sezioni il cui accesso sarebbe permesso solo a studenti con buoni risultati ottenuti nella scuola media e che avessero superato un test di ingresso che ne valuti conoscenze di base, potenzialità e predisposizione? Potrebbero essere “sezioni traino” verso una nuova istruzione tecnica di qualità nelle quali poter sperimentare con successo quanto propone la riforma e raggiungere gli obiettivi previsti dai profili in uscita.
È una provocazione? Sì, ma ritengo che la rivalutazione “sociale” dell’Istruzione Tecnica non può che partire dalla qualità potenziale degli studenti che la frequentano.
NORMATIVA RECENTE
(13/11/2009) |
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“Mediashow olimpiade della multimedialità” Si terrà dal 26 al 28 marzo 2010 |
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Graduatorie ad esaurimento e d'istituto Compatibilità tra corsi universitari: chiarimenti per la valutazione ai fini dell'iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento e d'istituto (Nota prot.n. 17188 del 13 novembre 2009) |
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Programmazione settimanale dal 15 al 21 novembre 2009 |
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Premio "Andrea per la qualità della scuola" Promossa (Nota prot.n. 5513 dell'11 novembre 2009) |
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Disponibile il testo dell'accordo tra Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e “Democrazia nelle Regole”, Associazione di Promozione Sociale |
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Notifica per pubblici proclami Disposta dal TAR Lazio, con Ordinanze nn. 261/2009, 228/2009, 233/2009, 232/2009, 262/2009, 231/2009, 230/2009, 229/2009 e 263/2009 la pubblicazione dei testi integrali dei motivi aggiunti nei ricorsi nn. 5373/09, 5374/09, 5375/09, 5376/09, 5377/09, 5378/09, 5379/09, 5380/09 e 5381/09 |
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Notifica per pubblici proclami Disposta dal TAR Lazio, con Ordinanze nn. 264/2009, 266/2009, 267/2009, 268/2009, 270/2009 e 271/2009 la pubblicazione dei testi integrali dei motivi aggiunti nei ricorsi nn. 4570/09, 4574/09, 4571/09, 4569/09, 4572/09 e 4573/09 |
(12/11/2009) |
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Brindisi, dal 25 al 28 novembre 2009, le finali nazionali di tennis per le scuole secondarie di II grado. Le iscrizioni entro il 20 novembre 2009 (Nota prot.n. 5562 del 12 novembre 2009) |
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"Promuovere la mobilità dei giovani per l’apprendimento" Consultazione pubblica promossa dalla Commissione europea per aprire un dibattito su come offrire ai giovani le migliori opportunità per trascorrere in un altro paese un periodo di studio e di formazione. E’ possibile partecipare all’iniziativa fino al 15 dicembre 2009 (Avviso dell’11 novembre 2009) |
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"I Giusti, il totalitarismo e la coscienza europea" Prorogato al 28 novembre 2009 il termine di scadenza per le iscrizioni al Concorso (Prot. n. 11266 del 5 novembre 2009) |
(11/11/2009) |
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Convegno nazionale di studi promosso dall’Università |
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On line il testo dell’accordo definito dalla Conferenza unificata Stato-Regioni e Autonomie locali del 29 ottobre scorso – Definiti i criteri per l’attivazione del servizio educativo nell’a.s. 2009/2010 (D.D.G. n.9 dell’11 novembre 2009) (Nota prot.n. 11467 dell’11 novembre 2009) |
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Notifica per pubblici proclami Disposta dal TAR Lazio, con Ordinanza n. 269/2009, la pubblicazione dei testi integrali dei motivi aggiunti nei ricorsi n. 5081/09 |
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Attività di Educazione Fisica, Motoria e Sportiva Linee guida sulla riorganizzazione delle attività di educazione fisica e sportiva nelle scuole secondarie di I e II grado: ulteriori indicazioni operative (Nota prot.n. 5510 del 10 novembre 2009) |
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Gara internazionale di greco antico Bandita |
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Notifica per pubblici proclami Disposta dal TAR Lazio, con Ordinanze nn. 244/2009, 245/2009, 246/2009, 247/2009, 248/2009, 249/2009, 250/2009, 251/2009, 252/2009, 253/2009, 254/2009, 255/2009, 257/2009, 258/2009, 259/2009 e 260/2009, la pubblicazione dei testi integrali dei motivi aggiunti nei ricorsi nn. 5069/09, 5070/09, 5072/09, 5073/09, 5074/09, 5075/09, 4340/09, 4341/09, 4342/09, 5068/09, 5049/09, 5065/09, 5044/09, 5046/09, 5047/09, 3737/09 |
(10/11/2009) |
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Progetto di formazione sulla navigazione sicura degli adolescenti sul web: proclamati i vincitori del concorso "Racconta il web" (Nota prot.n. 3152 del 10 novembre 2009) |
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Il concorso propone a tutte le scuole che hanno aderito al progetto “Scuola Web Ambiente” di realizzare un’inchiesta giornalistica su una tematica ambientale che interessa il proprio territorio (Nota prot.n. 5460 del 6 novembre 2009) |
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Rinviata ai giorni 15-16 e 17 aprile 2010 la seconda edizione della competizione nazionale di greco. (Nota prot.n. 11391 del 6 novembre 2009) |
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Seconda edizione della competizione nazionale rivolta agli studenti dei licei classici. Le domande di partecipazione dovranno pervenire entro il 28 febbraio 2010 (Nota prot. n.11393 del 10 novembre 2009) |
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Nell’ambito del progetto “Neda Kairos” - I giovani e la democrazia - una iniziativa rivolta agli Istituti di Istruzione Superiore. Entro il 7 dicembre 2009 l’invio delle schede di adesione |
(09/11/2009) |
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In occasione della VI edizione del Premio, promosso il concorso “Fermiamo la corruzione” rivolto alle scuole di ogni ordine e grado. Entro il 30 gennaio 2010 l’invio dei lavori (Nota prot.n. 5457 del 6 novembre 2009) |
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Quarta edizione del Concorso Nazionale rivolto agli studenti della scuola secondaria di II grado. L’invio dei lavori entro il 30 aprile 2010 (Nota prot.n. 5458 del 6 novembre 2009) |
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Scuola dell’Infanzia e Primo Ciclo di Istruzione Registrato alla Corte dei Conti il 15 ottobre 2009 – Reg. 6, Foglio 123 l’Atto di indirizzo del Ministro Mariastella Gelmini recante i criteri generali necessari ad armonizzare gli assetti pedagogici, didattici ed organizzativi con gli obiettivi previsti dal regolamento emanato con D.P.R. del 20 marzo 2009 n. 89. (Nota prot.n. 11320 del 9 novembre 2009) |
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Anagrafe Nazionale Alunni – a.s. 2009/2010 Prorogate al 20 novembre 2009 le operazioni di aggiornamento dell’anagrafe da parte delle istituzioni scolastiche (Nota prot.n. 3137 del 9 novembre 2009) |
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“La salute del cuore è anche un gioco da ragazzi” - Campagna promossa dalla Società Italiana di Cardiologia e dalla Fondazione Cuore e Circolazione ONLUS per sensibilizzare i giovani al tema della prevenzione dei problemi cardiaci |
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Elezioni RSU - Comparto Scuola Indicazioni in merito alle elezioni per il rinnovo delle RSU |
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Notifica per pubblici proclami Disposta dal TAR Lazio, con Ordinanze nn. 221/2009, 222/2009 e 223/2009 la pubblicazione dei testi integrali dei motivi aggiunti nei ricorsi nn. 4944/09, 4943/09 e 4942/09 |
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Competizioni di informatica – Olimpiadi di Problem Solving Prorogato al 30 novembre 2009 il termine di scadenza per le iscrizioni alla competizione (Nota prot.n. 11317 del 6 novembre 2009) |
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Avviso di disponibilità di posto di funzione dirigenziale non generale presso (Avviso del 9 novembre 2009) |
(06/11/2009) |
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Personale Amministrativo - Reclutamento Concorso pubblico, per esami, su base circoscrizionale, a 230 posti, per l’accesso al profilo professionale di funzionario amministrativo/giuridico, legale e contabile, area C, p.e. C1, del ruolo del Ministero della Pubblica Istruzione, per gli uffici dell’Amministrazione centrale e periferica: elenco dei candidati ammessi a sostenere la prova orale – Ambito 01 Amministrazione Centrale |
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Indicazioni in merito al conferimento degli incarichi dirigenziali non generali a tempo determinato, ai sensi dei commi 5-bis e 6 dell’art. 19 del D.Lgs n. 165/01 (Nota prot.n. 1414 del 4 novembre 2009) |
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Programmazione settimanale dall’8 al 14 novembre 2009 (Avviso del 6 novembre 2009) |
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ABCD – Salone Italiano dell’Educazione Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca partecipa alla sesta edizione della manifestazione che si svolgerà a Genova dall’11 al 13 novembre 2009 |
(05/11/2009) |
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Nona edizione del concorso rivolto agli studenti delle ultime tre classi dei licei. Scade il 31 gennaio 2010 il termine per la presentazione delle domande di partecipazione |
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MIUR - Conferimento incarichi dirigenziali non generali D.Lgs 165/2001, art. 19 commi 5-bis e 6 - Decreto applicabile immediatamente agli Uffici dell’Amministrazione Centrale, per i quali entra in vigore il 5 novembre 2009 il D.M. 27 luglio 2009 contenente l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale dell’Amministrazione Centrale. Per gli Uffici Scolastici Regionali il D.M. sarà applicabile dalla data di entrata in vigore dei relativi DD.MM. di riorganizzazione degli stessi, in corso di emanazione (D.M. 3 novembre 2009) |
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Assegnati i fondi ai Comuni interessati, relativamente agli oneri dovuti dalle istituzioni scolastiche statali, per il pagamento della tassa relativa al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi e urbani (Avviso del 30 ottobre 2009) |
Nota 4 novembre 2009, prot. n. prot.n. 1414
Riorganizzazione del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca
Decreto Ministeriale 3 novembre 2009
D.Lgs 165/2001, art. 19 commi 5-bis e 6 - Decreto applicabile immediatamente agli Uffici dell’Amministrazione Centrale, per i quali entra in vigore il 5 novembre 2009 il D.M. 27 luglio 2009 contenente l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale dell’Amministrazione Centrale
Nota 3 novembre 2009, Prot. n. 5399
"Festa dell'Unità Nazionale" e "Giornata delle Forze Armate" - 4 novembre 2009
Nota 3 novembre 2009, MPIAOODGOS prot. n.11179/R.U./U
XXIV Olimpiade Italiana di Fisica: a.s. 2009-10
Nota 3 novembre 2009, Prot. N. MPIAOODGOS 11182
Olimpiadi delle Scienze Naturali: a.s. 2009-10
Nota 3 novembre 2009, Prot. AOODGSPSI n. 3052
Gestione Utenze - profilatura utenti non statali
Nota 2 novembre 2009, Prot. N. MPIAOODGOSN 11159
Concorso Nazionale TEATRO - SCUOLA "GRIFO D’ORO" - IX Edizione
Nota 2 novembre 2009, Prot. AOODGOS n. 11132
Bando di Concorso "L'Italiano tra Arte, Scienza e Tecnologia" Anno Scolastico 2009/2010 – Rettifica dati
Nota 2 novembre 2009, Prot. N. MPIAOODGOS 11158
Maratona Nazionale di Matematica " Premio Fanelli". XIII Edizione
COMUNICATI
13.11.09
13.11.09
Scuola Web Ambiente - Concorso “007 missione ambiente” - scadenza 10/04/2010
13.11.09
La chimica....siamo noi- Parma 2010 – 23 e 24 aprile 2010 (pdf, 20 kb)
13.11.09
Spostamento data - Lezione magistrale “Inferno, Purgatorio e Paradiso per Dante” - Università Vita-Salute San Raffaele, Facoltà di Filosofia - 28 aprile 2010 Teatro Franco Parenti (pdf, 16 kb)
13.11.09
Seminario regionale “Dire e fare le immagini a scuola - il trattamento digitale delle immagini nell’esperienza didattica” - 2° comunicazione
12.11.09
Concorso “Premio Testimone di Pace”
12.11.09
Premio Libero Grassi – Bando di Concorso “Fermiamo la corruzione”
11.11.09
Concorso nazionale “Melting-Pot ”
10.11.09
Teatro in inglese per gli studenti delle scuole superiori di Milano e provincia
10.11.09
10.11.09
10.11.09
Università Bocconi - Giornate di Orientamento - venerdì 13 e sabato 14 novembre 2009, dalle ore 8.30 alle ore 14.30, presso il nuovo edificio di via Röntgen
10.11.09
“Competizioni di informatica- Olimpiadi di Problem Solving I ciclo”- Proroga iscrizione al 30 novembre 2009
10.11.09
“Leggere è il cibo della mente. Passaparola”. Concorso per scuole statali e paritarie del primo ciclo: “Il Miglior Giornalino” e “Inventiamo uno spot pubblicitario”. (pdf, 27 kb) Scadenza 30 dicembre
10.11.09
Incontro informativo nell’ambito del programma Comenius - Formazione in servizio
09.11.09
Concorso Campiello Giovani 2010 – XV edizione– scadenza 9 gennaio 2010
06.11.09
Eventi della Settimana UNESCO DESS 2009: Città e Cittadinanza
06.11.09
05.11.09
Ambientiamoci a scuola – Fondazione Sorella Natura (pdf, 15 kb)
05.11.09
Sezioni primavera a.s. 2009/2010 – Accordo in Conferenza unificata
04.11.09
04.11.09
Nanotecnologie e nuovi materiali: realtà e prospettive. Seminario per docenti (Milano, 25 novembre 2009 - Università degli Studi Milano-Bicocca)
02.11.09
Concorso “I colori della vita” – V edizione pdf, 15 kb
02.11.09
Concorso in lingua francese “Vivere di periferia”
02.11.09
Olimpiadi di informatica nazionali ed internazionali- Edizione 2010-2011 Invito alla partecipazione
02.11.09
Permessi per il diritto allo studio comparto scuola; trasmissione CIR
da tuttoscuola.com
Docenti di diritto e economia chiedono rinvio della riforma
Una nuova richiesta di rinvio di un anno della riforma dei licei, dei tecnici e dei professionali è stata avanzata ieri dal Coordinamento nazionale dei docenti di diritto e economia. La richiesta di aggiunge a quella già fatta pervenire dall'assessore toscano all'istruzione Gianfranco Simoncini al ministro omologo Mariastella Gelmini.
Per i docenti, il rinvio è motivato "dall'esigenza primaria dell'intera comunità scolastica di acquisire ogni elemento utile che consenta alle famiglie e alle istituzioni scolastiche di effettuare scelte non affrettate ma consapevoli e produttive". Il Coordinamento auspica che "tutti gli altri assessori regionali si associno alla richiesta di rinvio".
Secondo il Coordinamento, è necessario che questa "pausa di riflessione venga utilizzata anche per rivedere la scelta di privare gli studenti italiani, diversamente da quanto avviene nel resto d'Europa, dello studio del diritto e dell'economia".
Da Orizzonte scuola
Intervista a Max Bruschi
29 ottobre 2009 - red
Oggi 29 ottobre
1) Uno degli argomenti più seguiti in questi ultimi giorni è stato lo scontro tra il ministro Gelmini e il presidente della Conferenza delle regioni, Vasco Errani , i quali si sono rimbalzati la responsabilità dello stallo dei procedimenti di riforma. Potrebbe chiarire a che punto è l'iter della riforma delle scuole secondarie superiori?
Mi sembra che la situazione si sia, oggi, sbloccata. Ha prevalso la regola aurea del buonsenso. Ci tengo però a sottolineare che la fase di stallo non riguardava il ministro Gelmini, quanto un braccio di ferro tra Conferenza e Governo su altri temi, quali l'allocazione di risorse sulla Sanità. Spero
2) Quale risposta dare ai Dirigenti Scolastici che in questi giorni devono predisporre le attività di orientamento in entrata?
Una prima risposta è data dallo slittamento del termine delle preiscrizioni al 27 febbraio. Grazie al pieno sostegno del Ministro, ho concordato con la struttura ministeriale l'opportunità di dare alle scuole, formalmente, la nuova data il prima possibile, in modo da tranquillizzare autonomie scolastiche, famiglie, studenti. Come ben sapete, l'iter di consultazione e la necessità di affinare i regolamenti ha bisogno di tempi serrati, non certo di fretta. E il mondo della scuola ha la necessità di avere in tempo reale tutti gli elementi di certezza che siamo in grado di offrire, per evitare che ci si affidi, in mancanza di indicazioni chiare, alle voci e alle interpretazioni.
Sull'orientamento, "di massima" fanno fede i regolamenti approvati in prima lettura, alcuni dei quali saranno certo perfezionati, ma senza grandi stravolgimenti nei quadri orari.
Abbiamo iniziato a lavorare sul parere del CNPI, del quale sono estremamente soddisfatto e che giudico in maniera positiva, nonostante alcuni, strumentalmente, abbiano parlato di "bocciatura" del regolamento. Così non è, e abbiamo già concordato quasi tutti i punti di dubbio col relatore. Attendiamo inoltre il parere della Conferenza e delle commissioni parlamentari, oltre ai frutti del dibattito del mondo della scuola e della pubblica opinione.
Sui quadri orari e sull'orientamento, occorre inoltre tener conto che la quota di autonomia del 20% - 30% dovrebbe essere, per la prima volta dal 1999, effettivamente fruibile. Certo, le scuole dovranno compiere delle scelte, identificare il loro profilo, programmare il futuro. Ma sono certo che i collegi docenti e i dirigenti scolastici sapranno operare al meglio.
3) I docenti di alcune discipline mostrano preoccupazione per l'impianto dei nuovi licei che a loro dire presenta evidenti carenze.
Abbiamo tenuto saldo un vincolo che rappresenta una precisa scelta culturale: diminuire il tempo scuola liceale, perché rappresentava un peso insostenibile per gli studenti, che devono avere il tempo anche di studiare e approfondire per lasciar sedimentare quanto appreso. E' un modello di studio intensivo che rappresenta il ritorno a un passato in cui i risultati di apprendimento erano decisamente superiori rispetto al presente. La logica dell'infarinatura è il contrario del buon senso e della buona scuola, magari è in grado di dare soddisfazione a micro classi di concorso, certo non all'obiettivo della migliore preparazione degli studenti.
4) Ad es. quale sarà il reale impianto del nuovo liceo di scienze umane? Potrebbero verosimilmente essere accolte le richieste dei docenti della classe 36A volte a:
1) reinserire le scienze umane nel biennio
2) incrementare, sia nel liceo delle scienze umane tradizionale sia nell'opzione economico-sociale, le ore dedicate alle discipline di indirizzo (scienze umane e sociali)
3) associare l'insegnamento di filosofia a quello di storia della pedagogia (nel liceo delle scienze umane) o a quello di scienze sociali (nell'opzione economico-sociale), affidandoli, come è sempre accaduto fino ad ora, al medesimo docente
4) reintrodurre nei programmi del triennio del liceo delle scienze umane lo studio sistematico di psicologia e sociologia
Il liceo delle scienze umane e la relativa piegatura economico sociale è, in effetti, il percorso che richiede, tra tutti, i maggiori interventi. E' importante capirne la storia, dall'eredità dei vecchi percorsi magistrali alle varie sperimentazioni. Dobbiamo guardare al futuro e a cosa chiediamo a questo percorso, piuttosto che al passato. Peraltro, nel corso degli anni, proprio in questi percorsi le scuole sono maggiormente intervenute sui profili, innestando percorsi su percorsi, di tipo musicale, comunicativo... segno forse di una insoddisfacente resa del "percorso base".
Una migliore definizione dei profili in uscita e dei quadri orari, oltre che delle classi di concorso, sarà indubbiamente possibile. Nella cabina di regia sono presenti il professor Giovannetti e il preside Azzollini, alla guida di due tra le migliori esperienze in questo campo, e siamo in contatto costante, per quanto riguarda la piegatura economico sociale, col prof. Castrovilli e col prof. Zamagni. Ma, al di là dell'orario base che scaturirà dal dibattito, non mi stancherò mai di ricordare come, attraverso le quote di flessibilità, ciascuna istituzione scolastica potrà operare per valorizzare le proprie specificità, aumentare o diminuire le ore delle singole discipline e introdurne di ulteriori attraverso il repertorio.
5) Altrettanto preoccupati appaiono i docenti di diritto ed economia che dal sito www.docentidiritto.it lanciano un appello per la salvaguardia della disciplina all'interno dei nuovi quadri orario.
Diritto ed economia entra a pieno titolo nel novero delle discipline attivabili dalle singole istituzioni scolastiche e hanno il loro posto "pleno iure" nel percorso economico sociale del liceo delle scienze umane.
6) Arrivano segnalazioni anche da parte dei docenti della classe 7/A "Arte della fotografia e della grafica pubblicitaria", i quali chiedono che alla nuova classe A-03 (Audiovisivo) dove è confluita la 7/A sia restituito, tra gli indirizzi di studio possibili per l'insegnamento, l' ISTITUTO PROFESSIONALE settore industria artigianato, (oggi grafico pubblicitario e industriale) oltre che al Liceo Artistico ad indirizzo Audiovisivo
Il provvedimento sulle classi di concorso è anch'esso in via di affinamento. Si tratta comunque di un provvedimento tampone, che dovrà essere rivisto una volta approvata la riforma dei cicli anche alla luce della nuova formazione iniziale dei docenti. Ho girato subito questa segnalazione, assieme ad altre, a chi se ne sta specificamente occupando.
Resta una notazione di carattere generale: le classi di abilitazione nuove, a mio parere, dovranno privilegiare le competenze effettive piuttosto che logiche di impianto sindacale. Altrimenti rischiamo effetti grotteschi: spedire in cattedra docenti che insegnano discipline senza averne la preparazione specifica. Penso che il nuovo sistema di abilitazione, fondato su specifiche lauree magistrali, possa aiutarci a dare una sterzata per il futuro, prevedendo comunque i migliori accorgimenti per "esaurire" senza traumi tutte le classi attuali.
7) Per quanto riguarda lo studio del latino è stata presentata una interrogazione al Consiglio Europeo della parlamentare europea Cristiana Muscardini e presentato un documento in cui si chiede che lo studio della Lingua Latina, in qualche misura, andrebbe introdotto almeno in tutte le scuole che si fregiano del titolo di "Liceo" e, in particolare, nel Liceo Scientifico.
Lo studio obbligatorio della lingua latina è una specificità tutta italiana che ho inteso preservare in quasi tutti i percorsi. Tanto è vero che mi è stata fatta l'accusa opposta, cioè di aver messo il latino anche nel caffè... Resta sempre la possibilità di attivare le cattedre per le istituzioni scolastiche che lo desiderano. Soprattutto mi sembra importante preservare, nella formazione liceale, lo studio comunque della nostra classicità, a prescindere dall'apprendimento della lingua latina, dando una coloratuta "ginnasiale" al primo biennio dei percorsi, che devono assolvere contemporaneamente ai contenuti dell'obbligo di istruzione. Penso soprattutto a materie quali la storia, la letteratura, la storia dell'arte. Su questo stiamo ragionando assieme al mondo della scuola.
da tuttoscuola.com
I benefici del decreto precari estesi anche all'a.s. 2010/2011?
Il decreto legge sui precari della scuola approvato il 21 ottobre scorso dalla Camera dei deputati è ora al vaglio della commissione Istruzione del Senato, che ha già impostato i tempi di "lavorazione": entro le ore 12 del 4 novembre vanno presentati gli eventuali emendamenti.
Il testo non dovrebbe subire modifiche al Senato, dato che la conversione del decreto in legge deve avvenire entro il 24 novembre, e in caso di modifiche non ci sarebbe molto tempo per un nuovo passaggio alla Camera. Se ci saranno proposte di variazione è verosimile che siano approvati degli Ordini del giorno.
Al Senato il relatore del provvedimento è Francesco Bevilacqua, Pdl, che lo scorso 28 ottobre ha illustrato alla commissione il testo auspicando che la validità dei suoi contenuti (corsia preferenziale per le supplenze per i precari rimasti senza contratto dopo i tagli, possibilità per questi docenti di avere contratti di lavoro con le Regioni di riferimento) sia "estesa anche all'anno scolastico 2010/2011, onde evitare che l'anno prossimo ci si ritrovi esattamente nelle stesse condizioni". Un'indicazione che potrebbe essere oggetto di uno specifico Ordine del giorno. La discussione generale del testo riprenderà il 3 novembre e si concluderà lo stesso giorno. Il 4 si presentano gli emendamenti.
da Torino
Ecco la rivoluzione delle superiori resistono i licei, professionali addio
Rischiano di scomparire i professionali, resistono classici e scientifici
di Stefano Parola
I licei artistici passeranno da
E i professionali? Dati i molti punti interrogativi che li riguardano, il rischio concreto è che chiedano in massa di diventare istituti tecnici. La scuola superiore in Piemonte si trasformerà così. È una mappa ipotetica, tracciata dai tecnici della Regione che hanno studiato gli effetti della riforma del secondo ciclo portata avanti dal ministro Gelmini. Ma in poco o nulla si discosterà da quella reale. Per due motivi.
Il primo è che l´assessore all´Istruzione, Gianna Pentenero, è appena tornata dalla riunione della conferenza Stato-Regioni, in cui ha espresso il suo "niet" alle modifiche che il ministero attuerà sui licei e sugli istituti professionali e il suo sì (con precisazioni) alle novità sugli istituti tecnici. Però Mariastella Gelmini ha ascoltato il parere della conferenza (positivo sui tecnici, negativo su licei e professionali) e ha annunciato che andrà avanti: «Nonostante le nostre richieste di rinvio - conferma Gianna Pentenero - la riforma diventerà effettiva già dal prossimo anno e riguarderà sia le prime che le seconde classi. Una decisione che ci preoccupa molto».
Il secondo motivo lo spiega l´assessore provinciale all´Istruzione, Umberto D´Ottavio, che in questi giorni è alle prese con le richieste delle scuole torinesi: «Il prossimo anno è previsto un ulteriore taglio del personale (si parla di 1.500 posti, ndr) e con una ristrettezza di risorse simile difficilmente i dirigenti scolastici riusciranno a cambiare o aggiungere indirizzi». Quindi le cosiddette confluenze dovrebbero scattare in modo automatico più o meno in tutta la regione. Ma non tutte le autonomie scolastiche rimarranno invariate: a puro titolo esemplificativo, alcuni dei nove agrari potrebbero diventare soltanto degli indirizzi di istituti tecnologici più grandi. Perché la nuova mappa delle scuole dipenderà anche da come le Province dimensioneranno le autonomie, che dal prossimo anno non potranno avere meno di 500 studenti.
Un fine gioco d´incastri, che va completato entro fine anno per consentire poi alle famiglie di scegliere dove iscrivere i figli entro la scadenza del 27 febbraio. Nonostante gli elementi da chiarire siano ancora molti. Il destino dei licei tecnologici, per dirne uno. Ma la cosa che più allarma l´assessore Pentenero è un´altra: «Sugli istituti professionali - dice - regna l´incertezza più totale. Non si capisce se le qualifiche saranno tutte regionali oppure no. E in caso affermativo, con quali e con quanti soldi opereremo. Per questo temo una corsa dei professionali a diventare istituti tecnici. Le conseguenze sarebbero devastanti, perché si tratta delle scuole che raccolgono i ragazzi più in difficoltà e quindi avremmo un serio problema di dispersione scolastica».
Tra tante incertezze, l´assessore Pentenero è però tornata da Roma anche con una notizia positiva: «Anche per il prossimo anno le sezioni Primavera saranno confermate. Il Governo stanzierà per la nostra regione 1,4 milioni di euro, cioè 300 mila in meno. Ma grazie a qualche risparmio riusciremo a garantire lo stesso numero di sezioni».
La sfida riforme
«Merito, impegno e doveri: la scuola sta già cambiando»
Il ministro Mariastella Gelmini a tutto campo: «I prossimi mesi saranno decisivi per il processo di rinnovamento»
Intervista a Mariastella Gelmini di Giovanni Morandi
Quotidiano Nazionale – 2 novembre 2009
Uno dei ministri più giovani della storia della Repubblica, e alla guida di un ministero sotto i riflettori: non c’è uno dei suoi predecessori negli ultimi decenni, a destra e a sinistra, contro il quale gli studenti non siano scesi in piazza. Quando se ne è resa conto: subito o lungo la strada?
«Sono stata consapevole da subito della difficoltà di questo ruolo. Quando il presidente Berlusconi ha scelto me per l’Istruzione sapevo che questo era un ministero ‘pesante’. Nei primi mesi ci sono state molte proteste ma poi gli studenti e gli italiani hanno capito che così non si poteva andare avanti. Questo è un settore complicato. Ma anche quello che ha il più urgente bisogno di riforme».
Ha appena dichiarato guerra ai ‘baroni’ universitari. Riuscirà la riforma da sola a scardinare un sistema di potere così antico e consolidato, o servirà altro?
«La riforma è un provvedimento organico, che riguarda l’intero sistema universitario. Contiene una serie di misure innovative e coraggiose. Ma negli atenei c’è bisogno di cambiare mentalità puntando su responsabilità e merito».
La trasformazione del sistema scolastico che ha inaugurato, quanto tempo crede che impiegherà per andare a regime?
«I provvedimenti sono operativi. Solo la riforma dell’istruzione superiore entrerà in vigore dal prossimo anno scolastico. Per il resto già da quest’anno è tornato nelle classi prime il maestro unico prevalente, le pagelle degli studenti sono già state compilate con i voti numerici al posto dei giudizi, che erano troppo vaghi e confusi. Il
Si avvicinano i 150 anni dell’Unità d’Italia, e
«Certamente. La scuola è l’ambiente che aiuta a crescere e formare i cittadini di domani, consapevoli dei diritti ma soprattutto dei loro doveri. Prima ancora che insegnare le tradizionali discipline di studio i docenti hanno il dovere di trasmettere ai ragazzi i valori contenuti nella nostra Costituzione. Per questo ho deciso di inserire in tutte le scuole di ogni ordine e grado una nuova materia, Cittadinanza e Costituzione, che oltre ai temi dell’educazione civica prevede lo studio dell’educazione ambientale, stradale e alla legalità».
L’Italia è il solo Paese in Europa in cui un giovane laureato ha più difficoltà a trovare lavoro rispetto a un non laureato. La riforma universitaria avrà effetti anche da questo punto di vista?
«Questo è uno dei pilastri della riforma. I giovani non hanno bisogno di una università autoreferenziale, chiusa in se stessa, che moltiplica corsi inutili non spendibili nel mondo del lavoro. Gli atenei devono avere il coraggio di aprirsi alle imprese e al territorio. Solo così il famoso ‘pezzo di carta’ tornerà ad avere un valore sul mercato del lavoro».
‘Meritocrazia’ la sua parola d’ordine. Perchè?
«Dove prevalgono il merito, il talento e l’impegno non c’è spazio per discriminazioni di alcun tipo. Né di genere, né di provenienza sociale».
Lei, giovane e donna, uno dei ministri più fotografati. C’è forte curiosità intorno alla sua immagine. La cosa la infastidisce, le fa piacere, la lascia indifferente, o la considera un ‘male necessario’?
«Non mi piace stare troppo sotto i riflettori e non mi piace la mondanità. Capisco però che un ministro è un personaggio pubblico e le attenzioni dei media sono la naturale conseguenza del ruolo che ricopro».
Cosa pensa degli scandali che negli ultimi mesi hanno condizionato il dibattito politico? Esiste una questione morale, non a sinistra o a destra ma nella politica in generale?
«Settori del giornalismo e della politica continuano a sperare di sconfiggere Berlusconi attraverso il gossip e attaccando la sua vita privata. Queste persone hanno compromesso l’immagine del nostro Paese nel mondo e non hanno ancora capito che gli italiani giudicheranno Berlusconi e questo governo per le tante cose concrete che ha fatto e che farà. Il tentativo di destabilizzare il paese fallirà».
Come si è avvicinata alla politica?
«Mi sono avvicinata alla politica nel giorno in cui Berlusconi è sceso in campo. Nel ‘94 avevo 21 anni e un grande entusiasmo. Avevamo voglia di cambiare questo Paese e così ho iniziato a fare politica nel mio comune. Le idee, ancora oggi, sono le stesse».
Timidi segnali di ripresa dalla crisi. Da bresciana, chi guiderà la risalita della Lombardia: Milano o i distretti imprenditoriali della provincia?
«Sarà tutta
Lei e Milano.
«Ho abitato in zona Loreto. Milano è una città fantastica. Sono nata in campagna ma trovo che questa sia una città al tempo stesso vivibile, sempre diversa e con una buona qualità della vita».
Tra i suoi predecessori all’istruzione c’e Letizia Moratti. Cosa pensa del lavoro che ha fatto? Fosse per lei, la ricandiderebbe per il secondo mandato?
«Sì, ha lavorato benissimo. I risultati del suo lavoro, serio e di lungo periodo, saranno ancora più evidenti nei prossimi anni».
E’ diventata ministro prima di compiere 35 anni. Presto si sposerà. Cosa vuoi fare dopo, e oltre, il ministro?
«Credo che la vita sia più intelligente di noi. Inutile fare programmi. Al momento il mio unico obiettivo è cercare di riformare l’Istruzione in Italia».
«No, al momento mi vedo nel mio ruolo, quello di ministro dell’Istruzione».
da TuttoscuolaFOCUS
1. Superiori. La strada della riforma in discesa/1
Diversi osservatori, fino a qualche giorno fa, erano scettici sulla possibilità che
Innanzitutto c'era una ragione tecnica, derivante dal fatto che l'eccessiva quantità di argomenti all'ordine del giorno (ben 62 di cui 9 tutti relativi all'istruzione) avrebbe probabilmente impedito la trattazione degli argomenti previsti, considerate anche le poche ore a disposizione.
C'era un'altra ragione, più politica, che riguardava un possibile atteggiamento ostruzionistico delle regioni, in maggioranza di centro-sinistra, che avrebbero potuto avere buon gioco nel richiedere tempi congrui per l'approfondimento della materia proposta, pretendendo un rinvio per l'esame dei testi degli schemi di regolamento predisposti dall'Amministrazione.
Tutto questo non è avvenuto. Sui tre schemi di regolamento sulle superiori c'è stata discussione e confronto, e le Regioni non hanno fatto alcun ostruzionismo, assumendo con chiarezza posizioni contrarie o favorevoli e deliberando i pareri (non vincolanti) richiesti.
Entro una settimana, anche le commissioni parlamentari dovranno esprimere il proprio parere (i 30 giorni di tempo previsti dalla legge per pronunciarsi scadono tra pochi giorni). A quel punto mancherà soltanto, prima dell'adozione finale dei regolamenti da parte del Consiglio dei Ministri, il parere del Consiglio di Stato. Parere per il quale non dovrebbero esserci problemi.
Ai primi di dicembre le scuole, a poco meno di tre mesi dal termine delle iscrizioni del prossimo 27 febbraio, fissato in settimana dal Miur, potrebbero disporre dei nuovi regolamenti per la riforma da avviare dal 2010.
2. Superiori. La strada della riforma in discesa/2
Bisogna comunque aspettare la pubblicazione dei regolamenti di riforma delle superiori sulla Gazzetta Ufficiale, ma si può dire che ora, dopo i pareri della Conferenza unificata, le prospettive perché la riforma vada in porto con effetto dal 2010-11 si sono fatte più concrete.
Tuttoscuola, pochi giorni fa, aveva segnalato il rischio dello slittamento, nel caso non vi fosse stata fumata bianca in Conferenza unificata giovedì scorso. Si sarebbero ridotti al minimo i tempi di informazione e preparazione in vista delle iscrizioni. Non sarà così, a quanto sembra, visto l'esito positivo della Conferenza unificata.
Forse anche per queste ragioni, nei giorni scorsi, Gilda degli insegnanti (seguita dal Coordinamento nazionale dei docenti di diritto e economia) ha chiesto il rinvio della riforma, come aveva già proposto qualche giorno prima l'assessore della regione Toscana.
Per completezza di informazione, è bene precisare che i testi dei regolamenti che saranno varati dal Consiglio dei Ministri, con tutta probabilità, tra la fine novembre e i primi di dicembre, avranno bisogno ancora di altre formali approvazioni. Dovranno essere emanati sotto forma di DPR dal Presidente della Repubblica, registrati alla Corte dei Conti per un controllo di legittimità e, infine, potranno essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale per la loro immediata entrata in vigore. Pubblicazione che, verosimilmente, potrà avvenire tra la fine di gennaio e i primi di febbraio.
Per farne conoscere il testo per l'informazione alle famiglie e alle scuole non sarà, però, necessario attendere quel momento formale, anche se è prevedibile che qualcuno, come è già successo l'anno scorso per la riforma del primo ciclo di istruzione, parlerà di iscrizioni non legittime, tentando di disorientare docenti e genitori.
3. Stato-Regioni: riparte la collaborazione
È preferibile dirlo a bassa voce perché le sorprese non finiscono mai. Sembra che il rapporto Stato-Regioni abbia imboccato la strada della collaborazione. L'incontro in Conferenza Unificata di giovedì 28 ottobre sembra aver ricondotto ad una prima dimensione "cooperativa" che Tuttoscuola ha sempre auspicato.
Disco verde sulle sezioni primavera, via libera con modifiche per gli istituti tecnici, parere negativo a maggioranza sui licei e sugli istituti professionali, rinvio per i contratti di solidarietà dei precari e sul dimensionamento scolastico.
Le parti si sono date nuovamente appuntamento il 4 novembre alle ore 17 presso il Ministero sulle questioni indicate nella lettera dello scorso 18 ottobre inviata al ministro Gelmini, con la quale il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha rappresentato "...l'esigenza di definire le procedure di attuazione del titolo V in materia di istruzione... e l'urgenza di una interlocuzione finalizzata...ad affrontare problematiche di pressante attualità, quali in dimensionamento scolastico, la decurtazione del fondo per il diritto allo studio universitario, le questioni aperte in materia di edilizia scolastica".
La questione di fondo, comunque, che va risolta è l'individuazione di una "logica di sistema" che unisca tutti i soggetti istituzionali che operano nel settore educativo per tirarlo fuori dalla crisi che lo attanaglia. Trattasi di una sfida difficile, ma non impossibile.
4. Si sbloccano le sezioni primavera. Ma chi paga per il disservizio?
Non era forse il più importante degli argomenti trattati dalla Conferenza unificata del 29 ottobre, ma era indubbiamente il più atteso da 30 mila famiglie per l'urgenza di applicazione.
Le sezioni primavera, il servizio educativo per bambini di due-tre anni introdotto con la legge finanziaria 2007, sembrava destinato a bloccarsi alle soglie del terzo anno di funzionamento per la mancanza di accordo da parte della Conferenza unificata.
L'accordo ora c'è, sia pure con oltre due mesi di ritardo, ed è stato salutato con soddisfazione dal ministro Gelmini ("Questo ci consente di dare una risposta alle mamme che vogliono inserire i figli nella scuola dell'infanzia") e dal presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani ("Sulle 'sezioni primavera' abbiamo trovato l'accordo anche con l'Anci, quindi c'è stato il via libera").
Il riferimento all'accordo con l'Anci, citato da Errani, sembra far capire che da parte delle rappresentanze dei Comuni potrebbero esserci state divergenze di vedute o nuove richieste che hanno comportato una coda di discussione prima della decisione finale.
Su questo apprezzato servizio che procede con gravi incertezze, di anno in anno, mediante accordi da confermare in Conferenza unificata, rendendo incerta la sua stabilizzazione con "navigazione a vista" che non fa bene sicuramente alla qualità dell'offerta, occorrerà che le parti (Ministeri, Regioni e Comuni) individuino soluzioni per superare la fase congiunturale attuale.
Quest'anno partirà con oltre due mesi di ritardo. Un fatto grave. Qualcuno (o molti) dovrebbe sentirsi responsabile per aver causato un disservizio a decine di migliaia di famiglie, senza che ce ne fosse una ragione, tenuto conto che sulle sezioni primavera c'era l'accordo di tutti. Non è accettabile che alle famiglie venga proposto al momento delle iscrizioni un servizio e che pochi mesi dopo, all'apertura delle scuole, questo servizio non sia disponibile. I veti incrociati e i giochi di potere non possono essere fatti a danno delle famiglie. Ci si dimentica troppo spesso che la politica dovrebbe essere al servizio dei cittadini, e non viceversa.
5. Bersani segretario del PD/1. Un quadro politico in movimento
"Auspico che con Bersani si possa uscire dalla contrapposizione preconcetta, dalla valutazione ideologica. Credo che sia un'occasione per capire se il PD sceglie le riforme oppure la conservazione".
Queste parole, non disinteressate, sono state pronunciate dal ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini in un'intervista rilasciata al quotidiano Il Tempo pochi giorni dopo l'elezione di Pierluigi Bersani a segretario del Partito Democratico, ma valutazioni analoghe si trovano nelle dichiarazioni di altri esponenti politici dell'attuale maggioranza e nelle analisi di non pochi editorialisti e politologi. Esse rendono il senso delle aspettative che si sono create nei confronti del nuovo leader del maggiore partito di opposizione.
Per capire il fondamento di tali aspettative, e ipotizzare quali nuovi scenari potrebbero aprirsi anche per la politica scolastica, occorre fare alcune considerazioni di carattere politico generale. La prima riguarda l'abbandono del modello veltroniano del "partito a vocazione maggioritaria", che aveva portato il PD a rompere con le forze politiche minori della sinistra. Se si andrà verso un sistema elettorale non penalizzante nei confronti delle forze medio-piccole (che sarebbe gradito anche all'UDC) il PD di Bersani potrebbe costruire un sistema di alleanze che vedrebbe il proprio baricentro in un partito più vicino al modello socialdemocratico europeo, aperto sul fronte moderato all'UDC e al nuovo soggetto-progetto annunciato da Francesco Rutelli, e sull'altro fronte a un raggruppamento erede della ex sinistra radicale, che potrebbe essere interessata a rientrare in un progetto politico, abbandonando le pulsioni movimentiste.
In questo disegno potrebbe esserci spazio, ma vincolato a precisi impegni programmatici (sui quali Bersani insiste molto), anche per l'Idv di Di Pietro e i radicali di Pannella. Non si tratterebbe di un nuovo "Ulivo", esposto ai condizionamenti delle sue minoranze, ma di una classica alleanza tra partiti, con un baricentro nel PD e con un programma ben definito.
6. Bersani segretario del PD/2. Novità nella politica scolastica?
Ma chi è Pierluigi Bersani? Certamente non un "uomo nuovo", come per certi aspetti potevano essere considerati personaggi come Ignazio Marino o Debora Serracchiani, ma probabilmente proprio per questo votato dai quasi tre milioni di elettori del PD, che hanno preferito la sua solidità rassicurante all'effervescenza a volte movimentistica di Dario Franceschini.
Un uomo che nel suo cursus honorum, dall'incarico di presidente della regione Emilia-Romagna a quello di parlamentare europeo e di ministro in vari governi, si è distinto per concretezza, capacità realizzative, pragmatismo non disgiunto, anche nei momenti di difficoltà, da un certo distacco ironico teso a ridimensionare, sdrammatizzare, razionalizzare.
Come ministro dello Sviluppo economico nel governo Prodi 2 si è occupato anche di scuola, promuovendo, nell'ambito della legge n. 40 del 2007, il rilancio dell'istruzione tecnica e professionale, la principale modifica ordinamentale apportata alla riforma Moratti dal governo presieduto da Romano Prodi, grande sostenitore - come lo stesso Bersani - del legame tra il rafforzamento dell'istruzione tecnica e lo sviluppo dell'industria manifatturiera. Una linea proseguita dall'attuale ministro Gelmini.
Se Bersani, come il quadro che abbiamo disegnato lascia ritenere, procederà alla ricostruzione di un sistema ampio (ma bilanciato) di alleanze, sulla base di impegni programmatici chiaramente definiti, è probabile che assisteremo al calo delle contrapposizioni frontali antigovernative e a una corrispondente crescita di propositività e disponibilità a trattare su temi concreti da parte dell'opposizione. La politica scolastica potrebbe costituire un terreno privilegiato per valutare la portata di questo passaggio dalla polemica alla politica.
Tuttoscuola – 3 novembre 2009
Ad agosto l'Invalsi aveva diffuso i dati relativi ai primi risultati della prova scritta nazionale inserita nell'esame di licenza media.
Si trattava di dati ricavati dalla rilevazione campionaria condotta dall'Istituto che avevano consentito di ricavare le prime valutazioni sull'andamento della prova, con riferimento agli esiti per italiano (punteggio medio grezzo pari a circa il 67% di quello massimo conseguibile, ovvero 26,8 su 40) e per matematica (punteggio medio grezzo corrispondente a circa il 64% di quello che si poteva ottenere, ovvero 17,2 su 27).
Dai dati emergevano complessivamente prestazioni migliori delle ragazze rispetto ai compagni, ed esiti meno positivi nelle scuole del sud (dopo un correttivo fatto dai ricercatori per annullare prove dubbie).
Il tutto, con ampia documentazione di tabelle comparative, era stato considerato a livello regionale, secondo la media degli esiti delle scuole campione.
Ora ogni scuola può disporre dei propri risultati, classe per classe, prova per prova. Si tratta di un'occasione per una riflessione più attenta sui livelli di apprendimento effettivamente conseguiti, che può trasformarsi in uno strumento di autovalutazione per migliorare le prestazioni e ricercare nuove strategie di apprendimento.
Anche se gli alunni interessati hanno lasciato la scuola per passare agli istituti superiori e non potranno riflettere sui loro errori, gli insegnanti, invece, potranno disporre di un ampio materiale per discutere collegialmente dei livelli conseguiti e di come migliorarli.
Tra qualche mese l'Invalsi potrebbe essere in grado, analogamente, di mettere a disposizione dei docenti della scuola primaria gli esiti delle rilevazione degli apprendimenti condotta nell'anno scolastico 2008-09 per le classi seconde e quarte. L'occasione per una autovalutazione, in questo caso, potrà essere accompagnata anche da interventi operativi sulle nuove classi.
Dichiarazione del ministro Mariastella Gelmini
Gelmini: “Nessuno può toglierci le nostre tradizioni”
Roma, 3 novembre 2009
“La presenza del crocifisso in classe non significa adesione al Cattolicesimo ma è un simbolo della nostra tradizione. La storia d’Italia passa anche attraverso simboli, cancellando i quali si cancella una parte di noi stessi. Nel nostro Paese nessuno vuole imporre la religione cattolica, e tantomeno la si vuole imporre attraverso la presenza del crocifisso. E’ altrettanto vero che nessuno, nemmeno qualche corte europea ideologizzata, riuscirà a cancellare la nostra identità.
La nostra Costituzione inoltre riconosce, giustamente, un valore particolare alla religione cattolica. Non vorrei che alcune norme a cui si rifanno i giudici della Corte di Strasburgo fossero in contrasto con il nostro dettato costituzionale.
Non è eliminando le tradizioni dei singoli paesi che si costruisce un’Europa unita, bisogna anzi valorizzare la storia delle nazioni che la compongono. Per questi motivi, secondo me il crocifisso rappresenta l’Italia e difenderne la presenza nelle scuole significa difendere la nostra tradizione”.
“La presenza del crocifisso in classe non significa adesione al Cattolicesimo ma è un simbolo della nostra tradizione. La storia d’Italia passa anche attraverso simboli, cancellando i quali si cancella una parte di noi stessi. Nel nostro Paese nessuno vuole imporre la religione cattolica, e tantomeno la si vuole imporre attraverso la presenza del crocifisso. E’ altrettanto vero che nessuno, nemmeno qualche corte europea ideologizzata, riuscirà a cancellare la nostra identità.
La nostra Costituzione inoltre riconosce, giustamente, un valore particolare alla religione cattolica. Non vorrei che alcune norme a cui si rifanno i giudici della Corte di Strasburgo fossero in contrasto con il nostro dettato costituzionale.
Non è eliminando le tradizioni dei singoli paesi che si costruisce un’Europa unita, bisogna anzi valorizzare la storia delle nazioni che la compongono. Per questi motivi, secondo me il crocifisso rappresenta l’Italia e difenderne la presenza nelle scuole significa difendere la nostra tradizione”.
3 novembre - da ItaliaOggi
Precari sì, ma con l'anzianità
Pagina a cura di Antimo Di Geronimo
Sì agli aumenti di anzianità per i precari. I docenti precari hanno diritto agli aumenti legati all'anzianità di servizio. È quanto si evince da una sentenza del Tribunale di Treviso emessa il 29 ottobre scorso. La sentenza si aggiunge ad altre di segno analogo, che hanno indotto l'aula della camera ad eliminare la disposizione del decreto salvaprecari, che vietava espressamente gli incrementi retributivi per i precari sulla base della progressione di carriera.
Il provvedimento è attualmente al vaglio del senato (As 1835).
La sentenza
Il caso riguardava un docente precario che aveva lavorato con contratti a tempo determinato per circa 13 anni. L'insegnante aveva presentato ricorso chiedendo l'immissione in ruolo. Facendo riferimento alla disciplina privatistica, che prevede la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato quando i contratti vengono reiterati, l'insegnante aveva chiesto l'immissione in ruolo. E in subordine aveva chiesto il riconoscimento del diritto alla ricostruzione di carriera. E cioè al riconoscimento del diritto all'aumento dello stipendio per l'anzianità maturata. Ma il giudice del lavoro ha accolto solo parzialmente le richieste del ricorrente. In primo luogo, citando la giurisprudenza della Corte costituzionale, ha escluso la possibilità che il rapporto di lavoro nel pubblico impiego possa essere assoggettato al principio di conversione dei rapporti a termine illegittimi in rapporto a tempo indeterminato. Che vale invece solo per il rapporto di lavoro privato. E poi ha stabilito che in luogo della trasformazione, vale il principio del risarcimento del danno da mancata trasformazione. Che ha individuato nella differenza tra lo stipendio a cui avrebbe avuto diritto se il ricorrente fosse stato un docente di ruolo e lo stipendio effettivamente percepito. Il tutto in proporzione a tutte le mensilità di stipendio già incassate nel corso degli anni. In buona sostanza: l'equivalente degli arretrati che seguono normalmente a un provvedimento di ricostruzione di carriera.
Decreto salvaprecari
Sulla questione della ricostruzione di carriera anche ai precari è in atto anche un dibattito parlamentare che ha acceso la speranza degli interessati. Nella prima stesura del decreto salvaprecari, infatti, la ricostruzione per i precari era assolutamente vietata, ma nel corso del dibattito in aula, questa preclusione è stata cancellata. Anche se questo non vuol dire che il governo abbia intenzione di mettere mano al borsellino per aumentare gli stipendi dei supplenti. Nella relazione tecnica che accompagna il provvedimenti, infatti, si precisa che il rapporto di lavoro che s'instaura tra il docente supplente e l'amministrazione scolastica ha caratteristiche del tutto peculiari, tali da giustificare e da rendere necessaria una diversità di trattamento. Che si rende necessaria perchè le supplenze «sono caratterizzate sia dalla precarietà del rapporto, legata all'assenza del titolare, sia dalla mancanza di continuità, in quanto i vari periodi di servizio di supplenza attengono a distinti contratti di lavoro. Di conseguenza», si legge nella relazione, «anche il trattamento economico è legato alla precarietà e alla discontinuità del rapporto del supplente con l'amministrazione e, quindi, legittimamente esso è riferito, per ciascun periodo di supplenza, allo stipendio iniziale del docente di ruolo, non essendo configurabile per i rapporti di lavoro del personale supplente un'effettiva progressione di carriera». A quanto pare, dunque, il governo ha fatto marcia indietro sul divieto alla ricostruzione di carriera. Ma non ha nessuna intenzione di corrispondere gli aumenti di anzianità per legge. La disussione, dunque, si sposta alle aule di tribunale. Ma la strada è tutta in salita. La materia dei diritti retributivi, infatti, rientra nella sfera di cognizione del giudice ordinario. E ciò comporta che ogni singolo interessato, per ottenere il dovuto, dovrà promuovere una singola azione con tutti i costi e le incognite del caso.
da ItaliaOggi
Il pasticciaccio delle nuove classi
di Alessandra Ricciardi
I matematici paventano 5 mila esuberi dei prof di ruolo
È l'ultimo tassello mancante della riforma della scuola avviata con il decreto legge n.112/2008. Quello del raggruppamento delle classi di concorso, che dovrà consentire di avere insegnanti pluriabilitati in grado di sortire un doppio effetto: insegnare su più cattedre, evitando sprechi e duplicazioni, e rispondere alle indicazioni didattiche delle nuove scuole superiori. Ma il regolamento, inviato al consiglio nazionale per la pubblica istruzione per il prescritto parere, presenta alcune incongruenze: come quella della classe di concorso di Matematica (A047) che verrebbe soppressa in quanto tale nei licei per diventare Matematica e Fisica. Anche perché l'insegnamento della Fisica, proprio con la riforma delle superiori, è stato esteso al primo biennio del liceo scientifico, che invece oggi prevedeva la sola Matematica. In questo modo però i prof di liceo abilitati all'insegnamento delle scienze matematiche andrebbero in esubero nel proprio istituto di titolarità. In assenza di adeguate misure transitorie, secondo le prime stime, la situazione di soprannumerarietà potrebbe interessare circa 5 mila insegnanti di ruolo. Le classi separate di Matematica e Fisica resterebbero invece per gli istituti tecnici e professionali. Una differenza che, secondo l'Unione matematici italiani, non può essere motivata da argomentazioni culturali e didattiche.
Sul piede di guerra anche i docenti di Filosofia e psicologia (classe 36/A), che vedrebbero assegnato l'insegnamento della Teoria della comunicazione sia alla loro classe di concorso che a quella di nuova istituzione (A-58): un controsenso che minaccia di generare confusione a fronte di una riforma che invece mira a semplificare e rafforzare classi di concorso omogenee.
Insomma, i fronti per un ripensamento non mancano al ministro dell'istruzione, Mariastella Gelmini. Che intanto, però, può procedere alla riforma delle superiori: la scorsa settimana la conferenza stato-regioni ha promosso la ristrutturazione degli istituti tecnici e professionali mentre ha bocciato quella dei licei. Ma pur sempre ha espresso il suo parere e così nei prossimi giorni le commissioni parlamentari di camera e senato, a cui il regolamento era stato già trasmesso, potranno dire la loro. Entro fine anno, se tutto andrà per il verso giusto,
3 novembre - da Repubblica.it
Strasburgo, no al crocifisso in aula
"Viola la libertà di religione"
STRASBURGO - La presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche costituisce "una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni" e una violazione alla "libertà di religione degli alunni". E' quanto ha stabilito oggi
Il caso era stato sollevato da Soile Lautsi, cittadina italiana originaria della Finlandia, che nel 2002 aveva chiesto all'istituto statale "Vittorino da Feltre" di Abano Terme, in provincia di Padova, frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocefissi dalle aule. A nulla, in precedenza, erano valsi i suoi ricorsi davanti ai tribunali in Italia. Ora i giudici di Strasburgo le hanno dato ragione.
Camera dei Deputati – VII Commissione Istruzione
Nella seduta di mercoledì 4 novembre
Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento concernente la revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei – Governo (Atto n. 132)
Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento concernente norme sul riordino degli istituti tecnici – Governo (Atto n. 133)
Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento concernente norme sul riordino degli istituti professionali – Governo (Atto n. 134)
Dopo la relazione introduttiva del Relatore, Presidente Aprea, il seguito dell’esame è stato rinviato ad altra seduta. In Resoconti Parlamentari riportiamo una sintesi della relazione introduttiva del Presidente Aprea.
Nella medesima seduta sono state svolte alcune audizioni di esperti del settore sulle problematiche connesse all'accoglienza di alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano.
Nella seduta di giovedì 5 novembre si è svolta in Commissione l’audizione informale di rappresentanti di associazioni sindacali della scuola e di associazioni di genitori nell'ambito dell'esame degli schemi di regolamento nn. 132, 133 e
Senato – VII Commissione Istruzione
Nella seduta di martedì 3 novembre
Nella seduta di mercoledì 4 novembre
Nella seduta di giovedì 5 novembre
Parte? Sicuramente partirà!
Editoriale della newsletter dell’Associazione Professionale di docenti DIESSE (Didattica e Innovazione Scolastica)
Newsletter n. 8 – a.s. 2009/10
Il parere della Conferenza Stato Regioni ed Unificata di giovedì 29 scorso sugli schemi di regolamento concernenti il riordino degli istituti tecnici, degli istituti professionali e dei licei rappresenta, di fatto, lo sblocco della riforma della scuola secondaria di II grado. Tra l’altro, nella riunione della medesima Conferenza è stato firmato l’accordo sulle sezioni primavera, in seguito alla convergenza dell’Anci (l’associazione dei Comuni italiani) sul medesimo provvedimento: ciò significa che saranno date ai Comuni le risorse per rendere possibile l’iscrizione alla scuola dell’infanzia dei bambini e delle bambine che compiono i tre anni dopo il 31 gennaio 2010.
Sulla riforma delle superiori è emerso un netto contrasto tra il presidente della Conferenza Errani (“la riforma è stata bocciata dalla maggioranza delle Regioni, fatta eccezione per Lombardia, Molise e Veneto”) e il Ministro Gelmini (“la riforma si farà dal
Di fatto, il giudizio delle Regioni non è vincolante e tuttavia, come abbiamo più volte evidenziato, l’organismo ha un ruolo tutto politico che in questa fase non appare certo destinato a diminuire.
In realtà, le pagelle sui regolamenti Gelmini sono state differenti: sì ai nuovi istituti tecnici, alcuni rilievi sulla istruzione professionale (che il governo ha detto di accettare) e, appunto, niet sui licei. A breve si conosceranno le ragioni della disparità di trattamento.
Appare però obbiettivamente difficile pensare ad una scuola secondaria superiore a più velocità o, peggio ancora, a canali diversamente ritoccati: o tutto o niente.
Questo spiega la determinazione del Ministro che, dopo avere varato la riforma dell’università, intende procedere con l’ultimo livello del II ciclo scolastico. Per queste ragioni ha accelerato la richiesta di parere da parte delle Commissioni Parlamentari (obbligatorio), che tuttavia deve essere preceduto da quello del Consiglio di Stato.
A favore dei tempi previsti dal governo gioca ad ogni modo il favore bipartisan che incontra il riordino degli istituti tecnici che si appresterebbero a divenire l’asse di tipo scientifico e tecnologico della istruzione del Paese.
Ricordiamo che con l’art. 13 del D.L. n. 7 del 2007 (Bersani bis), gli istituti tecnici professionali vennero ricompresi nel sistema dell'istruzione secondaria superiore, dopo essere stati appaltati alle Regioni solo sulla carta (D.Lgs. 17 ottobre 2005, n. 226).
In tal modo si volle restituire a coloro che avrebbero frequentato le predette scuole la pari dignità rispetto ai colleghi dei licei. La scelta di un percorso formativo a carattere tecnico – professionale permetterà di conseguire un diploma di istruzione secondaria superiore.
Piacciono, inoltre, le quote di flessibilità, ferma restando la quota di autonomia del 20% dei curricoli, come possibilità di articolare in opzioni le aree di indirizzo per corrispondere alle esigenze del territorio e ai bisogni formativi espressi dal mondo del lavoro e delle professioni (30% nel secondo biennio e 35% nell’ultimo anno).
Ad esempio si potrebbe prevedere nell'indirizzo “Meccanica, Meccatronica ed Energia” l’opzione “Materie plastiche” (fortemente voluta dagli industriali del varesotto).
Incontra favore, ed è forse questo l’aspetto più preoccupante, se confrontato con il futuro ed eventuale assetto dei licei, la concezione di autonomia scolastica che sottende il regolamento dei tecnici: le opzioni, destinate a fare parte di un elenco nazionale, saranno definite dalle Regioni e non dalle singole scuole che si limiteranno a farne richiesta all’ente locale.
Altro paio di maniche per i licei che, oltre a presentare un profilo asciugato (fatta eccezione per l’artistico e il musicale-coreutico) a 27 ore nel biennio e 30 ore nel triennio (31 nel classico), prevedono esplicitamente una quota di flessibilità nei piani di studio (20% del monte ore complessivo nel primo biennio; 30% nel secondo biennio; 20% nel quinto anno) rimessa alle singole istituzioni scolastiche.
Detto in soldoni, i tecnici ristabiliscono l’egemonia di una cultura scientifico-tecnologica unitaria; i licei perdono la graniticità di gentiliana memoria, e per quanto riguarda i professionali…si vedrà.
Non è poco, e questo spiega resistenze a mal di pancia.
Anzitutto relativi alle nuove classi di concorso, di cui si sa ancora poco, ma che dovrebbero essere agganciate sia il nuovo impianto ordinamentale, sia al nuovo iter della formazione iniziale dei docenti.
In secondo luogo, la riforma comporta restrizioni di cattedre che solo un uso oculato dell’autonomia, delle risorse di istituto e della determinazione di organici funzionali può consentire di non perdere o di utilizzare al meglio.
Insomma, v’è ancora da lavorare, e tanto.
Nel frattempo, la circolare Miur del 26 ottobre specifica che le iscrizioni relative all’anno scolastico 2010-2011 sono fissate al 27 febbraio e che azioni di accompagnamento, anche on line, dei processi di innovazione sono poste sotto la tutela dell’Ansas (ex Indire).
A noi interessa ribadire che l’identità liceale non può essere indebolita a scapito della identità tecnica: ambedue devono trovare un equilibrio sia nella composizione del quadro delle conoscenze (e dei quadri orari), sia nell’utilizzo di un’autonomia degli istituti che si realmente al servizio di chi la scuola la fa a partire da un ideale educativo.
da ILSOLE24ORE.COM
Gelmini: «È il nostro simbolo»
La sentenza della Corte dei diritti dell'Uomo che dice no all'esposizione del crocefisso nella scuola pubblica, fa discutere.
«Nel nostro Paese - commenta il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini nessuno vuole imporre la religione cattolica e tantomeno la si vuole imporre attraverso la presenza del crocifisso. È altrettanto vero che nessuno, nemmeno qualche corte europea ideologizzata, riuscirà a cancellare la nostra identità». Per il ministro «la presenza del crocifisso in classe non significa adesione al Cattolicesimo ma è un simbolo della nostra tradizione. La storia d`Italia continua Gelmini - passa anche attraverso simboli, cancellando i quali si cancella una parte di noi stessi. La nostra Costituzione inoltre riconosce, giustamente, un valore particolare alla religione cattolica. Non vorrei che alcune norme a cui si rifanno i giudici della Corte di Strasburgo fossero in contrasto con il nostro dettato costituzionale». Per Gelmini «non è eliminando le tradizioni dei singoli paesi che si costruisce una Europa unita, bisogna anzi valorizzare la storia delle nazioni che la compongono. Per questi motivi secondo me il crocifisso rappresenta l`Italia e difenderne la presenza nelle scuole significa difendere la nostra tradizione».
«Questo é un duro colpo alla coabitazione europea - commenta il ministro del Welfare Maurizio Sacconi - che non può significare l'eliminazione delle nostre radici». Per Sacconi «la croce non é un simbolo solo per i credenti, é il simbolo del sacrificio riconosciuto anche dai non credenti». Per il ministro «la parete bianca significa cercare di azzerare la nostra identità e
le nostre radici, ma la nostra identità è ancora più importante nel momento in cui giustamente ci apriamo sempre più al confronto anche con culture diverse».
In attesa di conoscere le motivazioni attraverso le quali
«È giusto che il governo presenti ricorso - commenta il ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna - contro la sentenza della Corte europea. Il crocefisso non è soltanto un simbolo religioso, ma testimonia una tradizione millenaria, dei valori condivisi dall'intera societá italiana». Per Carfagna «il concetto di pari opportunitá, quello dell'uguaglianza
tra persone così come tra religioni non deve trasformarsi in una negazione delle nostre radici e della nostra identitá»
Anche il nuovo segretario del Pd Pierlugi Bersani, difende la tradizione del crocefisso in classe. «Penso che in questo delicato campo il buon senso finisce per essere vittima del diritto», dice da Bruxelles. «Penso - ha quindi proseguito - che un'antica tradizione come quella del crocefisso non possa essere offensiva per nessuno».
«Le scomposte reazioni che stanno giungendo da parte di diversi ministri (Gelmini, Zaia) e di molti uomini politici del centrodestra alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo contro la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche sono incredibili e inaccettabili - afferma il segretario del Prc, Paolo Ferrero - È una sentenza di assoluta laicità e di pieno rispetto delle persone e delle tradizioni religiose di tutti. La doppia morale dei politici di centrodestra, cattolici bigotti sul piano pubblico e fin troppo permissiva su quello privato e della vita quotidiana è davvero disgustosa».
Per l'eurodeputato leghista Mario Borghezio, per il quale «questa sentenza conferma peraltro un pericoloso orientamento giurisprudenziale della Corte di Strasburgo, che vuol sovrapporre un 'diritto europeò alle scelte valoriali degli Stati membri, arrivando ora a conculcare il diritto del nostro Paese alle proprie scelte di indirizzo scolastico e culturale. Se questa è l'alba della 'nuova erà del Superstato europeo che si aprirà con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, c'è poco da stare allegri...».
“Si distrugge tutto in nome della laicità”
Gelmini: è un simbolo religioso ma anche la nostra storia “Si distrugge tutto in nome della laicità”
Intervista a Mariastella Gelmini di Flavia Amabile
E ora che
I crocifissi però resteranno alloro posto anche se
«
Ma è anche un simbolo religioso molto preciso, e nelle classi ci sono alunni di religioni diverse.
«E’ certamente un simbolo religioso ma la sua presenza in classe non significa adesione al cattolicesimo, è la nostra storia, la tradizione. Le radici dell’Italia passano anche attraverso simboli, cancellando i quali si cancella una parte di noi stessi. Purtroppo quest’Europa che non valorizza il passato dei Paesi ma annichilisce tutto in nome della laicità desta preoccupazione».
La nostra storia, infatti, è permeata dal cattolicesimo che è una religione che predica l’accoglienza degli altri, anche diversi da noi. Perché allora, ad esempio, non accettare un’ora di religione musulmana o imporre tetti alle classi miste?
«Ma no, la scuola vuole proprio fare il contrario, offrire gli strumenti perché gli alunni stranieri possano integrarsi. Il tetto è proprio questo, evitare che si creino classi-ghetto e quindi chiuse rispetto alla cultura del nostro Paese».
Secondo
«Ma no, non è così. Si è liberi di non frequentare l’ora di religione».
Spesso questo vuol dire essere parcheggiati in aule diverse, restare un’ora intera a non fare nulla, a volte anche senza controlli adeguati.
«Esistono sempre disagi, ma la maggior parte delle scuole si sono attrezzate per l’alternativa all’ora di religione».
«Non credo. Come non risultano turbati gli studenti cattolici di fronte ai simboli di altre religioni. Sono problemi che vengono sollevati soltanto da alcuni genitori ideologizzati».
L’Italia si opporrà, quindi. Come?
«Il governo ha presentato ricorso contro la sentenza. Nessuno, nemmeno qualche corte europea ideologizzata, riuscirà a cancellare la nostra identità».
I giudici di Strasburgo ideologizzati?
«Nel suo complesso la sensazione è che ci sia un preconcetto molto forte nei confronti delle nostre tradizioni, che si tratti di persone connotate ideologicamente in nome del laicismo».
«Stiamo valutando anche questa eventualità con gli uffici legislativi. E’ chiaro che se il ricorso non venisse accolto si aprirebbe un problema serio. E’ anche vero però che la nostra Costituzione riconosce, giustamente, un valore particolare alla religione cattolica. Non vorrei che alcune norme a cui si rifanno i giudici della corte di Strasburgo fossero in contrasto con il nostro dettato costituzionale».
Questo vuoi dire che la sentenza potrebbe essere dichiarata incostituzionale?
«Valuteremo anche questa ipotesi».
Chi svolgerà la valutazione degli istituti? L’ultimo “dilemma” della Gelmini
di Luisa Ribolzi
ilsussidiario.net – 4 novembre 2009
Negli ultimi tempi si sono moltiplicati i richiami all’importanza della valutazione: esiste un apposito ente preposto alla valutazione, l’Invalsi, il cui decollo stenta ad avviarsi, esistono molte proposte, ma in pratica siamo sempre al palo. Tra i motivi addotti per la resistenza, ho trovato spesso il riferimento alla inadeguatezza dei valutatori. Che questa sia una carenza grave del nostro sistema educativo è evidente, tanto che siamo praticamente assenti sia nella ricerca sia nell’accademia, anche se nel nostro sistema esistono da centocinquant’anni gli ispettori scolastici, istituiti dalla legge Casati del 1859. La loro figura, oggi marginale, si è variamente evoluta fino al riconoscimento, con i decreti delegati del 1974, di un ruolo fondamentale per la formazione e l’aggiornamento, la ricerca, la sperimentazione, e infine gli “accertamenti tecnico-didattici”: di fatto, quest’ultima funzione è diventata dominante, ma in modo riduttivo, come un momento punitivo cui ricorrere quando tutte le altre misure erano fallite (e, di solito, i genitori erano in assetto di battaglia).
A poco a poco, il numero degli ispettori è calato fino a circa un terzo dell’organico previsto, e si è diffusa una percezione di inutilità, con la conseguenza paradossale che l’Italia è diventata l’unico paese europeo privo di un corpo ispettivo in grado di utilizzare la valutazione per incrementare il miglioramento e non solo per reprimere le distorsioni: e questo in un momento in cui l’introduzione dell’autonomia richiedeva in modo massiccio una funzione di monitoraggio intelligente. Come esempio della centralità della loro funzione cito l’Inghilterra, dove sono stati istituiti nel 1840 come HMI, Her Majesty Inspectors (e hanno conservato il nome anche se ora lavorano in un’agenzia indipendente, l’OFSTED) e dove è sempre stata chiara, come recita il sito, «la relazione fra funzione ispettiva e miglioramento dell’istruzione».
Dopo anni di incertezza, è stato bandito nel marzo del 2008 un concorso per il reclutamento di 145 “dirigenti tecnici” presso il Ministero della Funzione Pubblica, per raggiungere un organico fissato in 379 unità: essi sono definiti come «dirigenti investiti dell’esercizio della funzione tecnica ispettiva», il che, tenuto conto che le scuole erano nel 2008/2009 10749, e ammettendo che nessuno fosse assegnato a compiti speciali, assegnerebbe ad ogni ispettore il monitoraggio su 28 scuole, a ciascuna delle quali potrebbe dedicare otto giorni, ma senza fare assolutamente niente altro, anche se l’articolo primo del bando recita che essi sono assegnati «all’amministrazione centrale e periferica del Ministero al fine di concorrere alle finalità di istruzione e di formazione, affidate alle istituzioni scolastiche ed educative, oltre all’attività di studio di ricerca e di consulenza tecnica per il Ministero e i Direttori Generali».
Sulla carta, tutto bene. Nel fatti, assai meno. Tanto per cominciare, il concorso ha avuto non poche traversie: la data della preselezione è stata spostata tre volte, per eccesso di domande, ed è stata effettuata nel settembre scorso. Da questa prova (una serie di quesiti a risposta multipla) verranno selezionati 1.450 candidati, cioè dieci per ogni posto messo a concorso (45 per la scuola dell’infanzia e primaria, 100 per la scuola secondaria divisi nei vari settori).
Ma il problema vero nasce quando andiamo a vedere quali competenze sono richieste ai nostri aspiranti ispettori: le tre prove scritte vertono su temi organizzativi, di ordinamento degli studi e relativi agli insegnamenti impartiti nello specifico grado di scuola o nei settori cui il concorso di riferisce. Fra i temi del colloquio, di cui vi faccio grazia, non c’è un solo riferimento a un qualche argomento riguardante metodologie e processi educativi, non parliamo poi metodologie e processi di valutazione. Il legislatore ha in mente un profilo professionale del tutto obsoleto, in cui prevale il diritto, in quanto nella scuola per autonomia contava solo la conformità alle norme, e non la capacità di rispondere alla domanda di formazione della società civile in ogni sua articolazione.
Come colmare le eventuali, ma prevedibilissime lacune? Semplice, lo dichiara l’art.8: «i vincitori sono tenuti a frequentare attività formative secondo le disposizioni vigenti».
Se le cose stanno così, e pur con la massima fiducia in una sorte benevola che porti alla vittoria persone estremamente capaci, chi controllerà i processi educativi che hanno in corso riforme di grande respiro quali quella degli istituti tecnici o della formazione dei docenti? Chi valuterà, ammesso mai che ci si arrivi, dirigenti e docenti? Chi svilupperà una riflessione sistematica sull’autonomia? Le domande retoriche sono mediamente poco costruttive, per cui mi fermo qui: ma l’ipotesi di ricorrere ad enti terzi che utilizzano professionisti qualificati, magari con la supervisione dei dirigenti tecnici, mi sembrerebbe più realistica. Altrimenti, sarà gioco facile dire che la valutazione non si può fare, e restare ancora una volta la ruota di scorta dei sistemi scolastici europei.
I rischi per l’educazione? Troppi insegnamenti e cultura nichilista
di Giovanni Cominelli
ilsussidiario.net – 5 novembre 2009
L’intervista di Francesco Alberoni a questo giornale denuncia il declino della coscienza storica delle giovani generazioni scolarizzate: niente eventi, niente date. Le cause sarebbero il marxismo e l’americanismo, che hanno messo in crisi la “nostra tradizione”. Poiché la denuncia di Alberoni, benché non nuovissima, segnala un fatto reale, vale la pena di seguire questa traccia fino in fondo. Intanto i fatti: viene insegnata solo la storia “dal Fascismo alla Resistenza”? Alberoni frequenta poco le aule delle scuole medie superiori. Perché sarebbe costretto a constatare che è l’intero ’900 che non riesce ad affiorare con la testa, se non per la punta dei capelli verso la fine dell’anno di quinta. Colpa del marxismo? In realtà i marxismi sono più d’uno. Quello italiano è figlio della scuola hegeliana dei fratelli Spaventa, di Labriola, Croce e Gentile. Figlio di Hegel pour cause: perché Marx apparteneva alla “sinistra hegeliana”, di cui ha assorbito, senza mai rinnegarlo, il paradigma dialettico, pur rimettendolo sui piedi della storia materiale. Gramsci e Togliatti hanno ricostruito la propria genealogia ideologica a partire da De Sanctis, Croce e Gentile. Si tratta dello “storicismo marxista” e come tale venne duramente criticato dagli operaisti alla Asor Rosa e alla Tronti e da una minoranza di sessantottini/settantasettini, accomunati, questi e quelli, da luddismo culturale: «il sapere borghese si abbatte e non si cambia». Forse Alberoni, che è stato rettore della Facoltà di Sociologia di Trento ai suoi albori, se ne ricorda. Il marxismo italiano ha reinterpretato la storia dell’intero Occidente europeo. Si pensi agli studi di Ambrogio Donini sulle origini del Cristianesimo. Ma proprio perciò l’ha studiata e fatta studiare nelle scuole. Spesso si è combinato con la metodologia degli Annales, centrata sulla “lunga durata” e sulla “storia evenemenziale”. Se, viceversa parliamo del “soviet marxism” - cui Marcuse ha dedicato il libro omonimo in tempi ormai lontani – o del marxismo asiatico di Mao e di Pol Pot, allora sì, quel marxismo non c’entra con la storia. Ma non c’entra neppure con il marxismo italiano. Proprio l’attenzione puntuale alla storia –culturale, in questo caso – sconsiglia di parlare di marxismo come la notte in cui tutte le vacche hanno la stella rossa marchiata sul muso. Apparteneva a quei marxismi barbarici pre-borghesi l’idea di radere al suolo la tradizione e di ripartire daccapo per costruire l’uomo nuovo.
E l’americanismo? È difficile sopravvalutare l’influenza di John Dewey nel confezionare i programmi del sistema educativo italiano. Non tutto ciò che occupa il dibattito alto dei pedagogisti filtra in basso nella scuola militante.
E allora, quali le cause? Quella culturale fondamentale è certamente il nichilismo. Partito da ristretti circoli culturali filosofici, logico-matematici, fisico-teorici, è percolato nella cultura popolare, è stato diffuso dai media, ha incrociato i fenomeni socio-culturali della globalizzazione. Uno degli esiti è che la freccia del tempo si è contorta su di sé e gira in cerchio attorno a un tempo e a un Io narcisistico. L’Io galleggia su un’immensa liquida poltiglia di eventi, facce, emozioni. Basta accendere l’apparecchio TV: il 90% della comunicazione annuncia e promette emozioni, sogni, proiezioni desideranti. E la conoscenza del mondo e di sé? E la verità? Zero.
E qui vengo al secondo ordine di cause: quelle pedagogico-didattiche. In realtà a scuola c’è un sacco di “storie”: storia, storia della letteratura, storia della filosofia, storia dell’arte ecc... Ma altre sarebbero necessarie: della scienza, del diritto, dell’economia, della religione, della matematica, della lingua. La causa del declino della coscienza storica è il fatto che le discipline vengono indebitamente staccate dalle proprie origini e dalla propria evoluzione, e sono frammentate e ipostatizzate in oggetti disincarnati. Perciò la storia che viene insegnata è solo e prevalentemente quella “evenemenziale”. La caduta del background storico di ogni disciplina e la riduzione della dimensione storica a oggetto di una singola disciplina - Storia - ha a che fare con l’enciclopedismo illuministico e con la sistemazione positivistica del sapere.
È il prodotto del modello educativo occidentale e italiano, in particolare. C’entra con la produzione di cattedre a mezzo di cattedre, che origina dall’accademia universitaria: l’iperspecializzazione del sapere astorico. C’entra l’americanismo? No. Qui si vola più basso: si tratta di moltiplicare cattedre, discipline e materie per la miglior gloria del potere accademico e sindacale. E allora, come se ne esce? Solo cinque discipline fondamentali fino a 17 anni: Storia (eventi economico-sociali e politici, filosofie, letterature, culture, religioni ecc...), Lingua italiana, Matematica, Scienze, Inglese. Due o tre discipline “vocazionali” a seconda degli indirizzi pre-professionali. E stop. Se i grandi intellettuali di questo Paese non hanno il coraggio di mettere radicalmente in discussione la “nostra tradizione” accademica e scolastica, la struttura istituzionale, amministrativa, didattica delle Università e della scuola, le loro calde lacrime sui destini delle nuove generazioni assomigliano moltissimo a quelle dei coccodrilli.
5 novembre - da Tecnica della Scuola
Non solo tagli:
di A.G.
Diverranno obbligatorie entro il 2012: la disposizione in un ddl elimina-burocrazia collegato al documento di fine anno. Nel frattempo gli istituti dovranno tutti essere in grado di connettersi alla rete e aver addestrato il personale ad inserire i giudizi. Fissato al 30 giugno l’avvio dell’obbligo per i medici di inviare i certificati per via telematica all’Inps.
Entro il 2012 tutti gli istituti scolastici, pubblici e privati, si dovranno attrezzare per inviare alle famiglie le pagelle on line. E dal 30 giugno 2010 i certificati medici, per la malattia dei dipendenti, pubblici e privati, dovranno essere inviati per via telematica direttamente dal medico all'Inps. Sono queste le misure contenute del ddl elimina-burocrazia, collegato alla Finanziaria ed in via di approvazione, che si compone di 34 articoli sulle "disposizioni in materia di semplificazione dei rapporti della pubblica amministrazione con cittadini e imprese".
Dicevamo della pagella elettronica: "la possibilità di rendere disponibile alle famiglie la pagella in formato digitale" comporterà l’attuazione di un documento che avrà valore giuridico a tutti gli effetti, come avviene oggi per quella cartacea. Il progetto si avvale di una serie di una serie di "servizi tecnologici avanzati per la didattica e le relazione tra la scuola e la famiglia" che ogni istituto dovrà necessariamente possedere entro i prossimi tre anni. E’ bene quindi che le scuole ancora senza connessione alla rete, poche per la verità, si attrezzino. Soprattutto perché nei prossimi mesi il personale amministrativo sarà chiamato ad operare su una piattaforma tecnica che potrebbe non essere proprio intuitiva e di facile uso per l’inserimento dei dati numerici, i voti, e dei giudizi emersi dagli scrutini.
C’è da dire che sulla necessità di inviare i giudizi degli studenti per via digitale non tutti gli addetti ai lavori hanno sinora speso apprezzamenti: una parte di loro ritiene, infatti, che privare i genitori del proficuo momento della consegna delle pagelle tradizionale da parte dei docenti sarebbe deleterio ai fini coesione scuola-famiglia indirizzata alla crescita degli studenti. Si toglierebbe, in pratica, con un “clic” un atto ritenuto fondamentale per la conoscenza reciproca e la condivisione di intenti tra gli insegnanti e i genitori.
Sembra che però la tendenza a digitalizzare i documenti scolastici sia ormai generale: entro la fine dell’anno prossimo, ad esempio, in Gran Bretagna l’invio on line della pagella scolastica degli studenti di medie e superiori sarà un fatto compiuto. E per il 2012, come da noi, anche per alle elementari. Il Governo inglese ha anche promesso che i genitori potranno accedere anche tutti i giorni all’esito di voti, del comportamento e delle assenze dei loro ragazzi. A dire il vero, sull’aggiornamento in tempo reale delle assenze, tramite l'invio di sms alle famiglie, anche il nostro Paese, attraverso l’opera del ministero della Funzione pubblica, sta facendo grossi passi in avanti.
Novità importanti anche per l’invio telematico dei certificati medici: verranno inviati direttamente dal medico che l’ha prescritto all’Inps, che poi provvederà a farlo pervenire, in seconda battuta ma sempre con la stessa modalità, all’amministrazione di competenza. La sperimentazione prenderà il via da gennaio, ma fino al 30 giugno continuerà a valere ancora il certificato tradizionale di carta. Si tratta di una specifica che completa, attraverso l’esplicitazione delle scadenze, l’introduzione della procedura contenuta nel recente “decreto Brunetta”, pubblicato il 31 ottobre, che rivede molte norme del Testo Unico della scuola.
da ASCA
SCUOLA: REGIONI, PARERE NEGATIVO SUL DECRETO PRECARI
(ASCA) - Roma, 5 nov - Le Regioni hanno espresso oggi a maggioranza un parere negativo sul decreto emanato dal governo sui precari della scuola. Il pronunciamento e' avvenuto questo pomeriggio a Roma, nel corso della riunione di oggi della Conferenza Stato Regioni.''E' una scelta - ha commentato l'assessore all'istruzione, formazione e lavoro della Toscana Gianfranco Simoncini all'uscita dall'incontro - che nasce prima di tutto dal fatto che non vi e' stato, da parte del governo, nessun coinvolgimento preliminare delle Regioni su un decreto che scarica sostanzialmente su queste ultime i costi sociali dei tagli operati sulla scuola''.
Inoltre, prosegue Simoncini, ''lo stesso testo prevede un meccanismo di intervento che ridurrebbe le Regioni a un mero ruolo di sostegno finanziario di decisioni prese a livello di singole scuole''.
Le Regioni hanno quindi riaffermato la volonta' d i essere comunque disponibili ad affrontare il problema del personale precario della scuola.
''In particolare
Prossimamente
res-rus/cam/alf
da tuttoscuola.com
Riforma delle superiori: iniziate le audizioni alla Camera
Sono iniziate ieri le audizioni in commissione Cultura della Camera, in vista della formulazione del previsto parere sulla riforma dei licei e degli istituti tecnici e professionali. Tra i primi ad essere ascoltati sono stati i sindacati.
7 novembre - da ANSA.it
Studiare rende più di Bot e azioni
Il rendimento medio privato di un anno di istruzione è dell'8,9%
ROMA - Macché Bot o azioni. Per avere un buon ritorno nell'investimento è meglio puntare sull'istruzione: il rendimento si attesterà appena sotto la soglia del 9%, l'8,9% per l'esattezza, mentre per azioni e titoli obbligazionari il ritorno è ora bassissimo. A spiegarlo, conti e tabelle alla mano, è uno studio della Banca d'Italia: "l'istruzione - si legge nella ricerca - è un investimento molto redditizio dal punto di vista individuale".
Il rendimento medio privato di un anno di istruzione è infatti dell'8,9%, e varia tra l'8,4% e il 9,1% delle diverse macro-regioni: studiare rende di più, in termini di ritorno economico, al Sud (9%-9,1%) e per le donne (9,4%). Un rendimento stellare se paragonato ad altre forme di investimento: nel periodo 1950-2000, ricorda lo studio di Bankitalia, la media annuale del rendimento reale lordo di un investimento azionario era del 5,2%, la media del rendimento dei titoli non azionari (dai Bot ai bond societari) dell'1,9% e quello del portafoglio di un investitore "tipo" del 3,6%.
DA INVESTIMENTI A SCUOLA RITORNO IN TASSE DEL 4% - Investire risorse pubbliche in istruzione conviene allo Stato. Garantisce ritorni complessivi pari al 7% circa dell'investimento iniziale. Ma soprattutto, in tempi di vacche magre per i conti pubblici, consente di aumentare gli incassi fiscali: il rendimento fiscale in maggiori tasse è pari al 3,9-4,8% di quanto investito. E' quanto riporta lo studio di Bankitalia sui rendimenti dell'istruzione. Secondo i calcoli di Bankitalia, il ritorno sociale degli investimenti in capitale umano può essere differente anche tra le varie zone: la media italiana del 7% sale fino all'8% del Sud: un rendimento considerato "superiore a quello derivante in infrastrutture". Se si considerano invece i "rendimenti fiscali" dell'istruzione, ovvero il rendimento per lo Stato ottenuto confrontando l'ammontare di spesa pubblica necessaria a incrementare il livello di istruzione con i benefici che vengono dal maggior gettito fiscale e dai minori costi per l'assistenza sociale ai disoccupati, allora la convenienza di ogni euro investito in cultura balza ancor di più agli occhi: il vantaggio per le casse dello Stato può essere valutato tra il 3,9 e il 4,8%. "Nel lungo periodo - si legge a mò di conclusione nello studio di Palazzo Koch - la maggior spesa pubblica necessaria a finanziare un aumento del livello di istruzione sarebbe più che compensata, specie al Sud, dall'aumento delle entrate fiscali, a parità di struttura di prelievo, e dai minori costi derivanti dall'aumento del tasso di occupazione".
da Apcom
Nuova influenza/ Gelmini: Scuole non chiudono. 785mila contagi
Ministro: Sono sana, non mi vaccino. Superati i 30 morti
Roma, 8 nov. (Apcom) - Secondo il bollettino ufficiale del ministero della Salute e delle Politiche sociali il numero totale dei casi di contagio di nuova influenza umana in Italia è di 785mila, con numero dei casi settimanali stimati in base all'incidenza in 540mila, mentre i decessi accertati sono 29, segnando un tasso di mortalità dello 0,0032 per cento. Secondo i dati non ufficiali registrati dalla cronaca, sarebbero invece 32 le vittime della nuova influenza umana in Italia. Ieri in Italia si sono registrati tre nuovi decessi: quello di una bimba di otto mesi a Napoli e quello di un uomo di 75 anni a Torino questa mattina, più tardi è morto sempre a Napoli un bimbo di quattro mesi per gravi difficoltà respiratorie. I genitori hanno autorizzato l'esame autoptico per scoprire se si è trattato di un caso di nuova influenza. Il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini non ha fatto il vaccino per la nuova influenza umana e non lo farà perchè, ha detto in un'intervista a Sky Tg24 "sono sana, non ho malattie croniche", sottolineando che la nuova influenza "non è da sottovalutare" ma nemmeno si devono creare "inutilmente allarmismi". Però fra gli ultimi decessi registrati con "altissima probabilità" di contagio, si conta anche il primo caso in Lombardia di vittima dell'H1N1: un uomo di 35 anni, indiano, sarebbe morto solo a causa del virus in quanto non presentava, a differenza degli altri pazienti, alcuna patologia, bensì, secondo i medici, era sano. Il ministro ha anche rassicurato sul fatto che la situazione nelle scuole è monitorata e al momento "non ci sono le condizioni di allarme", per cui non ci saranno chiusure straordinarie a Natale. "La chiusura delle scuole creerebbe soltanto enormi problemi di gestione dei bambini da parte delle famiglie senza creare benefici", ha detto Gelmini nell'intervista che andrà in onda oggi alle 11.35. Le Regioni dove si registra la più ampia diffusione del virus sono
da Italia Oggi del 03-11-2009
Assistenza ai disabili, la scuola non ne approfitta
Riforme in itinere. Rapporto del governo sulla legge 104: utilizzati meno permessi di quelli previsti
ROMA. I dati forniti dal governo nei giorni scorsi sull'applicazione della legge n. 104/1992 a favore dei lavoratori diversamente abili e dei loro familiari restituiscono un quadro, relativamente al personale della scuola, di un uso parsimonioso e mirato dei benefici, tanto che gli abusi, che il ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta intende contrastare con un provvedimento di maggior rigore, nella scuola si possono ritenere contenuti, se non del tutto irrilevanti. È vero, le regioni meridionali sono quelle nelle quali maggiore è il ricorso ai benefici della legge, ma c'è una spiegazione. Nelle regioni del Sud, e il rapporto lo chiarisce, la spesa per l'assistenza alle persone anziane è notevolmente inferiore a quella delle regioni del Nord, costringendo le famiglie a fare ricorso a tutte le risorse a disposizione, comprese le provvidenze della legge 104, «per sopperire alle carenze del welfare pubblico». Se abusi sono perpetrati, essi non emergono dall'indagine, promossa dal ministro Brunetta e da poco presentata al parlamento. Semmai si assiste a un progressivo spostamento dei benefici, inizialmente previsti per assistere i figli disabili dopo l'esaurimento di aspettative e congedi di maternità/paternità, a favore di altri familiari, soprattutto genitori anziani. La rilevazione, on line sul sito della funzione pubblica, è stata fatta dal Formez in collaborazione con Cittadinanzattiva e con associazioni a tutela della disabilità (F.A.N.D., FISH, Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti). Ha restituito i questionari il 45% delle amministrazioni invitate, in rappresentanza di oltre un milione e settecentomila lavoratori, il 50% del totale dei dipendenti pubblici. Hanno risposto cinquemilasettecento istituti scolastici su undicimila, per seicentomila dipendenti. In pratica, un terzo dei lavoratori rilevati opera nelle scuole. Il numero di dipendenti che fruiscono dei permessi mensili è di centocinquantamila, il 9% del totale dei dipendenti oggetto di rilevazione. Centoventitremila di questi sono lavoratori che assistono un familiare diversamente abile. Nella scuola sessantunmila persone, che si sarebbero potute teoricamente assentare nel 2008 per un milione e ottocentomila giornate di permesso retribuito e invece lo hanno fatto per meno di mezzo milione. Lo stesso rapporto riconosce che nelle scuole «la media annuale risulta particolarmente bassa», poiché, «presumibilmente essa è correlata alla particolare organizzazione dell'orario di lavoro»(pag. 18). Come per le altre categorie professionali indagate, i permessi retribuiti sono utilizzati soprattutto per assistere genitori anziani. Il dato è solo in parte inaspettato, visto l'innalzamento dell'età media del personale della scuola che s'interseca con il fenomeno dell'invecchiamento della popolazione: docenti sempre più anziani che devono prendersi cura di genitori sempre più vecchi. Parallelamente alla pubblicazione dell'indagine, la commissione permanente affari costituzionali del senato sta discutendo il disegno di legge n. 1167 sui lavori usuranti, che prevede agli articoli 17 e 18 delega al governo a modificare la legge 104. Ma le modifiche sono di scarso rilievo, vogliono più che altro razionalizzare e semplificare. Esse potrebbero ridurre la platea degli aventi diritto, se ad esempio si ripristinasse il requisito della convivenza. Ciò permetterebbe, secondo un'ipotesi avanzata nel rapporto, il contenimento dei permessi nella misura del 10%, con un risparmio su base annua di circa 50 milioni di euro. Risparmio che si potrebbe destinare almeno in parte «per assistenza domiciliare a favore dei disabili e degli anziani non autosufficienti con redditi medio bassi».
9 novembre - da Repubblica
O
Mario Pirani
Raramente, ormai, le argomentazioni di Ernesto Galli della Loggia coincidono con le mie, ma il suo invito – «Non dividiamoci sull´Università» (Corriere del 30 ottobre) – mi trova assolutamente concorde. Il progetto di legge presentato da Mariastella Gelmini, come ha scritto per primo sulle nostre colonne, Salvatore Settis, (25 ottobre), direttore della Normale di Pisa, «è di una portata che non si vedeva da tempo» e analizzando gli aspetti positivi come anche quelli critici, soprattutto per quanto si riferisce all´impegno finanziario, aggiunge: «A costo zero si fa meno di zero». Uno spirito di discussione, così equilibrato, è dovuto all´alto grado di coinvolgimento, richiesto dal ministro, ad un gruppo qualificato di docenti di vario orientamento culturale, fuori dal rapporto maggioranza-opposizione. Che il metodo sia stato quello giusto e consenta di promuovere scelte ampiamente condivise, lo prova, del resto, la recentissima (4 novembre) mozione della Conferenza dei rettori che ritiene «essenziale che l´occasione non vada perduta».
Ho avuto la riprova dell´attesa suscitata da questo disegno di legge, attraverso una verifica personale presso un certo numero di docenti, lettori di "Repubblica", che mi hanno suggerito non poche osservazioni, ma anche l´emergere di una ultima speranza sulla possibilità questa volta di salvare l´Università italiana, altrimenti avviata ad un declino catastrofico. Mi soffermerò su un solo punto: l´attivazione dopo alcuni anni di blocco dei concorsi di un percorso virtuoso alla docenza. A parte una breve «finestra» apertasi dopo il 1999 e presto richiusa, una parte rilevante del personale docente (ricercatori, associati e ordinari) provengono dal vecchio bacino dei «ricercatori d´annata», delle assunzioni e progressioni di carriera ope legis, dei concorsi e chiamate interne pilotate, delle valutazioni per anzianità.
Per contro i vincitori dei pochi concorsi post 1999 sono in genere studiosi motivati che avrebbero potuto rappresentare finalmente, passando attraverso il filtro di una sana competizione per merito, la prima leva di un nuovo e trasparente assetto della docenza. La legge Gelmini consente di riattivare questo filtro, dare una prospettiva a questa generazione che si sta avvicinando ai 40 anni e aprire una strada impegnata ma percorribile alle generazioni più giovani che intendano intraprendere la carriera accademica. Il fulcro della riforma sta nel concorso unico nazionale per titoli e meriti oggettivamente acclarati, da cui deve uscire una lista numericamente definita di idonei. Da questa lista le singole Università selezioneranno, con un altro concorso, i titolari delle cattedre via via disponibili. L´altra strada alla docenza, che la riforma apre, è quella cosiddetta teniure-track, (percorso di cattedra) che, di fatto, abolisce la categoria dei ricercatori a vita. Vi accedono quanti, vinto un dottorato, otterranno un contratto triennale di ricerca, rinnovabile al massimo per altri 3 anni. In questo periodo dovranno, frattanto, partecipare e risultare idonei al concorso nazionale. Al termine del percorso potranno essere esaminati e valutati dal loro ateneo per ottenere la cattedra di associato.
Capisco che al lettore normale l´argomento possa apparire ostico, ma si tratta di far saltare la crosta di comode connivenze, promozioni per parentela, complicità clientelari, malintese difese sindacali, abbarbicamenti conservatori che hanno tanto contribuito al degrado dell´università italiana.
Le forze rappresentate da questi ambienti regressivi si faranno sentire. Sono agguerrite sia nella maggioranza che nell´opposizione. La riforma vivrà se
9 novembre - da Tecnica della Scuola
Istruzione tecnica: le Regioni chiedono un rinvio parziale
di R.P.
Lo schema di Regolamento predisposto dal Governo prevede che la riforma prenda avvio fra un anno in tutte le classi prime e seconde. I tre schemi sono già stati presentati alla Commissione Cultura della Camera, in settimana inizia anche il percorso al Senato.
Prosegue presso le Commissioni parlamentari l’esame dei tre schemi di Regolamento che ridisegneranno il profilo dell’intero sistema scolastico del secondo ciclo.
Alla Camera, nei giorni scorsi, i tre provvedimenti sono stati presentati e illustrati, mentre al Senato il percorso inizierà questa settimana.
Per il Regolamento degli istituti tecnici non ci dovrebbero essere particolari problemi;
Regioni ed Enti Locali chiedono che si superi “una eccessiva differenza di discipline (tra il primo e il secondo anno), che comporta di fatto l’anticipazione della scelta del percorso formativo”.
Le Regioni propongono anche che venga confermato l’indirizzo per periti aziendali corrispondenti in lingue estere, che attualmente si colloca come specializzazione dell’indirizzo commerciale.
Più complessa è la richiesta di revisione del taglio delle compresenze fra docenti e insegnanti tecnico-pratici, mentre del tutto irricevibile sembra la richiesta di dare avvio ai nuovi istituti tecnici nel 2010/2011 solo per il primo anno (lo schema di regolamento del Governo prevede l’avvio per le prime due classi).
Va anche detto che
Più difficile si presenta invece il Regolamento sui licei sul quale le regioni si sono dichiarate contrarie a maggioranza.
I problemi maggiori riguardano la riduzione delle ore complessive e soprattutto di quelle destinate all’insegnamento della lingua straniera.
Sui professionali il Governo sembra intenzionato ad accogliere le perplessità delle Regioni che chiedono garanzie sulle loro prerogative.
Il dibattito parlamentare potrà certamente fornire utili indicazioni al Governo ma bisogna precisare che il parere finale delle Commissioni - che dovrebbe essere espresso entro la fine del mese - non è formalmente vincolante.
Da Tuttoscuola FOCUS
1. Quel crocifisso che unisce, divide e fa riflettere...
E' singolare che testate giornalistiche di orientamento così diverso come l'Osservatore romano, il Foglio e il Riformista, seguite da tante altre, abbiano ripreso le parole scritte nel 1988 sull'Unità dall'intellettuale di origine ebrea Natalia Ginsburg a difesa dell'esposizione del crocifisso nelle scuole italiane. Parole sulle quali si è registrata in Italia una convergenza quasi generale.
Ne riprendiamo qui di seguito anche noi i passi che toccano più direttamente il problema di cui si discute in questi giorni perché ci sembrano di grande attualità e di straordinaria compostezza in un clima di contrapposizioni tanto strillate quanto banali come quello che troppo spesso, e da troppo tempo, caratterizza il dibattito politico-culturale nel nostro Paese.
"L'ora di religione genera una discriminazione fra cattolici e non cattolici, fra quelli che restano nella classe in quell'ora e quelli che si alzano e se ne vanno (...). Ma il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E' l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino allora assente".
E ancora: "Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo.
Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l'immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo, cancella l'idea di Dio ma conserva l'idea dei prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c'è immagine.
E' vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini. E di esser venduti, traditi e martoriati e ammazzati per la propria fede, nella vita può succedere a tutti. A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola".
Anche a noi sembra un bene. E ci sembra che il principio di uguaglianza cui si sono ispirati i giudici della Corte di Strasburgo sia affermato meglio dal simbolo della croce che da astratte sentenze prive di senso della storia.
2. Sul crocifisso ampia convergenza di laici e cattolici
Gli argomenti utilizzati da gran parte di coloro che sono intervenuti in questi giorni nel dibattito sviluppatosi dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di Strasburgo (di cui peraltro non si conoscono le motivazioni analitiche) sono ampiamente convergenti, pur provenendo da esponenti di ambienti culturali diversamente orientati, in senso cattolico o laico.
Fanno eccezione alcuni (pochi, per fortuna) oltranzisti dei due schieramenti, i neocrociati che impugnano la croce come un'arma da combattimento e i neoghibellini che la vorrebbero cancellare dalle aule e dalla storia.
Gli altri, cioè quasi tutti, pensano come il laico Magris che "il crocifisso, simbolo di sofferenza, non può offendere nessuno" (Corriere della Sera del 7 novembre 2009), o che "sia per i credenti sia per chi non crede il crocifisso parla in maniera molto più profonda e molto più ampia di non poche ristrettezze", come dice il vescovo di Terni-Amelia Mons. Vincenzo Paglia, responsabile della Conferenza Episcopale Italiana per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso.
La più argomentata contestazione dell'estremismo di segno laico-laicista viene peraltro non dal mondo cattolico ma da quello laico di ispirazione liberale, erede di una tradizione che pur ebbe in passato punte di forte contrapposizione alla Chiesa, se non di aperto anticlericalismo. Ne è testimonianza l'articolo di Piero Ostellino, anch'esso pubblicato dal Corriere della Sera dello scorso 7 novembre, nel quale si sostiene che "con la sentenza di Strasburgo è nata una nuova forma di religione, in nome del rifiuto della religione come storia, prima ancora che come concezione trascendentale dell'esistenza".
Per una sorta di nemesi, insomma, l'iperlaicismo rischia di convertirsi nel suo contrario, in una nuova forma di clericalismo. Diciamo che non se ne sente il bisogno...
3. Il precedente del 2003/1. L'ordine di rimozione del crocifisso
Nell'ottobre 2003 un giudice del tribunale dell'Aquila, Mario Montanaro, accolse il ricorso presentato da Adel Smith, presidente dell'Unione Musulmani d'Italia, disponendo la rimozione del crocifisso esposto nelle aule della Scuola materna ed elementare Antonio Silveri di Ofena, frequentata dai figli dello stesso Smith.
Nella sentenza si trovavano argomentazioni simili a quelle utilizzate dalla Corte di Strasburgo: il fatto che la presenza del simbolo della croce poteva indurre gli alunni a ritenere che esistesse una "inequivoca volontà dello Stato, trattandosi di scuola pubblica, di porre il culto cattolico al centro dell'universo, come verità assoluta, senza il minimo rispetto per il ruolo svolto dalle altre esperienze religiose e sociali nel processo storico dello sviluppo umano", e che in tal modo si presumesse tra gli alunni "una omogeneità che, in verità, non c'è mai stata e, soprattutto, non può sicuramente affermarsi sussistere oggi".
A questi argomenti Montanaro aggiungeva inoltre che la presenza del crocifisso nelle aule si poneva in contrasto con quanto stabilito dalla Corte costituzionale in materia di salvaguardia del pluralismo religioso e culturale, "che può realizzarsi solo se l'istituzione scolastica rimane imparziale di fronte al fenomeno religioso".
4. Il precedente del 2003/2. Il contrordine del tribunale
A un mese di distanza dalla sentenza il tribunale dell'Aquila tornò però sulla materia stabilendo che la competenza non era del giudice ordinario, ma di quello amministrativo, cioè del TAR, perché non si era in presenza della lesione ("ancorché subliminale") di un diritto soggettivo, ma solo di una questione amministrativa, l'applicabilità o meno della normativa che regolava la materia, cioè delle disposizioni sul cosiddetto "ordinario arredamento delle aule scolastiche", risalenti agli anni venti, formalmente mai revocate, e quindi ancora in vigore.
Scrivemmo allora (TuttoscuolaNEWS n. 128 dell'1 dicembre 2003) che la controversia era destinata a complicarsi, e che ci sarebbe stato molto lavoro per magistrati e avvocati, forse anche per
Non abbiamo cambiato idea.
6. Un sondaggio sull'educazione finanziaria
L'educazione finanziaria in Italia è quasi sconosciuta, rispetto ad altri Paesi come Germania, Regno Unito e Francia, dove la cultura del risparmio e della gestione dei capitali è più diffusa. E' perciò di grande interesse che vengano assunte iniziative di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sull'importanza di questa tematica nella nostra vita e sull'opportunità che ne sia ampliata la conoscenza.
Con questo obiettivo Tuttoscuola, in collaborazione con "PattiChiari", il consorzio fra le banche italiane nato per avvicinare il sistema finanziario ai consumatori, ha realizzato un semplice questionario di 8 domande.
Per rispondere non occorreranno più di 5 minuti. Ogni compilazione resterà anonima. Al termine del sondaggio, Tuttoscuola renderà noti i risultati ai propri lettori. Quello che segue è il link diretto al sondaggio sull'Educazione finanziaria: http://www.tuttoscuola.com/cgi-local/disp.fcgi?ID=21191
7. Le priorità della Germania: educazione, ricerca, docenti, formazione professionale
Il corretto intreccio tra educazione, ricerca, docenti, formazione professionale sembra l'obiettivo prioritario in Germania nell'orizzonte della politica. La "Repubblica educativa tedesca" è l'ambiziosa intestazione del capitolo del contratto programmatico siglato tra CDU, CSU e FDP, a testimonianza dell'importanza attribuita all'educazione dalla nuova coalizione governativa di centro-liberale. Come se questo non bastasse, per la prima volta nella storia della Repubblica Federale, la parola educazione è inserita nel titolo di un programma di una coalizione di governo, incastonata tra crescita e solidarietà.
La decisione nasce dalla consapevolezza che i mutamenti che investono la società l'economia ed il lavoro impongono uno sforzo di riadeguamento di tutti i canali preposti alla formazione e in primo luogo delle scuole.
La scuola tedesca, al pari di quella italiana, non brilla nelle classifiche internazionali e da anni soffre di una profonda crisi di fiducia. Le responsabilità vengono rimpallate tra il livello federale e quello regionale, quest'ultimo titolare effettivo della competenza in materia di educazione. La coalizione centro-liberale parte dal presupposto che l'educazione è condizione indispensabile per la libertà interiore ed esteriore delle persone e che, assieme alla ricerca, è il fondamento del progresso scientifico e sociale.
8. Germania-Italia. Si allarga il divario nell'investimento sulla scuola
Contrariamente a quanto sta avvenendo in Italia, il programma del nuovo governo tedesco prevede, nell'arco della legislatura, un incremento della spesa per l'educazione e la ricerca di ben 12 miliardi di euro. Nel nostro paese, come noto, la manovra del
Accantonato il dibattito sulle tipologie ordinamentali (sistema comprensivo o tripartito), il programma tedesco, per quanto riguarda la scuola, assume come prima priorità il miglioramento delle competenze di base degli allievi, in particolare quelle linguistiche: è previsto uno screening linguistico a quattro anni, con misure compensatrici precoci per coloro che non hanno una insufficiente padronanza della lingua tedesca.
Altre priorità investono lo sviluppo continuo del potenziamento della qualificazione professionale del personale docente, ritenuta condizione indispensabile per il miglioramento dei livelli di qualità del funzionamento dell'educazione e la modernizzazione dell'istruzione professionale per renderla più rispondente alle mutevoli esigenze del mondo del lavoro, senza tuttavia alterarne la struttura sostanziale che la rende una delle più apprezzate al mondo.
9 novembre - da Tecnica della Scuola
Proteste per i tagli alle paritarie: l’ex ministro Fioroni dalla parte dei vescovi
di A.G.
L’appello del cardinale Angelo Bagnasco (il Governo ripristini i 535 milioni di euro e realizzi misure economiche sulla parità scolastica che rientrino nelle norme generali dell`istruzione) in sintonia con quello dell’esponente del Pd: più che condivisibili i richiami della Cei,dispiace perché questa maggioranza della parità ha fatto proclami.
Non fa di certo scalpore ascoltare il cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, mentre si schiera a fianco dei sostenitori del finanziamento pubblico delle scuole paritarie. Non sorprende collocarlo nello schieramento di coloro che da qualche settimana stanno facendo del pressing, nemmeno troppo nascosto, sul Governo per farlo rientrare rispetto alla decisione di sottrarre, attraverso un articolo della Finanziaria in discussione in Parlamento, ben 535 milioni di euro di finanziamenti inizialmente accordati.
"Sui fondi destinati al sistema dell'istruzione non statale, cioè alla scuola libera”, Bagnasco ha auspicato, durante l’apertura dell'assemblea generale ad Assisi, “che le cifre inizialmente previste con decurtazioni consistenti, possano essere prontamente reintegrate in modo da consentire agli enti erogatori dei servizi di mantenere gli impegni già assunti".
Fin qui nulla di nuovo. Proprio di recente un appello analogo era stato lanciato da una serie di associazioni cattoliche: assieme e singolarmente hanno chiesto alla maggioranza di “ripristinare la somma originariamente prevista di 535 milioni di euro, e provvedendo successivamente a realizzare misure economiche sulla parità scolastica che rientrino nelle norme generali dell`istruzione”.
Fin qui nulla di contradditorio. Ognuno, è il caso di dire, porta l’acqua al suo… mulino. Proprio per questo non passeranno inosservate le parole, sullo stesso tema, espresse dall’ex ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni, il quale ha reputato "più che condivisibili i richiami della Cei, soprattutto – ha sottolineato l’esponente Pd - riguardo alla necessità di svelenire il clima politico per consentire al Paese di crescere e a sanare quanto fin qui portato avanti dal Governo nei confronti delle scuole paritarie".
Le parole di Fioroni non faranno di certo piacere all’ala meno conservatrice del Partito democratico. Per non parlare della sinistra radicale. "A proposito della scuola paritaria – ha proseguito l'ex ministro - appare del tutto inverosimile che proprio questo Governo, che della parità ha fatto proclami e promesse da campagna elettorale, abbia invece poi dato molto meno di quanto fece il governo Prodi: i tagli non riguardano solo i fondi alle scuole ma anche le risorse che, pur non andando alle scuole, garantiscono il diritto allo studio di ogni studente, ad esempio i fondi per i corsi di recupero, l`obbligo di istruzione e i libri di testo. In una sola cosa il Governo è stato di parola, quando promise che avrebbe trattato allo stesso modo scuola pubblica e paritaria: infatti – ha concluso Fioroni - ha tagliato a tutti. Ma non era questo ciò che aveva promesso".
Evidentemente, però, una volta al Governo tra i sui rappresentanti è subentrata la sindrome dell’equità: nel cedere fondi (sempre meno) ma soprattutto nell’applicare tagli (che non avevamo mai visto di queste proporzioni). Senza entrare nel merito vorremmo solo far notare che attuare il contrario, lasciando maggiori risorse alle paritarie, avrebbe comportato ulteriori tensioni e dissensi di quelli cui abbiamo assistito sino ad oggi.
Da Disal
lunedì 9 novembre 2009
ScuolaEuropa/Germania: più investimenti nell’istruzione
Le priorità della Germania: educazione, ricerca, docenti, formazione professionale
Tuttoscuola – novembre 2009
Il corretto intreccio tra educazione, ricerca, docenti, formazione professionale sembra l'obiettivo prioritario in Germania nell'orizzonte della politica. La "Repubblica educativa tedesca" è l'ambiziosa intestazione del capitolo del contratto programmatico siglato tra CDU, CSU e FDP, a testimonianza dell'importanza attribuita all'educazione dalla nuova coalizione governativa di centro-liberale. Come se questo non bastasse, per la prima volta nella storia della Repubblica Federale, la parola educazione è inserita nel titolo di un programma di una coalizione di governo, incastonata tra crescita e solidarietà.
La decisione nasce dalla consapevolezza che i mutamenti che investono la società l'economia ed il lavoro impongono uno sforzo di riadeguamento di tutti i canali preposti alla formazione e in primo luogo delle scuole.
La scuola tedesca, al pari di quella italiana, non brilla nelle classifiche internazionali e da anni soffre di una profonda crisi di fiducia. Le responsabilità vengono rimpallate tra il livello federale e quello regionale, quest'ultimo titolare effettivo della competenza in materia di educazione. La coalizione centro-liberale parte dal presupposto che l'educazione è condizione indispensabile per la libertà interiore ed esteriore delle persone e che, assieme alla ricerca, è il fondamento del progresso scientifico e sociale.
Germania-Italia. Si allarga il divario nell'investimento sulla scuola
Tuttoscuola – novembre 2009
Contrariamente a quanto sta avvenendo in Italia, il programma del nuovo governo tedesco prevede, nell'arco della legislatura, un incremento della spesa per l'educazione e la ricerca di ben 12 miliardi di euro. Nel nostro paese, come noto, la manovra del
Accantonato il dibattito sulle tipologie ordinamentali (sistema comprensivo o tripartito), il programma tedesco, per quanto riguarda la scuola, assume come prima priorità il miglioramento delle competenze di base degli allievi, in particolare quelle linguistiche: è previsto uno screening linguistico a quattro anni, con misure compensatrici precoci per coloro che non hanno una insufficiente padronanza della lingua tedesca.
Altre priorità investono lo sviluppo continuo del potenziamento della qualificazione professionale del personale docente, ritenuta condizione indispensabile per il miglioramento dei livelli di qualità del funzionamento dell'educazione e la modernizzazione dell'istruzione professionale per renderla più rispondente alle mutevoli esigenze del mondo del lavoro, senza tuttavia alterarne la struttura sostanziale che la rende una delle più apprezzate al mondo
Da Disal
mercoledì 11 novembre 2009
Ricerca Bankitalia valore istruzione. I rendimenti dell’istruzione
(The private and social return to schooling in
Federico Cingano, Piero Cipollone, settembre 2009
In questo lavoro si discutono i principali fondamenti teorici alla base del calcolo dei rendimenti dell'istruzione e si confrontano le stime disponibili per l'Italia (e le sue regioni) con quelle per i principali paesi sviluppati. I risultati indicano che il tasso di rendimento privato dell'istruzione in Italia è pari a circa il 9 per cento, un valore superiore a quello ottenibile da investimenti finanziari alternativi (ad esempio in titoli) ed è lievemente superiore nelle regioni meridionali rispetto al Centro Nord. Il rendimento sociale è stimato attorno al 7 per cento. Nelle regioni dell'Obiettivo 1 (tutte le regioni meridionali esclusi Abruzzo e Molise) esso è prossimo all'8 per cento e sembrerebbe superiore a quello derivante dall'investimento in infrastrutture. Recenti lavori empirici sugli effetti dell'istruzione per aspetti della vita sociale quali salute, criminalità e scolarizzazione suggeriscono che nel complesso i rendimenti dal punto di vista della collettività sarebbero di entità ancor maggiore.
(allegato Quaderno in pdf in fondo a questa pagina)
Bankitalia: «Investire in titoli di studio rende il 9%, meglio di Bot e azioni»
Il messaggero – 9 novembre 2009
ROMA (7 novembre) - I titoli migliori su cui investire per ottenere rendimenti soddisfacenti non sono azioni e obbligazioni: sono titoli di studio. Diplomi, lauree e master rendono di più, almeno secondo quanto emerge da uno studio realizzato dagli economisti Federico Cingano e Piero Cipollone per Bankitalia. Senza contare che il rendimento è estremamente buono anche se si prendono in considerazione i ritorni per lo Stato e, in particolare, per il fisco.
Dati che il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, commenta così: «Il modo migliore per rispondere alla crisi è prendere atto che siamo nella società della conoscenza, e dunque occorre attrezzarsi, perché sicuramente l'istruzione è l'investimento che a medio termine dà i maggiori risultati».
I rendimenti medi. «L'istruzione è un investimento molto redditizio dal punto di vista individuale» si legge nel paper di Bankitalia. Il rendimento medio privato di un anno di istruzione è infatti dell'8,9%, e varia tra l'8,4% e il 9,1% nelle diverse macro-regioni: studiare rende di più, in termini di ritorno economico, al Sud (9%-9,1%) e per le donne (9,4%). Un rendimento stellare se paragonato ad altre forme di investimento: nel periodo 1950-2000, ricorda lo studio di Bankitalia, la media annuale del rendimento reale lordo di un investimento azionario era del 5,2%, la media del rendimento dei titoli non azionari (dai Bot ai bond societari) dell'1,9% e quello del portafoglio di un investitore "tipo" del 3,6%.
Le chance per il lavoro. Secondo gli esperti di Palazzo Koch, investire in educazione (il capitale iniziale è dato dalle tasse, dai libri di testo, dai mancati guadagni, ecc) frutta il 9,7% per quanto riguarda gli studi superiori (diplomi), con picchi del 10,2% nel Mezzogiorno, e il 10,3% per gli studi universitari (12,3% al Sud, contro l'8,3% al Nord Ovest). Un rendimento calcolato non solo sulla base delle differenze di stipendio tra chi ha studiato di più e chi ha studiato di meno. Ma anche sulle maggiori possibilità di trovare lavoro. Senza tener conto di altri vantaggi per i più istruiti, che emergono spulciando le pagine della ricerca.
Vantaggi collaterali. Alcuni di questi vantaggi, citati dagli esperti di Bankitalia, sono piuttosto curiosi: un anno in più di studio riduce la possibilità di essere in cattiva salute di un valore pari al 4% in meno rispetto alla media. Chi ha il diploma, inoltre, si è garantito studiando lo 0,2% di possibilità in meno di morire nell'arco temporale di 10 anni
Il guadagno sociale. Le cifre sono altrettanto buone, e forse ancora più interessanti, se si prende in considerazione il ritorno sociale dell'investimento, ovvero quanto rende uno stanziamento di soldi pubblici nel capitolo "istruzione". Secondo i calcoli di Bankitalia il ritorno sociale degli investimenti in capitale umano è del 7% circa. Anche in questo caso, il rendimento è più alto al Sud (circa 8%), dove è forse addirittura «superiore a quello derivante dall'investimento in infrastrutture», sottolineano gli esperti di Bankitalia. Insomma, spendere in personale formato e istruito rende di più che mettere soldi nella realizzazione di ponti e strade.
Il tornaconto dello Stato. Se si considerano infine i "rendimenti fiscali" dell'istruzione, ovvero il rendimento per lo Stato ottenuto confrontando l'ammontare di spesa pubblica necessaria a incrementare il livello di istruzione con i benefici che vengono dal maggior gettito fiscale e dai minori costi per l'assistenza sociale ai disoccupati, allora la convenienza di ogni euro investito in cultura balza ancor di più agli occhi: il rendimento è tra il 3,9 e il 4,8% in caso di co-finanziamento, e solo lievemente inferiore nel caso in cui «la spesa gravasse interamente sul bilancio pubblico». Meglio di un'investimento azzeccato in Borsa, dunque.
Bankitalia: nel lungo periodo conviene una maggior spesa pubblica nell'istruzione. Alla luce di questi dati il ministro Gelmini chiederà più risorse a Tremonti per la scuola? «Le riforme prima delle risorse» risponde la titolare del dicastero dell'Istruzione. Anche se Bankitalia garantisce: «La maggior spesa pubblica in istruzione, nel lungo periodo, sarebbe più che compensata, specialmente al Sud».
Studio di Bankitalia: l'istruzione rende piu' di bot e azioni
ANSA - 8 novembre 2009
Per avere un buon ritorno nell'investimento è meglio puntare sull'istruzione: il rendimento si attesterà appena sotto la soglia del 9%, l'8,9% per l'esattezza, mentre per azioni e titoli obbligazionari il ritorno è ora bassissimo. A spiegarlo, conti e tabelle alla mano, è uno studio della Banca d'Italia: "l'istruzione - si legge nella ricerca - è un investimento molto redditizio dal punto di vista individuale".
Il rendimento medio privato di un anno di istruzione è infatti dell'8,9%, e varia tra l'8,4% e il 9,1% delle diverse macro-regioni: studiare rende di più, in termini di ritorno economico, al Sud (9%-9,1%) e per le donne (9,4%). Un rendimento stellare se paragonato ad altre forme di investimento: nel periodo 1950-2000, ricorda lo studio di Bankitalia, la media annuale del rendimento reale lordo di un investimento azionario era del 5,2%, la media del rendimento dei titoli non azionari (dai Bot ai bond societari) dell'1,9% e quello del portafoglio di un investitore "tipo" del 3,6%.
Investire risorse pubbliche in istruzione conviene allo Stato: garantisce ritorni complessivi pari al 7% circa dell'investimento iniziale. Ma soprattutto, in tempi di vacche magre per i conti pubblici, consente di aumentare gli incassi fiscali: il rendimento fiscale in maggiori tasse è pari al 3,9-4,8% di quanto investito. E' quanto riporta lo studio di Bankitalia sui rendimenti dell'istruzione.
Secondo i calcoli di Bankitalia, il ritorno sociale degli investimenti in capitale umano può essere differente anche tra le varie zone: la media italiana del 7% sale fino all'8% del Sud: un rendimento considerato "superiore a quello derivante in infrastrutture". Se si considerano invece i "rendimenti fiscali" dell'istruzione, ovvero il rendimento per lo Stato ottenuto confrontando l'ammontare di spesa pubblica necessaria a incrementare il livello di istruzione con i benefici che vengono dal maggior gettito fiscale e dai minori costi per l'assistenza sociale ai disoccupati, allora la convenienza di ogni euro investito in cultura balza ancor di più agli occhi: il vantaggio per le casse dello Stato può essere valutato tra il 3,9 e il 4,8%.
"Nel lungo periodo - si legge nello studio di Palazzo Koch - la maggior spesa pubblica necessaria a finanziare un aumento del livello di istruzione sarebbe più che compensata, specie al Sud, dall'aumento delle entrate fiscali, a parità di struttura di prelievo, e dai minori costi derivanti dall'aumento del tasso di occupazione".
Fonte: Ansa.it
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10 novembre - da tuttoscuola.com
Gelmini incinta. Necessario un viceministro?
La notizia che a primavera sarà mamma l'ha data lei stessa in una dichiarazione al Giornale.
Il ministro Gelmini attende un figlio per il prossimo marzo; a gennaio prevede il matrimonio.
A memoria non si ricordano altri ministri donne della storia repubblicana che abbiano avuto figli durante l'incarico ministeriale.
Il problema della sua eventuale momentanea sostituzione, comunque, prima o poi si porrà e potrebbe comportare la nomina di un viceministro, anche in considerazione del fatto che già oggi, rispetto a quanto avvenuto da sempre, il Miur soffre di una carenza strutturale del livello politico, in quanto il ministro è affiancato da un solo sottosegretario.
da Il Messaggero
Precari, braccio di ferro governo-Tar
Via all'ingresso a pettine nelle graduatorie
Gelmini: tra 15 giorni si cambia
di Anna Maria Sersale
ROMA (10 novembre) - Sale la tensione tra i precari della scuola. Ieri c’è stato uno sciopero proclamato dall’Anief (l’Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione), l’Associazione che ad aprile si era appellata al Tar.
Anche se è iniziato l’inserimento a “pettine” (non in coda alla lista) dei primi 300 insegnanti che hanno vinto il ricorso al Tribunale amministrativo il clima resta teso. Con l’inserimento dei 300 (fatto dal commissario ad acta) il ministero dell’Istruzione sta rispettando la pronuncia dei giudici, ma la partita non è chiusa. Con il decreto governativo che sarà approvato in via definitiva a Palazzo Madama le sentenze che danno ragione ai ricorrenti «saranno rese nulle». Ecco perché continua il braccio di ferro tra il governo e i precari che rifiutano il decreto salva-precari.
«In Senato il decreto sarà approvato entro dieci giorni - dicono fonti ministeriali - confermando il testo della Camera senza apportare modifiche», pena la decadenza del provvedimento, destinato a scadere il 24 novembre se non arriverà in tempo la conversione in legge. «Le sospensive accordate dal Tar - sottolinea ancora il ministero - saranno di fatto annullate non appena il decreto sarà legge». Quindi, come nel gioco dell’oca, si tornerà indietro, alle «modalità di reclutamento precedentemente stabilite».
Però l’Anief rilancia la vertenza: «Se il Senato confermerà il testo uscito da Montecitorio ci sarà un nuovo ricorso alla magistratura, con richiesta, questa volta, di investire anche
Nel frattempo, i 300 inseriti non hanno certezza di restare in cattedra. Futuro incerto anche per gli altri 7.000 precari che si sono rivolti al Tar. La maggioranza ha blindato il decreto perciò arriverà lo stop del ministero che con la legge in mano bloccherà gli inserimenti “a pettine” di chi si era trasferito fuori dalla propria provincia.
La querelle nasce da problemi antichi. L’Italia ha un esercito di precari, in totale 500mila (compresi gli iscritti nelle graduatorie di istituto), un numero spropositato che fa tremare qualunque governo. La questione è riesplosa dopo i tagli (42mila posti) e dopo che lo scorso aprile il ministro Gelmini ha emanato il decreto per l’aggiornamento delle graduatorie “ad esaurimento” per il biennio 2009/2011.
Già il precedente governo di centro sinistra aveva cercato di combattere la piaga del precariato decidendo che le graduatorie permanenti non potessero più essere tali, introducendo un termine, una fine, un “esaurimento”, appunto. Ma ogni norma in materia, a quanto pare, fa vittime sul campo. Per ora neppure la nuova formulazione del comma 1 del decreto che prevede il passaggio dei contratti a termine (per supplenza) a contratti a tempo indeterminato placa le proteste (il testo originario prevedeva che i contratti temporanei non potessero “in alcun caso” trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato e consentire la maturazione di anzianità). Tra le novità del decreto che verrà approvato in Senato, il via libera alla “graduatoria unica” dal 2011. Non ci si potrà più trasferire da un elenco ad un altro fatta salva la possibilità di iscriversi nelle liste di altre province rispetto alla propria ma solo in coda e non “a pettine”, cioè in base al proprio punteggio.
Discussioni un' Ora Obbligatoria per Tutti da
Scuola Così la democrazia diventa catechismo
«Cittadinanza e Costituzione» è la materia di studio che per la prima volta da quest' anno ha lo scopo di formare l' «Uomo Nuovo».
Non sono molti gli italiani a conoscenza del fatto che a partire da quest'manno in tutte le scuole della Repubblica, sia nel primo che nel secondo ciclo, viene insegnata per un' ora alla settimana una nuova materia: «Cittadinanza e Costituzione». Dunque d' ora in poi, dai sei ai diciotto anni, per un totale non insignificante di 429 ore, ad ogni giovane del nostro Paese saranno impartite le opportune nozioni per diventare un cittadino modello, nel senso, come vedremo, di «un perfetto democratico». E si badi: questa volta si tratta di un insegnamento a sé stante, autonomo, il cui voto ha lo stesso valore di quello di qualsiasi altro; insomma un vero e proprio salto di qualità rispetto all' «Educazione civica» o all' «Educazione alla convivenza democratica» di una volta, che erano collocate come appendici di altre materie. Si compie così un nuovo, decisivo, passo avanti lungo quella china micidiale che sta portando la scuola italiana al disastro: cioè la sua trasformazione dal luogo di apprendimento che era un tempo a una sorta di insignificante agenzia alla socializzazione. Un mutamento genetico in atto da almeno tre decenni, che è rispecchiato nel modo più impressionante dal gergo insulso e insieme pomposo con cui è ormai redatto ogni documento ministeriale riguardante l' insegnamento, infarcito di «itinerari formativi», di «percorsi di responsabilità partecipate», di «prese di coscienza», di «mappe concettuali» e via di questo passo. Del resto in uno «Statuto delle studentesse e degli studenti», elaborato a suo tempo dal ministro Berlinguer e peraltro caduto immediatamente nel dimenticatoio, non si definiva forse la scuola, badando bene a evitare la parola tabù «studio», «una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni»? Definizione perspicua che potrebbe altrettanto bene attagliarsi per il Touring Club o per una colonia sansimoniana. Il «Documento d' indirizzo» emanato dal Ministero nel marzo di quest'anno per spiegare in che cosa consista l' insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione» è per l' appunto un esempio perfetto di questo gergo pedagogico-democratico. Ed è sintomatico della vischiosità burocratica che domina nei ministeri, oltre che della grande timidezza culturale della destra italiana, il fatto che al documento stesso (beninteso non solo per come è scritto ma specialmente per quello che dice) abbia apposto la sua firma il ministro Gelmini. La quale, com' è normale per questo genere di documenti, non ne è l' autrice, ma evidentemente non ha potuto fare altro che adeguarsi alle idee e alle parole di colui che è invece il vero autore dello scritto, cioè Luciano Corradini. Vale a dire uno dei massimi esponenti di quell'oligarchia accademico-ministeriale d'ispirazione infallibilmente «progressista», in questo caso nella sua versione cattolica, accumulatrice di cariche di ogni tipo, la quale da anni gestisce a suo piacere la scuola italiana e che anche in questo caso ha puntualmente presieduto il gruppo di lavoro ministeriale per l' insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione». Una scelta appropriata, bisogna peraltro ammettere, dal momento che il caposaldo del Corradini-pensiero e dei tanti che lo condividono è proprio l' ineluttabilità, che dico l' assoluta necessità, del passaggio dall'Istruzione, tipica della vecchia scuola liberal-classista-nozionista, all' Educazione, irraggiante invece roussoiana libertà e armonia. In questa prospettiva «Cittadinanza e Costituzione» è chiamata per l' appunto a rappresentare il vertice dell' Educazione. Il documento in parola assegna alla scuola lo scopo, in pratica, di formare nulla di meno che l' Uomo Nuovo. Stando a ciò che si legge, essa infatti dovrebbe insegnare non solo «il riconoscimento e la promozione della capacità da parte dello studente di assumersi la responsabilità cognitivo-emozionale delle proprie intenzioni e azioni» (in un ragazzo, chessò, di 15 anni?), ma altresì come «maturare la propria capacità di cercare e di dare un senso all' esistenza»: sì, avete letto bene: «Dare un senso all' esistenza». Il tutto, naturalmente, sempre sotto l' etichetta di «Cittadinanza e Costituzione». Che in tal modo diviene l' insegna di un prescrittivismo buonista le cui ambizioni sembrano non conoscere limiti. In un crescendo di titanismo pedagogico quasi delirante, il documento corradiniano-ministeriale infatti proclama che la materia in parola dovrà insegnare a essere «solidali», «responsabili», «consapevoli», inoltre pronti al «dialogo», all' «interscambio culturale», a stare dalla parte dei «diritti umani» e «delle altre culture»; ancora: ad essere capaci di «gestire conflittualità e incertezze» (?), «promuovere il benessere proprio e altrui» (?), «esprimere sentimenti, emozioni e attese nel rispetto di se stessi e degli altri», «esprimere autenticamente se stessi». Nient'altro. Non senza naturalmente una doverosa avvertenza finale: ognuno dei traguardi pedagogico-morali di cui sopra va inserito - e chi poteva dubitarne? - «nella prospettiva di un' etica universale» (pp. 12-15 e 18). È così che si realizza, attraverso la perdita di centralità dell' Istruzione nell' ideologia dell' istituzione scolastica prima ancora che nei programmi, attraverso l' assegnazione alla scuola di compiti educativi che ostentatamente prescindono dall' Istruzione, il distacco gravissimo tra la dimensione dell' Educazione e quella della Cultura. È per questa via che si compie il passaggio dalla scuola dei saperi, in cui si andava per apprendere qualcosa, a quella - come leggiamo nei documenti ufficiali - dove invece si compiono «percorsi formativi» e si acquisiscono «competenze». Ed è così che, alla fine, dalla scuola della pagella si passa a quella del certificato di civismo. Ma ciò che in questo modo si perde - che in sostanza anzi sembra essere già perduto - è qualcosa di decisivo: è né più né meno che la consapevolezza del valore moralmente educativo del sapere in quanto tale. L' idea, cioè, cara a tutta la tradizione umanistica occidentale, anzi cuore stesso di tale tradizione, che
RIPRODUZIONE RISERVATA Il teorico Luciano Corradini ha presieduto il gruppo di lavoro ministeriale per l' insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione». Laureato in filosofia, 75 anni, già sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel 1995-1996, presidente dell' Unione cattolica italiana insegnanti medi e dell' Associazione italiana docenti universitari Ecco la prosa burocratica La sfida maggiore investe i docenti di tutte le aree disciplinari, che devono ricercare e valorizzare i contenuti, le metodologie e le forme di relazione e valutazione degli apprendimenti che maggiormente favoriscono la partecipazione e il coinvolgimento degli alunni, la percezione di star bene a scuola, la consapevolezza di essere in una comunità che accoglie, che mette in pratica le regole del vivere civile e sociale, che dialoga con le istituzioni e con la società civile organizzata, che sa apprendere. (Dal «Documento di indirizzo per la sperimentazione dell' insegnamento di Cittadinanza e Costituzione», 4 marzo 2009)
Galli Della Loggia Ernesto
Cittadinanza e costituzione materia senza voto
Cittadinanza e costituzione non avrà voto in pagella
Tuttoscuola – 11 novembre 2009
Il Corriere della sera ha dato spazio in questi giorni ad un interessante dibattito su Cittadinanza e Costituzione, provocato da un editoriale di Ernesto Galli Della Loggia che ha criticato l'idea di una apposita "educazione" mirata, preferendo invece quella di una istruzione di base per favorire una cultura in merito.
Al dibattito, cui hanno preso parte vari esponenti del mondo culturale e scolastico, ha partecipato anche il ministro Gelmini la quale ha fornito alcune precisazioni che servono a fugare molti dubbi in merito.
"Cittadinanza e Costituzione non sarà una materia a sé stante, non darà luogo a un voto né prevederà un testo base".
Le precisazioni risultano quanto mai opportune, considerate le incertezze in materia.
L'articolo 1 della legge 169/2008 ha introdotto l'insegnamento di "Cittadinanza e Costituzione" sotto forma di sperimentazione nazionale "nell'ambito delle aree storico-geografica e storico sociale e del monte ore complessive previste dalle stesse".
Non vi è, dunque, una quantificazione oraria di tale insegnamento né è previsto che abbia una specifica valutazione.
da tuttoscuola.com
Sezioni primavera. Pubblicato finalmente l'accordo
Quasi un giallo dietro la pubblicazione
A distanza di quasi due settimane è stato pubblicato finalmente l'accordo sulle sezioni primavera, sottoscritto dalla Conferenza Unificata il 29 ottore scorso.
Dietro la mancata pubblicazione dell'accordo c'è stato un vero e proprio giallo, perché, mentre sui siti della Conferenza delle Regioni e dell'Anci si dava informazione dell'avvenuto accordo, sull sito ufficiale della Conferenza Unificata venivano pubblicati tutti gli atti ufficiali della seduta del 29 ottobre, con la sola esclusione proprio dell'accordo delle sezioni primavera.
L'accordo sembrava non essere mai avvenuto.
Da fonte sindacale si è appreso che nella intensa attività deliberativa di quella seduta vi sono state alcune omissioni di verbalizzazione che hanno reso necessaria la sbobinatura della registrazione degli interventi per ritrovare, finalmente, le esatte decisioni riguardanti le sezioni primavera.
Il testo, sistemato e sottoscritto anche dal ministro Fitto, è ora definitivo e ufficiale a tutti gli effetti.
da tuttoscuola.com
Audizioni alla Camera per i regolamenti della secondaria
Continuano alla Camera le audizioni in vista del parere finale sugli schemi di regolamento per la riforma delle superiori.
Dopo l'audizione dei sindacati della scuola e delle associazioni dei genitori della settimana scorsa, domani
Bertagna ha avuto un ruolo importante nella definizione della riforma Moratti e, in particolare, in quella dei licei che in buona sostanza viene riproposta nello specifico schema di regolamento del ministro Gelmini.
De Toni è stato il presidente di Commissione per la riforma dei tecnici e dei professionali, secondo il progetto voluto dal ministro Fioroni e fatto proprio sostanzialmente dal ministro Gelmini.
Nel corso della mattinata saranno sentite sui tre schemi di regolamento altre associazioni professionali dei docenti e il forum delle Associazioni studentesche.
Al termine del ciclo di audizioni
Una volta raccolti i pareri delle Commissioni parlamentari, gli schemi di regolamento verranno sottoposti al parere del Consiglio di Stato, prima della approvazione definitiva da parte del Consiglio dei ministri.
Camera dei Deputati – VII Commissione Istruzione
Nella seduta di martedì 10 novembre il sottosegretario Pizza ha risposto ad alcune interrogazioni fra le quali alcune su scuola e università [57].
Nella seduta di mercoledì 11 novembre, nell’ambito dell’indagine conoscitiva dello stato della ricerca in Italia, si è svolta in Commissione l’audizione dell'onorevole Bart Gordon, presidente della Commissione scienza e tecnologia della Camera dei rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti d'America [90]. Quindi
Nella seduta di giovedì 12 novembre si sono svolte in Commissione alcune audizioni informali nell'ambito dell'esame degli schemi di regolamento nn. 132, 133 e
Senato – VII Commissione Istruzione
Nella seduta di martedì 10 novembre
- Regolamento concernente la revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei Atto n. 132 [http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer?tipo=BGT&id=435382]
- Regolamento concernente norme sul riordino degli istituti tecnici
Atto n. 133 [http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer?tipo=BGT&id=435415]
- Regolamento concernente norme sul riordino degli istituti professionali
Atto n. 134 [http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer?tipo=BGT&id=435414]
Dopo una breve introduzione del Presidente circa le audizioni svolte dall'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi, i relatori Asciutti, de Eccher e Pittoni hanno svolto le rispettive relazioni introduttive. Il seguito dell'esame congiunto è stato quindi rinviato.
Nella seduta di mercoledì 11 novembre
Nella seduta di giovedì 12 novembre
11 novembre - da Corriere.it
In attesa - Il parto previsto ad aprile: «Un gesto di ottimismo contro la crisi»
Gelmini e la maternità
«A casa neanche un giorno»
«Mai stata così bene, ma mi servirà una nursery al ministero»
MILANO - Mariastella Gelmini da Leno (Brescia), ministro dell’Istruzione, non ci pensa neppure un istante: «Quanto mi fermerò? Io non starò a casa neppure un giorno ». Il ministro in aprile diventerà mamma, dopo aver sposato, il prossimo febbraio, il compagno Giorgio Patelli. Ma, appunto, non pensa affatto di doversi fermare in occasione della nascita del piccolo. O della piccola: al momento, Gelmini ancora non conosce il sesso del figlio in arrivo. Mamma e ministro, sembra un bell’impegno: mestieri assai meno stressanti sono già difficili da coniugare con la vita lavorativa. «È vero — osserva lei — eppure io vedo che ci sono milioni di mamme che riescono a fare bene entrambe le cose. Certo, a prezzo di qualche sacrificio, di qualche fatica... ». Mariastella Gelmini sembra aver finito, ma poi riprende: «Inoltre, la vuol sapere una cosa? Io non sono mai stata così bene. Mi sento in stato di grazia, molto più forte rispetto al solito. Mi sento dentro l’energia e l’entusiasmo per fare tutto quello che ho di fronte».
Eppure, il rischio di non poter seguire il figlio come si vorrebbe, soprattutto in un caso come questo, esiste: «Lei crede? Di certo, il modello anni Ottanta della donna in carriera che rinuncia ai figli, alla famiglia e più in generale alla vita personale in nome del lavoro non mi appartiene. Piuttosto, ho trovato molto interessante l’ultima opera di Maurizio Ferrera». E cioè, Il fattore D. Perché il lavoro delle donne farà crescere l’Italia . Un titolo che potrebbe essere un programma politico.
In ogni caso, Gelmini non ritiene che il tempo a disposizione del figlio sarà poi così poco: «Io mi sono sempre tenuta degli spazi per la mia vita privata, servono a mantenere equilibrio e a ossigenare la mente. E comunque, le donne sono poliedriche, da sempre conciliano tante attività. Io poi sono tedesca, organizzatissima». Probabilmente, qualche collega di Mariastella Gelmini avrebbe preferito che la ministro si prendesse un ben più lungo «congedo» di maternità: «Qualcuno credo lo abbia pensato. Ma nessuno me lo ha detto. La cosa più divertente è venuta da un parlamentare dell’opposizione, Guido Galperti, bresciano come me: 'Finalmente — mi ha detto — fai una cosa seria'».
Va anche ricordato che, oltre al lavoro di coordinatrice delle attività scolastiche nazionali, a pesare potrebbe anche essere il fattore mediatico, i riflettori sempre accesi: «Certo — riconosce Gelmini —, ma è inevitabile. Il mio ministero entra nel quotidiano di milioni di famiglie, è una realtà molto... nazionalpopolare. Ma ripeto, sono sicura di farcela». La sua guida è il ministro all’Ambiente, Stefania Prestigiacomo: «Lei ha vissuto la stessa esperienza durante lo scorso governo Berlusconi, e mi pare che sia riuscita a fare il suo lavoro egregiamente. Spero di riuscirci anch’io. Che devo dire? Metterò una nursery al ministero». La più famosa d’Italia, forse, è proprio quella che
E il premier? Silvio Berlusconi ha saputo la novità qualche giorno fa: «Mi è sembrato davvero emozionato — racconta lei —, quasi commosso. Mi ha detto dell’emozione per la nascita degli ultimi nipotini, che questa è la cosa più bella che possa capitarmi nella vita. E che la nascita porterà fortuna anche al governo». Ma Mariastella Gelmini non ha qualche apprensione? «Soprattutto una: che il bambino non dorma».
Marco Cremonesi
Degli applausi faccio a meno
La più odiata dalla sinistra.
La chiamano «beata ignoranza». Le rinfacciano il curriculum scolastico.
Il ministro dell’istruzione ribatte, tranquilla: «Attaccano me per colpire Berlusconi».
Intervista a Mariastella Gelmini di Laura Maragnani
Panorama – 12 novembre 2009
Difficile trovare, nella storia della Repubblica, un ministro più contestato di Mariastella Gelmini da Leno, provincia di Brescia. Da piccola voleva fare la ballerina. Poi l’avvocato. Più avanti nella vita, il ministro all’Agricoltura. E invece eccola qui, a 36 anni: Istruzione. Nell’ufficio che fu di Giovanni Gentile. Firmataria della prima riforma delle scuole superiori dal 1923, dai tempi di Gentile per l’appunto. Autrice di una riforma dell’università che ha messo in fibrillazione gli atenei. Promotrice del grembiule a scuola, del voto in condotta, del maestro unico alle elementari. Notorio: ha i precari che manifestano in mutande davanti al ministero. I genitori e i sindacati che l’attaccano. Gli studenti che la insultano. Ma lei, inossidabile nei suoi abitini a fiori: «Fare politica non vuol dire andare in cerca dell’applauso immediato». No? «Le scelte impopolari hanno bisogno di tempo per essere capire e apprezzate».
Tosta?
Me lo dicono spesso: sei una donna con le palle. Ma senza determinazione non si arriva da nessuna parte.
Lei ci è arrivata.
Gavetta.
O l’incontro fatale con Silvio Berlusconi?
So benissimo quel che si dice delle donne che hanno fatto strada nel Pdl. Ma ripeto: gavetta. Io ero consigliere comunale a Desenzano già nel 1998.
E presidente del consiglio comunale: sfiduciata per «incapacità» nel 2000.
Ringrazio la sinistra e i colleghi di partito che si sono alleati contro di me, sia pure per motivi poco nobili. È stata la mia fortuna.
Cioè?
Due volte assessore in provincia, prima all’Urbanistica e poi all’Agricoltura. Eletta in regione nel 2005 con 17.500 preferenze, record di Forza Italia. E nessuno raccoglie 17,500 preferenze se non sa fare politica.
Infatti: subito promossa a coordinatore di FI in Lombardia.
Già. Quando il partito era spaccato tra i ciellini di Roberto Formigoni e i laici di Paolo Romani. Non si parlavano nemmeno.
Risultato: la famosa «pax gelminiana».
Mediazione. Mio padre era il sindaco dc del paese. Io sono andata all’oratorio, ho la mediazione nel sangue.
Al ministero dov’è la pax?
Rispetto al 2008 vedo maggiore serenità.
Però lei è sempre la ministra più odiata.
Ma solo dalla sinistra. Perché la sinistra ha sempre pensato di avere una sorta di esclusiva morale sull’istruzione. Era concettualmente inaccettabile che il centrodestra potesse dire o fare qualcosa. Come se ci fosse un’inferiorità culturale a priori.
La chiamano infatti «beata Ignoranza» nei «santini» distribuiti ai cortei degli studenti...
Mi hanno detto di tutto.
…e rinfacciato il curriculum scolastico anonimo, la laurea senza lode, l’esame per diventare avvocato sostenuto in Calabria dove era più facile essere promossi. Le brucia?
Non sono mai stata bocciata né rimandata. Non ero la prima della classe, ma a scuola ho sempre avuto buoni voti. Maturità con 50/60. Laurea con 100/110. E allora?
Allora?
All’aggressione, all’ironia, alla calunnia ci ho fatto il callo. Attaccare me è un modo per attaccare Berlusconi, l’unico mentore a cui dico grazie: alle donne e ai giovani ha offerto delle chance. Ma la gavetta ce l’ho messa di mio.
«Più risorse ai poli avanzati»
Click day. Allo studio forme diverse per accedere agli sgravi sugli investimenti
Bruxelles. Il programma quadro Ue prevede fondi totali per 100 miliardi
Il ministro Gelmini: inutili gli aiuti a pioggia, concentriamoci sulle eccellenze
Intervista a Mariastella Gelmini di Franco Vergnano
Il Sole 24 Ore – 6 novembre 2009
Nel terzo millennio la ricerca si fa in squadra. Ed è proprio per questo che il ministro per l’Istruzione, l’università e la ricerca, Mariastella Gelmimi, inserirà nel nuovo piano il concetto di «costellazione di imprese».
Ministro Gelmini, nelle classifiche internazionali l’Italia risulta in coda nelle spese di ricerca misurate come percentuale del Prodotto interno lordo. Con quali effetti sul nostro sistema produttivo?
La ricerca è un fattore essenziale per sviluppo e occupazione. La riforma universitaria, sulla promozione dei giovani e sul merito, fa parte di questa strategia. Senza promuovere l’eccellenza e la concentrazione delle risorse nei poli avanzati, non è possibile pensare di raggiungere gli obiettivi di Lisbona per la ricerca Ue, che prevede per l’Italia di investire il 2,5% del Pil.
Gli economisti più attenti sostengono che le aziende, specie le Pmi dei distretti, fanno moltissima innovazione incrementale, sul modello giapponese del kaizen, che viene sistematicamente incorporata nel prodotto finale. In sostanza parecchia ricerca effettuata dall’Italia non risulta formalizzata anche perché le statistiche tengono conto solo di quella dei grandi gruppi, in laboratorio. Che cosa ne pensa?
Siamo un paese dove l’innovazione è diffusa molto più capillarmente di quanto l’Ocse non riesca a valutare. Si pensi alle eccellenze nella fisica nucleare nell’aerospaziale o nella tutela del patrimonio culturale per le quali siamo al top nel mondo.
Che cosa prevede il nuovo programma nazionale in gestazione?
Il piano della ricerca tiene fortemente conto del tessuto connettivo italiano coinvolgendo l’industria nel processo di definizione degli obiettivi. La creatività è un elemento del patrimonio genetico delle Pmi e l’innovazione è parte fondativa della nostra imprenditorialità. Lo sforzo che sto facendo è quello di favorire l’aggregazione delle Pmi per meglio affrontare le sfide della competitività internazionale, creando massa critica in termini patrimoniali ed economici.
Che obiettivi specifici si è data?
Nella definizione delle priorità del prossimo bando sulla ricerca industriale del piano operativo nazionale di ricerca è stato elaborato per la prima volta il concetto di costellazione di imprese, proprio in attuazione di una strategia di squadra.
L’Italia, come accennato, ha numerosi esempi di eccellenza, specie nell’innovazione dei settori chiave della nostra industria: le
Non è affatto una contraddizione. Esistono, come dicevo, molte altre eccellenze della nostra ricerca, al di là de distretti. Il lavoro che sto portando avanti è quello di valorizzarle tutte il più possibile, evitando la polverizzazione delle risorse, anche per poter essere più competitivi nella Ue ed attingere così più efficacemente ai fondi europei. Ho voluto la ricostituzione della direzione generale per l’Internazionalizzazione della ricerca come un segnale molto chiaro in tal senso.
Il rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo, propone (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) un piano Marshall della ricerca per l’economia. Che cosa ne pensa?
Il rettore Profumo ha ragione a parlare della necessità di un programma d’azione forte su questo tema. Ma, a differenza del piano Marshall, che aveva aiuti stranieri, il mio piano nazionale, ormai in dirittura d’arrivo, mira a ottimizzare l’uso delle risorse nazionali e ad attrarre il massimo delle risorse Ue.
Quali sono i fondi che pensa di mettere a disposizione del sistema?
Su questo punto ho il sostegno della conferenza de Rettori che ha compreso e sostiene la mia strategia dell’internazionalizzazione. Il programma quadro Ue vale 50 miliardi. Il prossimo, a partire dal 2013, sarà di oltre 100 miliardi. L’Italia parteciperà attivamente sia alla seconda fase del programma in corso sia alla definizione delle priorità dell’ottavo per costruire bandi il più possibile vicini alle priorità e alle eccellenze della ricerca italiana e migliorare quindi la nostra competitività internazionale.
Quali sono le novità del programma nazionale della ricerca 2009-2013?
La promozione delle eccellenze è uno dei principi guida, insieme all’aggregazione delle risorse intorno a questi poli, alla promozione dei talenti e all’internazionalizzazione. Per la definizione delle priorità abbiamo voluto il massimo coinvolgimento degli altri ministeri, delle regioni, delle università, degli enti pubblici di ricerca, dell’industria e delle parti sociali.
Come pensate di andare incontro alle richieste delle imprese?
Le aziende attraversano un momento difficile. La soluzione non sono gli aiuti a pioggia, bensì la collaborazione nella definizione di obiettivi più ambiziosi che rilancino l’innovazione come volano economico del paese.
Che cosa si può fare per evitare altre delusioni tipo cick day sul credito d’imposta alla ricerca?
Stiamo lavorando, insieme ai ministeri dell’Economia e delle Finanze e dello Sviluppo economico, titolari ditale competenza, per trovare le maggiori forme possibili di incentivo che favoriscano gli investimenti privati. Si tratta di un work in progress che deve tener conto di tutte le necessità economiche del paese e che costituisce per me una priorità assoluta.
Finanziamenti alle scuole paritarie
Tuttoscuola – 12 novembre 2009
Il presidente della Cei, cardinal Angelo Bagnasco, ha aperto nel pomeriggio l'Assemblea Generale dei vescovi italiani. In questa occasione, ha auspicato che, per quel che riguarda "i fondi destinati al sistema dell'istruzione non statale, cioè alla scuola libera", "le cifre inizialmente previste con decurtazioni consistenti, possano essere prontamente reintegrate in modo da consentire agli enti erogatori dei servizi di mantenere gli impegni già assunti".
Il cardinale ha poi ribadito le riserve della Cei sull'ora di religione islamica. "Non è in discussione - ha spiegato il presidente dei vescovi italiani - la libertà religiosa di chicchessia, ma la peculiarità della scuola e le sue specifiche finalità che, in uno stato positivamente laico, sono di ordine culturale ed educativo".
Il porporato ha dichiarato che l'insegnamento della religione cattolica "non è un'ora di catechismo" ma una occasione di conoscenza di una fede che fa parte del "patrimonio storico del popolo italiano".
Fioroni: ''Sulla scuola paritaria Governo inadempiente''
L'ex-ministro dell'istruzione, on. Giuseppe Fioroni, condivide i richiami della Cei, soprattutto riguardo alla necessità di svelenire il clima politico per consentire al Paese di crescere.
Per quanto riguarda la situazione della scuola paritaria, anch'essa oggetto di attenzione e di lagnanza da parte del cardinale Bagnasco, l'on. Fioroni dichiara come appaia "del tutto inverosimile che proprio questo governo, che della parità ha fatto proclami e promesse da campagna elettorale, abbia invece poi dato molto meno di quanto fece il governo Prodi".
"I tagli - ha affermato l'ex-ministro - non riguardano solo i fondi alle scuole ma anche le risorse che, pur non andando alle scuole, garantiscono il diritto allo studio di ogni studente, ad esempio i fondi per i corsi di recupero, l'obbligo di istruzione e i libri di testo".
Fioroni, in questo caso, non ha fatto riferimento a quanto in modo analogo, se pur in quantità minori, aveva disposto lo stesso governo Prodi per i tagli di organico.
"In una sola cosa il governo è stato di parola - ha osservato ironicamente Fioroni - quando promise che avrebbe trattato allo stesso modo scuola pubblica e paritaria: infatti ha tagliato a tutti. Ma non era questo ciò che aveva promesso".
Rusconi (PD) denuncia la riduzione del finanziamento alle scuole dell'infanzia paritarie
"L'anno scorso sono stati tagliati 133 milioni, ne sono stati restituiti 120 ma in modo così confuso che agli istituti scolastici non sono ancora pervenuti. Quest'anno altri tagli per oltre 135 milioni, rispetto a quanto garantito dal ministro Fioroni". È quanto denuncia il senatore Antonio Rusconi, capogruppo PD in commissione istruzione al Senato.
"È vergognoso che chiudano le scuole materne paritarie" ha denunciato il parlamentare che, rivolgendosi al ministro Gelmini ha chiesto "meno convegni e più fatti in Parlamento", in quanto, a suo dire, nei numerosi convegni ai quali il ministro partecipa "non fa che vantare i provvedimenti migliorativi del Governo per il bene della scuola, salvo poi smentire tutto nei fatti e nelle sedi competenti".
La presa di posizione del senatore è anche dovuta alla bocciatura di un suo ordine del giorno, bocciato nel corso della approvazione della legge finanziaria, finalizzato a reperire le risorse necessarie per assicurare il funzionamento delle scuole dell'infanzia paritarie.
Rusconi ha ricordato che le risorse tagliate sono necessarie per consentire la sopravvivenza alle scuole dell'infanzia paritarie che in molti piccoli comuni sono le uniche possibili.
Nei giorni scorsi una pressante richiesta al governo e alla maggioranza parlamentare di assicurare le risorse finanziarie necessarie per il funzionamento delle scuole dell'infanzia paritarie era venuto dalla Fism,
da Tecnica della Scuola
Il Ministro "apre" su riforme e precariato
di R.P.
Secondo
Si è svolto nel pomeriggio dell’11 novembre il previsto incontro fra i sindacati e il Ministro Mariastella Gelmini sulle diverse questioni aperte (organici, riforme, contratto e precariato).
Secondo Cisl-Scuola il ministro Gelmini avrebbe manifestato alcune significative “aperture”.
Innanzitutto sembra che il Ministro potrebbe accogliere la richiesta che da più parti viene avanzata di rinviare di un anno l’avvio della riforma della secondaria di secondo grado o perlomeno di coinvolgere nel 2010/2011 solamente le classi prime e non anche le secondo come previsto dallo schema di Regolamento.
Un’altra “concessione” del Ministro - stando sempre al resoconto di Cisl-Scuola - riguarderebbe la questione del precariato.
Del tutto diversa la versione di Flc-Cgil che non fa nessun accenno agli impegni assunti dal Ministro ma fa l’elenco delle richieste che sono state presentate nel corso dell’incontro: maggiori risorse per il rinnovo del Ccnl, assunzioni stabili per i precari, un confronto vero sulla riforma della secondaria superiore.
Su questo ultimo punto il sindacato di Mimmo Pantaleo sottolinea che “la compressione dei tempi di approvazione dei regolamenti renderà impraticabile una vera attività di informazione a genitori e studenti sulle scelte che essi dovranno esprimere sul proprio futuro formativo”.
Sul contratto
E, per finire, la questione degli organici: i sindacati hanno chiesto che per il 2010/2011 si sospendano i tagli previsti dalla legge 133.
Riforma dei licei: nei regolamenti la chiave per l'autonomia didattica
di Fabrizio Foschi
ilsussidiario.net – 13 novembre 2009
La riforma della scuola secondaria di secondo grado sembra avviata, una buona volta, su un binario che si annuncia scorrevole. Per quanto l’itinerario al termine del quale gli attuali tre regolamenti che presiedono al riassetto del sistema d’istruzione (riguardanti i nuovi istituti tecnici, i nuovi istituti professionali e i nuovi licei) non sia ancora completato (mancano i pareri delle commissioni parlamentari e quello del Consiglio di Stato) dopo lo sblocco avvenuto in Conferenza Stato-Regioni, che il parere necessario l’ha espresso, seppure articolato e comunque non vincolante, grosse insidie non se ne presagiscono.
Ora le scuole sanno che il termine per le iscrizioni alle classi prime del prossimo anno scolastico 2010-2011 (quello in cui partirà la riforma) è spostato al 27 febbraio. Da qui a quella data dovrebbero essere messe in atto da parte dell’amministrazione centrale misure di informazione e aggiornamento sul riordino del sistema.
Vale la pena chiedersi quali siano i punti di forza di una manovra in parte di ritocco, in parte di revisione piuttosto profonda dell’esistente.
Al di là di ciò che potrà essere divulgato, magari in forma un po’ schematica, e di ciò che sarà effettivamente recepito dalla base, ci pare che al punto di incrocio delle due coordinate apparentemente antitetiche su cui si muove la riforma (razionalizzazione delle risorse ed innalzamento della qualità dell’offerta formativa) si collochi ancora una volta l’autonomia scolastica, intesa come autonomia didattica e organizzativa, posto che quella finanziaria per il nostro Paese è ancora un’Araba Fenice.
Le scuole superiori dovranno muoversi, e i loro dirigenti attivarsi, e i loro insegnanti rimettere mano al senso più profondo della professione che implica la lettura delle esigenze dei loro studenti e la capacità di implicarsi nelle risposte.
Questa constatazione deriva dal confronto fra le ultime versioni dei Regolamenti di cui s’è avuta notizia, stante che la redazione ufficiale non è stata ancora resa pubblica (sì invece sintesi e anticipazioni a cura del Miur).
Bene: nel Regolamento concernente la sistemazione dei licei, per cui gli attuali 396 indirizzi sperimentali e 51 progetti assistiti dal Ministero, dovrebbero confluire nei sei modelli fondamentali (artistico, classico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico e delle scienze umane), si legge (ultima versione del 2 luglio 2009) che «nell’ambito delle dotazioni organiche del personale docente che annualmente vengono definite con il decreto interministeriale […] viene previsto un contingente di organico da assegnare alle singole istituzioni scolastiche e/o disponibile attraverso gli accordi di rete […] con il quale le istituzioni scolastiche medesime possono potenziare gli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti e/o attivare ulteriori insegnamenti» (art. 10, comma 3).
Sembrano bizantinismi, ma in realtà le parole pesano. Dire che «viene previsto un contingente di organico da assegnare» e dire che «il contingente di organico viene assegnato» non è la stessa cosa. Di mezzo si pone la possibilità delle scuole autonome di prevedere e richiedere un certo tipo di organico funzionale al piano dell’offerta formativa che annualmente è proposto alle famiglie e che rappresenta il profilo del singolo istituto.
All’organico funzionale si riferiva, tra l’altro, il DM n.71/1999 che esplicitamente collegava l’organico all’autonomia.
I tempi sono profondamente cambiati e la determinazione degli organici deve oggi fare i conti con la riduzione delle dotazioni su base nazionale. Questo tuttavia non implica che, pur entro le attuali ristrettezze, non si possa, mediante compensazioni e accordi di rete tra scuole, richiedere e fare di tutto per ottenere un organico di istituto adeguato ai percorsi che la scuola si prefigge.
Le condizioni perché questo possa accadere, almeno nei licei (i tecnici e i professionali presentano un quadro più rigido) sono due.
La prima è la comprensione da parte delle scuole delle quote di flessibilità che sono loro rimesse sul monte ore complessivo dell’orario delle discipline: a seconda dei casi, fino al 35% nei tecnici, fino al 40% nei professionali, fino al 30% nei licei. Sono quote che servono per disegnare opzioni all’interno degli indirizzi e dei quadri orario che sono stabiliti centralmente e non sono modificabili nella loro consistenza ultima. Da questo punto di vista, con la riforma alle porte, pare urgente l’attivazione di un piano di formazione a cui le associazioni professionali possono contribuire con il loro patrimonio di esperienze, data la lentezza cronica della macchina centrale a muoversi.
La seconda riguarda proprio i passaggi che i regolamenti stanno compiendo prima di giungere al varo finale e rivestire la forma del Dpr. È utile che la formulazione che abbiamo citato resti e che anzi si faccia di tutto per chiarirla con simulazioni e il ricorso ad esempi di flessibilità che già sono stati realizzati da scuole che non hanno atteso chissà quale palingenesi per muoversi.
In tutte e due i casi è in questione un metodo di lavoro che non può prescindere da una concezione che si possiede del proprio lavoro e della dignità della persona che lo compie: insegnante, esperto o funzionario ministeriale che sia.
13 novembre - da Repubblica
"Scuola, nullo il concorso truffa" in Sicilia 300 presidi a rischio
SALVO INTRAVAIA
PALERMO - Terremoto nella scuola siciliana. I giudici amministrativi annullano il concorso per presidi del 2004 con il quale sono stati reclutati oltre 300 capi d´istituto. Ma la sentenza del tribunale potrebbe essere cancellata da una legge, già votata alla Camera e ora in discussione al Senato. In questo modo, il Parlamento – dopo la vicenda delle graduatorie dei precari sulle quali il Tar Lazio si è pronunciato commissariando il ministero – si appresta a demolire un´altra sentenza dei giudici: quella che prevede, appunto, l´annullamento del concorso per dirigente scolastico bandito nel
da tuttoscuola.com
Tavolo tecnico per assegnare il 30% dei risparmi
L'articolo 64 della legge 133/2008 prevede che il 30% dei risparmi ottenuti con gli interventi di razionalizzazione vengano assegnati al personale scolastico per la valorizzazione e lo sviluppo professionale.
Le risorse verranno assegnate, previa verifica dei risparmi conseguiti, a partire dal 2010.
Se ne è parlato nei giorni scorsi nell'incontro che il ministro Gelmini ha avuto con i rappresentanti sindacali della scuola.
Il ministro ha dichiarato che intende dar corso quanto prima alla procedura di assegnazione delle risorse, costituendo un apposito tavolo tecnico.
La delegazione dell'Anp ha dichiarato "piena disponibilità a partecipare al tavolo tecnico proposto dal Ministro, affinché si apra un utile confronto sull'utilizzazione del 30% dei risparmi e sulla sua rapida messa a disposizione soprattutto al fine di introdurre meccanismi di valutazione del merito e di premialità".
da tuttoscuola.com
Riforma delle superiori. Gilda insiste nella richiesta di rinvio
Dopo che due settimane fa
A quel punto mancherà soltanto il parere del Consiglio di Stato, poi il Consiglio dei ministri potrà varare definitivamente i regolamenti per la riforma.
A quel punto (prima decade di dicembre?), secondo le intenzioni del Miur, si potrà procedere alla informativa alle scuole e alle famiglie, in vista della scadenza delle iscrizioni per il prossimo anno scolastico, il cui termine è già stato fissato al 27 febbraio 2010.
Saranno sufficienti i tempi a disposizione per preparare la riforma?
Secondo Gilda degli insegnanti, no.
Durante l'incontro con i sindacati, tenutosi nei giorni scorsi presso il ministero, è stata formalmente ribadita questa posizione.
"Al ministro Gelmini - ha dichiarato il coordinatore nazionale, Rino Di Meglio - abbiamo ribadito la forte preoccupazione per la tempistica della riforma della scuola superiore e la conseguente impossibilità di informare le famiglie e aggiornare gli insegnanti".
Alla richiesta della Gilda il ministro ha già risposto in termini negativi, confermando la sua intenzione di procedere all'avvio della rifroma dal 2010-11.
Ideologia invece di Cultura Così nasce uno Stato etico
Tralascio le obiezioni minori che il dottor Colombo mi muove per concentrarmi su quelle più importanti. Non prima di avergli fatto notare però, e ribadito, che l' attenzione (critica) verso il nuovo insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione» non dipende dall' ammontare di ore, più o meno alto, ad esso dedicate, bensì dal valore altamente sintomatico che a mio giudizio la sua introduzione nel nostro ordinamento scolastico riveste. Sintomatico di che cosa? Della trasformazione strisciante che da anni, come ho scritto, investe la scuola italiana: da luogo di apprendimento di contenuti disciplinari e di esperienza in prima persona dei connessi valori e forme culturali - dove essenzialmente per questa via si realizza la formazione della personalità morale e civile dei discepoli - ad agenzia educativa dedita alla prescrittiva somministrazione diretta di tavole di valori (l' educazione stradale, alimentare, affettiva, adesso l' educazione alla «cittadinanza» e alla «Costituzione») meccanicamente desunte da un dover essere civico-ideologico. Per l' appunto l' Educazione al posto dell' Istruzione, l' Ideologia al posto della Cultura. Su questo mutamento della «missione», del senso del nostro sistema scolastico, che era poi il cuore del problema che intendevo sollevare, mi avrebbe fatto piacere conoscere l' opinione del dottor Colombo, che invece preferisce intrattenersi su quello che a suo giudizio sarebbe il carattere parziale e limitato della cultura che si insegna nelle scuole italiane. Perché, egli scrive, si tratterebbe esclusivamente della «cultura nord-occidentale», la quale, aggiunge, «manca, talora, di parti importanti del pensiero che non del tutto si confà con il cattolicesimo». In verità non capisco bene che cosa sia questa «cultura nord-occidentale». È per caso la cultura che partendo dalle radici greco-latine si è riversata poi nello stampo cristiano e attraverso l' Umanesimo, il Rinascimento e l' Illuminismo è arrivata fino a noi? Ma se è questa (dove però il Nord, mi permetto di osservare, c' entra come i cavoli con la merenda), quale altra cultura, mi domando, bisognerebbe secondo il dottor Colombo studiare nelle nostre scuole? E a quale altra cultura, del resto, appartengono i libri che solitamente pubblica la casa editrice Garzanti di cui il dottor Colombo stesso è Presidente? Alla cultura degli Inuit? A quella islamica? E quali sono, mi chiedo ancora, «le parti importanti del pensiero che non si confà con il cattolicesimo» che la cultura «nord-occidentale» insegnata nelle nostre scuole ignorerebbe? Lutero e Spinoza, Nietzsche e Freud, Marx e Darwin, Foucault e Lévi-Strauss mi pare che qualche posto ce l' abbiano. E allora? O forse tutto si riduce a un semplice cedimento alla voga anticattolica che oggi va per la maggiore in certi ambienti? Vengo infine alla Costituzione. Caro dottor Colombo, parliamoci chiaro: qui non si tratta affatto di «insegnare cosa dice
Galli Della Loggia Ernesto
Da Disal
sabato 14 novembre 2009
Tagli pesanti ai professionali per formazione al lavoro
Con circolare dell’Ufficio Scolastico Regionale Per
Quindi, vediamo un po’: rilancio dell’istruzione tecnica e professionale, sostegno deciso al rapporto tra scuola e mondo del lavoro, lancio delle misure di sostegno per l’inserimento lavorativo, e poi …. finanziamenti per tutto questo ridotti a un terzo dell’anno precedente. Il più pesante taglio tra tutti quelli effettuati finora verso le scuole!
Da tutto scuola FOCUS
1. Il riscatto degli insegnanti davanti al bullo di turno
La notizia di un'insegnante che ha denunciato un proprio alunno "bullo", chiedendo e ottenendo dalla famiglia un risarcimento di 20 mila euro, è di quelle che potrebbero (ci auguriamo) segnare una svolta, se altre migliaia di docenti, seguendo il suo esempio, colpiranno al cuore le prodezze dei bulli, rivalendosi sulle famiglie dei minorenni per culpa in educando.
Quali i fatti? Due anni fa una insegnante di Monza venne ripresa alle spalle da un proprio alunno con il telefonino e si ritrovò su you tube con commenti sgradevoli, data in pasto al popolo del web.
Il ragazzo venne sospeso per 15 giorni, ma la prof non si accontentò dell'intervento disciplinare interno e citò i genitori del ragazzo in tribunale, ottenendo ora il risarcimento.
"Ho voluto andare in fondo alla questione - ha spiegato l'insegnante al Corriere della Sera - non solo per tutelare la mia immagine professionale, ma anche per lanciare un monito, rivolto soprattutto ai ragazzi e ai loro familiari".
I legali dell'insegnante hanno chiesto ai giudici di lanciare un segnale forte a garanzia della figura dell'insegnante, e sono stati ascoltati: il ragazzo è stato ritenuto colpevole di "avere pubblicato immagini lesive del decoro e della reputazione dell'insegnante". Ben fatto.
Dopo questa condanna, che fa giurisprudenza, tanti altri docenti potrebbero seguire l'esempio e rivalersi contro i genitori dei bulli; e chissà che i genitori di alunni vittime dei bulli non portino in tribunale i genitori dei colpevoli, chiedendo congrui risarcimenti.
La sensibilità della borsa vale spesso molto di più della sensibilità educativa.
2. Una Finanziaria "light"
"Light". Cioè leggera, come si dice di certe sigarette, e di una popolare versione di Coca Cola.
Così il ministro dell'istruzione, università e ricerca Gelmini ha definito la manovra messa a punto dal collega Tremonti, dicendosi convinta che "una Finanziaria light sia ciò che serve al Paese", e non "le vecchie liturgie e le lunghe trattative interminabili in Parlamento", che portavano solo ad aumentare la spesa pubblica, "rendendola ulteriormente improduttiva".
Al contrario, dice la Gelmini con una non del tutto scontata apertura di credito nei confronti di Tremonti, "serve il coraggio di assumere decisioni che vanno nella direzione opposta con la riqualificazione della spesa stessa".
Anzi, di fronte alla protesta pressoché unanime dei dirigenti scolastici sulla mancanza di fondi per i corsi di recupero, Mariastella Gelmini torna su una critica che già aveva loro mosso in passato: "I dirigenti si lamentano spesso e dovrebbero fare bene il loro mestiere", dice il ministro. "Quando uno ha incarichi così importanti deve saper scegliere le priorità e farsi bastare le risorse che ci sono. Il problema è che si spendono male tante risorse in piccoli progetti un pochino clientelari che non servono. Dove ci sono dirigenti capaci le scuole funzionano e riescono a trovare le risorse per le pulizie e per i progetti fondamentali".
3. Il giallo dei fondi per i ricercatori
Nel giro di poche ore, dopo che i telegiornali e gli altri media avevano dato la notizia dell'avvenuto taglio in Finanziaria, gli 80 milioni per l'assunzione di 4.200 nuovi ricercatori universitari sono ricomparsi.
In realtà sembra che non fossero mai spariti. La notizia del taglio, spiega un comunicato del Miur, era "destituita da ogni fondamento". Anzi, dice il ministero, "entro dicembre saremo in grado di approvare e selezionare diversi progetti e quindi di distribuire le risorse previste ai ricercatori".
Pare che l'equivoco sia stato causato dalla mancata approvazione di un emendamento che spostava 60 milioni di euro dal 2009 al 2010. Ma ad essere bocciato è stato lo spostamento della data, non l'assegnazione della somma. Il fatto che praticamente tutti i media abbiano male interpretato quanto deciso dal Senato dà tuttavia la misura di quanto affannoso e farraginoso sia sempre il lavoro delle Camere quando devono occuparsi della legge Finanziaria, malgrado gli sforzi del ministro Tremonti di renderla più snella.
E' significativo che il ministro Gelmini, che sul fronte universitario sta ottenendo consensi anche al di fuori della maggioranza (ma anche qualche dissenso all'interno), abbia reagito con tanta veemenza sulla questione dei fondi per i ricercatori: in un momento così delicato per le università, già sotto stress per i tagli e le altre misure di razionalizzazione, non poteva deludere le aspettative almeno per quanto riguarda le nuove leve di ricercatori.
In una lettera a quattro mani al "Corriere della sera" Gelmini e Tremonti annunciano che il governo "investirà una parte consistente delle risorse ricavate dal rimpatrio dei capitali a favore dell'università e della ricerca" e che tali fondi saranno distribuiti in base al merito.
4. Quasi certamente la riforma delle superiori procederà di anno in anno
Gli schemi di regolamento per il riordino dei licei e per la riforma degli istituti tecnici varati a maggio-giugno dal Consiglio dei ministri (al momento non sono state ufficializzate versioni aggiornate) prevedono l'avvio contestuale della riforma dal 2010-11 per i primi due anni.
Già il Cnpi, nell'esprimere parere sugli schemi di regolamento, ha caldamente richiesto che la riforma parta solo dal primo anno e proceda gradualmente senza le accelerazioni previste. A settembre lo stesso ministro Gelmini, in un'intervista, ha parlato chiaramente di avvio della riforma a cominciare soltanto dal primo anno.
Anche la Conferenza unificata del 20 ottobre scorso, come risulta dalle pronunce rese pubbliche nei giorni scorsi, ha chiesto che si proceda di anno in anno, evitando il simultaneo avvio del primo biennio riformato. Con molta probabilità le stesse Commissioni parlamentari che stanno per licenziare in questi giorni il prescritto parere sui tre schemi di regolamento potrebbero esprimersi in tal senso.
A quel punto resta tutta l'incognita della decisione del Consiglio dei ministri che, dopo il parere del Consiglio di Stato, approverà definitivamente i regolamenti. Quale posizione assumerà il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, visto che dalla contestualità di avvio della riforma per i primi due anni intendeva ricavare una quota significativa dei benefici economici attesi? Quale alternativa per incassare, comunque, il risparmio previsto?
6. Miur: prove di recupero della funzione ispettiva
Dopo un decennio di apparente disinteresse il MIUR sembra mostrare qualche attenzione agli ispettori tecnici. Prima il bando di concorso e l'espletamento della prova di preselezione, con non poche polemiche, per il reclutamento di 145 dirigenti tecnici, ora la convocazione per il 20 novembre per una riflessione sul tema: "Gli ispettori tecnici al servizio della qualità nella scuola dell'autonomia".
La figura degli ispettori, oggi marginale, si è variamente evoluta nel tempo fino al riconoscimento di un ruolo fondamentale per la formazione e l'aggiornamento del personale della scuola, per lo sviluppo della ricerca e l'assistenza ai progetti di sperimentazione ordinamentale promossi dal Ministero. Il ruolo del corpo ispettivo fu decisivo per dare sostanza ad un piano sistematico di ricerche, per cogliere i nodi qualitativamente rilevanti degli aspetti più significativi della riforma dell'ordinamento della scuola elementare introdotta con la legge n.148/90.
Progressivamente la funzione ispettiva ha perso smalto anche perché l'organico ispettivo è stato oggetto di una forte cura dimagrante per realizzare risparmi di spesa utilizzati per l'attivazione di qualifiche apicali dell'amministrazione.
L'argomento posto al centro del prossimo incontro in programma al Miur è interessante perché può aiutare a delineare la cornice funzionale ed organizzativa del processo di attuazione della riorganizzazione ordinamentale ed organizzativa del sistema educativo.
L'autonomia scolastica nei principali paesi europei è andata di pari passo con lo sviluppo di un sistema di check and balance, per impedire, da un lato, il suo degenerare in autarchia, e dall'altro di cadere in una condizione di soggezione ai "poteri forti" locali. Gli ispettori possono essere un elemento non secondario di questo sistema.
7. L'impegno degli ispettori per la formazione dei docenti
Non è un caso che il numero di ispettori sia andato crescendo in Francia, dove attualmente sono circa 3.200, in Spagna con 1.200 e nei Paesi Bassi, che in rapporto alla popolazione, ne ha un numero elevatissimo: 535. L'Ofsted inglese lo scorso anno annoverava 2.340 ispettori, con un ampliamento del loro raggio d'azione ben oltre le aule scolastiche, fino a comprendere tutti i servizi per l'infanzia e la gioventù. In Italia oggi l'organico degli ispettori, è fissato in 335 posti, di cui 145 scoperti.
Alla base del rinnovato interesse dell'Amministrazione per il corpo ispettivo certamente vi è un recupero di consapevolezza circa la necessità di non esaurire solo in una formulazione normativa la riorganizzazione ordinamentale ed organizzativa della secondaria, senza traduzione operativa ed incisive ripercussioni.
Il ministro Gelmini, infatti, nel recente incontro con le organizzazioni sindacali, ha annunciato l'intenzione di voler accompagnare il riordino ordinamentale con misure di sistema sia sul versante dell'aggiornamento del personale sul nuovo impianto educativo ed organizzativo sia sul versante dell'informazione ai giovani ed alle famiglie.
La previsione sarebbe più convincente se fosse collegata ad un programma esplicito di azioni con l'indicazione di un puntuale piano finanziario.
Conoscendo l'onerosità anche in termini organizzativi delle iniziative di formazione, che non debbono configurarsi in conferenze a perdere, l'approntamento di una mappa di interventi dovrà comportare il pieno coinvolgimento degli ispettori tecnici. Essi potrebbero garantire un apporto decisivo nella programmazione delle iniziative di formazione che verranno realizzate per consentire al personale docente di realizzare una verifica del loro impegno di lavoro e di cogliere le dinamiche dei processi in corso.
9. Cittadinanza e Costituzione: che fare?
Giunge a proposito il volume collettaneo, curato da Luciano Corradini, dedicato alla individuazione dei contenuti e delle modalità concrete di insegnamento e apprendimento del nuovo insegnamento Cittadinanza e Costituzione.
Il titolo stesso del volume offre in sintesi la chiave di lettura di questa opera, frutto, come si specifica nell'introduzione di Corradini, "di un impegno maturatosi in gran parte nell'ambito di un gruppo di lavoro ministeriale sull'educazione civica" (presieduto dallo stesso Corradini), volto a "dimostrare le ragioni, le radici, le dimensioni di un'educazione a C&C che andrebbe intesa e normata anche come insegnamento disciplinare". Il titolo è infatti Cittadinanza e Costituzione. Disciplinarità e trasversalità alla prova della sperimentazione nazionale. Una guida teorico pratica per docenti (edizioni Tecnodid).
La questione di fondo, accennata nel titolo e spiegata nell'introduzione, è se questo nuovo insegnamento debba diventare una materia autonoma, oggetto di valutazione come tutte le altre, oppure investire e orientare tutte le altre discipline: essere cioè non una "disciplina" ma un insegnamento trasversale.
Su questo dilemma è in corso un acceso dibattito, aperto da un articolo dello storico Ernesto Galli della Loggia, che teme che la nuova materia possa diventare un "nuovo catechismo", a scapito del molto più formativo e responsabilizzante studio delle discipline. Alle caratteristiche e agli sviluppi di questo dibattito il mensile Tuttoscuola dedica un articolo, che uscirà nel prossimo numero di dicembre 2009.
COMITATO POLITICO SCOLASTICO
Non statale
Abbiamo chiesto a Vincenzo Silvano,
Presidente della CdO Opere Educative (prima era Federazione Opere Educative, la
nuova denominazione risale all’assemblea dei soci che ha votato il nuovo
statuto durante il Convegno dell’Associazione, tenutosi all’inizio di
inizio marzo 2009) di tracciare un sintetico bilancio dell’anno scolastico appena
concluso, soprattutto in merito al cammino della libertà di educazione nel
nostro Paese. In questi ultimi giorni il Ministro Gelmini ha lanciato la
proposta di un bonus per le famiglie che scelgono le scuole non statali. Ma a
che punto siamo, in realtà, su questo importante tema?
Presidente Silvano, che bilancio
possiamo fare al termine di questo anno scolastico per ciò che riguarda il tema
della parità scolastica?
Possiamo dire che si è concluso un
anno scolastico “vissuto pericolosamente”. Un anno che era iniziato sotto i
migliori auspici e, dunque, foriero di novità positive per le scuole paritarie.
Basti pensare a quanto dichiarato dal Ministro Gelmini, alla fine di agosto,
durante il suo intervento al Meeting di Rimini. Lì, fra le altre cose, aveva
espresso il suo apprezzamento nei confronti della capacità delle scuole
paritarie di ottenere risultati eccellenti con budget ridotti e manifestato
l’intenzione di garantire maggiore autonomia alle scuole attraverso
l’introduzione del sistema delle Fondazioni. Non dimentichiamo, inoltre, che
l’avvento del governo di centro-destra e l’assenza dal Parlamento di quelle
forze politiche ferocemente ostili al tema della parità, avevano già di per sé
suscitato aspettative e speranze. Poi, però, le cose sono andate ben
diversamente.
Colpa della crisi economica?
L’esigenza di razionalizzare la
spesa nel comparto dell’istruzione era già nota prima della crisi. Sono anni
che ripetiamo che occorre una modalità nuova di investire le risorse e sapevamo
che questo avrebbe comportato tagli su certe voci di costo. Del resto, è
evidente che un Ministero che impegna il 97% del suo enorme bilancio per pagare
il personale – coi risultati scarsi che sono noti a tutti - sacrificando
qualsiasi altro tipo di investimento, non può andare avanti a lungo. In questo
senso, abbiamo guardato con favore ad alcuni provvedimenti presi dal Ministro,
come ad esempio quello sul maestro prevalente (o unico) che, pur non cambiando
nulla per le scuole paritarie, ritenevamo comunque andasse nella direzione
giusta sia dal punto di vista pedagogico, sia da quello economico. Ci sembrava
una buona partenza, e forse anche per questo mai ci saremmo aspettati quanto è
successo poi con la nuova legge finanziaria. Pensi che, a dispetto di quanto
affermato dai soliti slogan ripetuti nelle tradizionali proteste di piazza
autunnali (si tolgono soldi alle scuole statali per darli alle «private»), sul
capitolo relativo all’istruzione scolastica non statale la finanziaria è andata
a prevedere per il 2009 133milioni e 393mila euro in meno, con riduzioni
progressive anche per gli anni successivi. Per capirci: mentre il taglio medio
imposto dal Ministero del Tesoro a ogni ministero era del 10%, i tagli previsti
per la scuola libera erano del 25-30%!
No, non è stata colpa della crisi,
ma della miopia politica di alcuni che ancora non hanno capito che anche se non
credono nel valore costituzionale della libertà di scelta educativa, la parità
comunque gli conviene, perché lo Stato con le scuole paritarie realizza dei risparmi
enormi, circa 6 miliardi di euro all’anno. Cosa accadrebbe se dovessero
chiudere tutte?
E allora come avete fatto?
Sono stati mesi durissimi,
soprattutto quelli centrali dell’anno scolastico. Anche perché, ai tagli della
Finanziaria ad un certo punto si è aggiunta la sparizione dei soldi dell’ultima
rata già stanziata per il 2008 dalla precedente Legge Finanziaria, quella del
Governo Prodi per intenderci. Si trattava cioè di fondi già messi dalle scuole
nei loro bilanci, soldi in gran parte utilizzati per pagare gli stipendi; si
può facilmente immaginare che sentimenti di rabbia, frustrazione e
preoccupazione abbiano attraversato il settore delle scuole paritarie. Come
abbiamo fatto? Abbiamo alzato la voce, insieme alle altre associazioni di
scuole non statali; abbiamo intessuto una rete ancora più fitta di incontri con
politici e dirigenti del Ministero; abbiamo scritto ai giornali e raddoppiato i
nostri sforzi per essere presenti e ascoltati sulla scena pubblica; abbiamo
anche minacciato di scendere in piazza massicciamente con una grande
manifestazione nazionale come accadde alcuni anni fa, quando in Piazza San
Pietro si levò alto il grido “libertà, libertà!”. Alla fine l’abbiamo spuntata,
ma c’è stato davvero da sudare.
Ed ora?
Ora siamo tornati ad una situazione
analoga a quella esistente durante il precedente Governo, sebbene il recupero
del finanziamento tagliato non sia stato integrale. Mancano ancora all’appello
circa 14 milioni di euro, e chissà se li rivedremo mai; deve essere un vizio, perché
una cifra analoga era stata accantonata anche durante il governo Prodi, e anche
quella pare caduta nel dimenticatoio. Abbiamo ottenuto, però, non solo il
reintegro di buona parte dei finanziamenti tagliati, ma pure l’istituzione per
decreto di una Commissione Parità Scolastica presso il MIUR e la firma del
Decreto Ministeriale 34/09, col quale si è giunti a delineare un quadro chiaro
circa l’entità dei contributi spettanti alle scuole paritarie. Ma la cosa più
interessante, ci pare, è che anche “grazie” alla situazione verificatasi a
seguito dei tagli, abbiamo potuto constatare un fenomeno che lascia ben
sperare: la presa di posizione a favore della libertà di scelta educativa non
solo di alcuni deputati amici che ci hanno davvero aiutato molto, ma anche da
parte di numerosi schieramenti politici, compresi alcuni fra quelli
tradizionalmente meno favorevoli alla scuola non statale. Certo, permangono
distinzioni e differenti sottolineature, però riscontriamo oggi un consenso
“multipartisan” verso una completa realizzazione di quanto previsto dalla Legge
62/2000, cioè una piena e totale parità, anche economica.
Non rischiano, ancora una volta, di
essere solo buone intenzioni?
Certo, occorrerà sudare ancora
parecchio perché dalle intenzioni si passi ai fatti, però questo cambiamento di
clima è un fatto nuovo, va registrato e occorre sfruttarlo; la libertà di
scelta educativa non è più un tabù che causa feroci scontri ideologici, ma
comincia - se non per motivi ideali almeno per ragioni di convenienza economica
- a diventare oggetto di un dibattito civile e costruttivo. Siamo decisi a far
tutto il possibile perché entro questa legislatura si giunga, come scritto
nella mozione presentata poco tempo fa al Governo da diverse forze politiche, a
«garantire la certezza dei finanziamenti e dei tempi di erogazione delle
risorse per le scuole paritarie», ad adottare iniziative per prevedere in tempi
rapidi il ripristino integrale delle risorse sottratte alle scuole paritarie
dalla manovra economica e a «realizzare interventi volti a facilitare e
promuovere le condizioni per l'effettiva libertà di scelta educativa delle
famiglie fra scuole statali e paritarie».
Poi, perché non restino solo belle
parole, abbiamo anche indicato alcuni strumenti che, a nostro parere, sono facilmente
realizzabili in tempi rapidi, come le detrazioni fiscali a favore delle
famiglie che iscrivono i figli presso scuole paritarie. Una sostanziosa
defiscalizzazione delle rette sicuramente non sarebbe la soluzione totale e
definitiva, ma rappresenterebbe almeno un primo passo concreto. Stiamo
realizzando degli studi per evidenziare l’impatto economico di questa
soluzione, e presto – spero - saremo in grado di fornire anche dei dati più
precisi. Nel frattempo, ci auguriamo che la pausa estiva e il vento di
rinnovamento, che dopo queste elezioni spira in Europa, diano una mano a
ripartire con un nuovo anno scolastico che – stavolta - non tradisca le
aspettative. “Mai più così!”, ci siamo detti in questi giorni. È quanto
chiediamo a chi ha responsabilità di Governo e a tutti quelli che hanno
dichiarato di voler favorire una vera libertà di scelta educativa nel nostro
Paese. Anche perché, per reggere un altro anno così, ci vorrebbe davvero un
fisico bestiale.
A questo proposito il Ministro
Gelmini, pochi giorni fa, ha lanciato l’idea di un bonus per le famiglie. È un
progetto condivisibile, e soprattutto è realizzabile?
Noi vediamo di buon occhio tutto
quello che può contribuire a favorire una vera libertà di scelta educativa nel
nostro Paese, e ringraziamo il Ministro per aver così apertamente sollevato la
questione. Certo, la parola bonus può sottintendere strumenti e forme diverse,
magari non tutte ugualmente efficaci e quindi condivisibili. Per esempio, ci
preoccuperebbe se si pensasse esclusivamente ad un bonus che operi sul terreno
del diritto allo studio cercando un'intesa con le Regioni, che sappiamo essere
non tutte egualmente favorevoli a questo tema. Mi pare che sarebbe ragionevole,
invece, considerare quanto proposto dal documento della CdO “Una scuola che
parla al futuro”, ove si chiede che lo Stato intervenga «mediante soluzioni
opportune ed eventualmente diversificate: dal buono scuola/dote/quota capitale,
alle varie forme di defiscalizzazione oppure, meglio ancora, attraverso la
combinazione di tali strumenti».
Lo accennavo anche prima: per
noi è questa la strada per arrivare ad una piena libertà di scelta educativa.
Certo, è una grande sfida; ma – come ha scritto il presidente Bernhard Scholz
nell’introduzione del citato libretto - «il passaggio ad un sistema
pubblico di istruzione meno ingessato e dunque più libero, autenticamente
paritario e capace di offrire percorsi personalizzati è una necessità: lo
chiedono le famiglie, lo chiedono i giovani, lo chiede l’Europa».
Da sussidiario.it
NORMATIVA RECENTE
(29/07/2009) |
|
Assegnazioni
– Autonomia Scolastica Direzione Generale per l’istruzione e formazione tecnica e superiore e
per i rapporti con i sistemi formativi delle Regioni: graduatoria
di merito (D.D.G. prot.n. 20 del 29 luglio 2009) |
|
|
Piano Nazionale di Orientamento: “Linee guida in materia di
orientamento lungo tutto l’arco della vita”: le azioni a livello regionale (Nota prot.n. 4180 del 29 luglio 2009) |
|
|
E’ stato realizzato nell’ambito della ricerca scientifica
internazionale e interdisciplinare paleoclimatica (Andrill) il kit didattico
per l’approfondimento dei contenuti di scienze polari. Il materiale verrà
presentato agli insegnanti il 2 settembre 2009, a Siena |
(28/07/2009) |
|
Valorizzazione delle eccellenze Indicazioni per l’invio dei nominativi degli studenti con votazione di
100 e lode all’Esame di Stato - a.s. 2008/2009 (Nota prot.n. 8171 del 28 luglio 2008) |
|
|
Chiusura attività Rilevazione esiti esami di Stato: disponibili fino
al 10 agosto 2009 le funzioni per la trasmissione dei dati
per le scuole secondarie di II grado non statali (Nota prot. n.1922 del 28 luglio 2009) |
(27/07/2009) |
|
Olimpiadi Internazionali della Fisica On line i vincitori della 40ma
edizione della competizione internazionale che si è tenuta in Messico.
Successo per la squadra italiana che ha conquistato 2 medaglie d’argento e 3
di bronzo (Nota prot.n. 8110 del 24 luglio
2009) |
|
|
Olimpiadi Internazionali di Matematica Pubblicata la classifica completa dei
vincitori della 50ma edizione della competizione che si è svolta a Brema
(Germania). I 6 ragazzi italiani hanno tutti conquistato una medaglia (Nota prot.n. 8112 del 24 luglio
2009) |
(24/07/2009) |
|
Assegnazioni
- Autonomia Scolastica Ufficio Scolastico Regionale per il
Veneto: graduatoria
di merito (Nota prot.n. 7875/D.G. del 20 luglio
2009) |
(23/07/2009) |
|
Assegnazioni
- Autonomia Scolastica Direzione Generale per gli studi, la
statistica e i sistemi informativi: graduatoria
di merito (D.D.G. prot.n. 1885 del 23 luglio
2009) |
|
|
Decreto Ministeriale di proroga delle
utilizzazioni del personale dirigente, docente ed educativo - Corsi di laurea
in Scienza della Formazione Primaria (D.M. n.66 del 22 luglio 2009) |
|
|
Assegnazioni
- Autonomia Scolastica Direzione Generale per lo Studente,
l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione: graduatoria
di merito (D.D.G. n.66 del 22 luglio 2009) |
Nota
23 luglio 2009, Prot. n. 10169/2
Personale ATA – modifica termini mobilità e
definizione organico anno scolastico 2009/10
Decreto
Ministeriale 22 luglio 2009, n. 66
Proroga delle utilizzazioni del personale dirigente,
docente ed educativo - Corsi di laurea in Scienza della Formazione Primaria
Nota
21 luglio 2009, MIURAOODGOS 7861
DPR n. 89 del 20 marzo 2009
Decreto
Ministeriale 16 luglio 2009, n. 64
Esami di stato conclusivi dei corsi di studio di
istruzione secondaria di secondo grado. Sessione straordinaria. Anno scolastico
2008-2009
Decreto
Direttore Generale 16 luglio 2009
Concorso pubblico per esami, a 75 posti, per
l’accesso al profilo professionale di funzionario per lo sviluppo SW e della
rete e per l’analisi statistica, area C, posizione economica C1, del ruolo del
personale del MPI - Amministrazione Centrale e Periferica: Approvazione delle graduatorie
generali di merito ed elenchi dei vincitori del concorso - rettifica
graduatorie
Decreto
Direttore Generale 15 luglio 2009
Concorso pubblico per esami, su base circoscrizionale,
a 100 posti, per l’accesso al profilo professionale di assistente, area B,
posizione economica B2, del ruolo del personale del Ministero della Pubblica
Istruzione – Amministrazione Centrale e Periferica: Approvazione delle
graduatorie generali di merito ed elenchi dei vincitori del concorso -
rettifica graduatorie
Nota
15 luglio 2009, Prot. n. AOODGPER.10699
Graduatorie d’istituto del personale docente ed
educativo per il biennio scolastico 2009/2010 e 2010/2011 – rilascio funzioni
di acquisizione domande
Concorso pubblico, per esami, su base circoscrizionale,
a 100 posti, per l’accesso al profilo professionale di assistente, area B,
posizione economica B2, del ruolo del personale del Ministero della Pubblica
Istruzione, per gli uffici dell’Amministrazione centrale e periferica,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 81 del 12.10.2007 – 4^ Serie
speciale – “Concorsi ed esami”
Nota
13 luglio 2009, Prot. n. 3915
Iniziative volte al potenziamento ed alla
qualificazione dell’offerta di integrazione scolastica degli alunni ricoverati
in ospedale o seguiti in regime di day-hospital. (Legge 440/97) Monitoraggio
azioni e risorse per l’ anno scolastico 2008/2009, di cui alla C.M. n. 87 del
27 ottobre 2008
COMUNICATI DIREZIONE REGIONALE LOMBARDIA
24.07.09
Corso
"Fisica e matematica, due storie intrecciate"
24.07.09
22.07.09
Progetto
Telethon Young “Missione Possibile – una sfida per battere le malattie
genetiche”
21.07.09
Risultati del
Progetto Pilota CertINT® (Attestato di Internazionalizzazione per scuole)
21.07.09
Scuole non paritarie iscritte nell'elenco regionale della Lombardia a.s.
2009/2010 pdf, 23 kb
16.07.09
14.07.09
Progetto
"Cl@ssi 2.0". Elenco scuole selezionate
14.07.09
Sezioni Primavera 2009/2010 pdf, 71 kb
13.07.09
13.07.09
Progetto
educativo antimafia 2009-2010
10.07.09
11 luglio 2009
da Tecnica della Scuola
L'ultima crociata del ministro Brunetta: stanerò chi abusa della L.
104/92
di Alessandro Giuliani
Per il responsabile della Funzione
pubblica è una legge di grande civiltà, ma spopola nella Pa: al Sud sarebbe
concentrato il doppio-triplo dei casi nel Centro-Nord. E a scuola “la sua
fruizione è deviata”. Avviata già un’indagine via e-mail. E la prossima mossa è
l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne.
"La 104 è una legge di grande
civiltà, ma nella pubblica amministrazione se ne è abusato. In particolare
nella scuola la sua fruizione è deviata". Dopo la guerra ai falsi malati e
parassiti alle spalle dello Stato, il ministro della Funzione Pubblica, Renato
Brunetta, ha spostato il mirino verso gli artefici degli abusi nell’ambito
assistenza ai disabili introdotta con la legge “faro” del 1992. Un abuso che
nello scorso anno ha fatto usufruire ad ogni dipendente la media di 1,04 giorni
di 104. Le stime, insieme all’annuncio dell’ennesimo filone anti-fannulloni, è
stato dato il 9 luglio dallo stesso ministro nel corso di una conferenza stampa
durante la quale ha anche fatto sapere di aver avviato una rilevazione su circa
15.000 amministrazioni pubbliche, tra cui anche quelle scolastiche: l’indagine,
per questa prima fase però solo su base volontaria, sarà condotta attraverso
questionari inviati via e-mail. E si concluderà il 29 luglio.
La rilevazione, coordinata dal
Formez e realizzata con la collaborazione di associazioni di settore come Fand,
Fish, Unione italiana ciechi e ipovedenti e Cittadinanzattiva, si aggiunge a
una serie di iniziative che prevedono l'avvio di una commissione per la
revisione delle norme riguardanti l'accessibilità dei contenuti on line, la
costituzione di un osservatori che verifichi l'accessibilità dei siti della Pa,
l'avvio di un gruppo di lavoro dedicato alla semplificazione dei rapporti tra
cittadini con problematiche connesse alla disabilità e le istituzioni. Brunetta
anche in questa occasione non è andato per il sottile: l'insieme delle
informazioni raccolte verrà inserito in una banca dati che sarà operativa da settembre:
l’obiettivo è utilizzarla per "stanare i furbi e liberare risorse per
destinarle a chi ha veramente bisogno. La legge 104 - ha continuato il ministro
- è straordinaria, importante e di grande civiltà. Purtroppo è una legge
abusata nel settore pubblico con scarsa possibilità di verifica da parte dei
datori di lavoro e poco usata in quello privato dove c'è una chiara negazione
di un diritto". Il ministro ha auspicato che "nessuno fraintenda: non
siamo contro i disabili ma contro i furbi e i farabutti. La musica è
cambiata".
In che senso? E’ lo stesso Brunetta
a chiarire: "Quello che vogliamo - ha spiegato - è stare dalla parte dei
disabili e dei loro familiari e non da quella dei furbi. Per questo serve
chiarezza e trasparenza". E premette anche che non accetterà più
"insulti" come in passato, come quelli dell’ex ministro Livia Turco:
"vergogna, vergogna – ha detto il responsabile della Funzione pubblica –
per chi ha coperto queste cose".
Le accuse al comparto pubblico non
sarebbero ancora sostenute da prove concrete, ma da numeri eloquenti.
"Sulla base di dati disponibili - ha sottolineato Brunetta - abbiamo
rilevato che il 6% delle assenze nella pubblica amministrazione è dovuto ai
permessi previsti da questa legge. Da dati disaggregati parziali emerge che al
Sud si concentrano il doppio-triplo dei casi presenti al Centro-Nord. Visto che
l'handicap non fa distinzioni geografiche- ha concluso - queste discrepanze
incomprensibili mi fanno pensare che qualcosa non va: o da qualche parte si
usano poco i diritti o se ne abusa da qualche altra".
Intanto lo stesso ministro Brunetta
starebbe predisponendo l’incontro, in vista per la prossima settimana, tra
Governo e parti sociali: l’intenzione, rafforzata dalle recenti spinte della
Commissione europea, è il graduale innalzamento del minimo di età pensionabile
delle donne che operano nella Pa. L’intenzione dei suoi sostenitori, Brunetta
in testa, sembra sia introdurre un emendamento al decreto anti-crisi.
MATEMATICA/ Capirla è un problema per molti: il segreto è nel metodo
Mario Gargantini
martedì 7 luglio 2009
È vero che molti degli studenti che
abbandonano gli studi universitari a causa della matematica avrebbero potuto
salvarsi attraverso un lavoro mirato a coltivare la forma mentis matematica? È
possibile oggi proporre un simile lavoro? Sono domande legittime in questo
momento di bilanci di fine anno ele risposte, secondo i matematici Marco
Bramanti, Giancarlo Travaglini sono senz’altro affermative.
I due studiosi, docenti il primo al
Politecnico di Milano e il secondo all’Università di Milano Bicocca, hanno
appena dato alle stampe un volume (Matematica. Questione di metodo), con un
sottotitolo provocatorio: come affrontare la fatica dello studio e scoprire la
bellezza. E ce lo spiegano così: «La nostra ambizione è far incontrare due
parenti che si parlano poco: la matematica della bellezza (quella che appare in
certi libri divulgativi, o in conferenze, mostre, articoli nelle pagine
scientifiche dei giornali, e perfino in qualche film ...) e la matematica della
fatica (che molti ragazzi conoscono bene). La fatica si supera acquisendo un
metodo di lavoro adeguato, meglio se attraverso esempi belli e interessanti;
alla fine la bellezza non è solo nell'ammirazione per ciò che altri hanno
fatto, ma soprattutto nell'aver fatto proprio un metodo di ragionamento che ha
arricchito le potenzialità della nostra mente».
Bramanti e Travaglini hanno un’idea
ben precisa dei motivi per cui molte persone incontrano difficoltà nello studio
della matematica; difficoltà riconducibile a due carenze. Una riguarda i
prerequisiti: essendo lo studio della matematica organizzato in un percorso
logico molto sequenziale, ogni eventuale periodo di difficoltà comporta una
debolezza nell’affronto delle fasi successive, che non sempre viene risolta.
L’altra carenza è dovuta al
particolare metodo di studio che la matematica richiede di sviluppare: bisogna
comprendere la necessità di un linguaggio preciso e saperlo utilizzare quando
necessario, familiarizzarsi con gli strumenti logici e il simbolismo
matematico, comprendere le giustificazioni dei risultati verificandone i
passaggi e riutilizzandole in situazioni analoghe. In sintesi: fare propria una
certa forma mentale che privilegi sistematicamente il ragionamento rispetto
alla memorizzazione e all'applicazione di schemi meccanici. «Molti studenti,
pur sostanzialmente consapevoli delle proprie carenze su questi punti, non
sanno come porvi rimedio e negli anni si rassegnano a puntare al minimo in
matematica; un minimo che cercano di raggiungere con molto esercizio e con
l’applicazione di schemi mnemonici e meccanici».
Per superare questa rassegnazione
Bramanti e Travaglini propongono un percorso che punta alla costruzione della
forma mentis matematica. Che inizia dalla precisione di linguaggio, dalla
sicurezza nell'uso di implicazioni, controesempi, dimostrazioni per assurdo,
dalla conoscenza dei simboli. Ma che poi si rafforza se non si ha la paura di
affrontare la “palestra” di prove più impegnative: come studiare una
dimostrazione, visualizzandola attraverso opportuni esempi, poi spezzando il
ragionamento in passi, quindi ricostruendola da soli “su un foglio bianco”,
ripulendola da eventuali imperfezioni, infine verificandone la comprensione
attraverso il suo utilizzo in problemi differenti.
Il consiglio degli autori è di
utilizzare il loro libro «durante gli ultimi due anni della Scuola Superiore,
oppure (meglio tardi che mai) all'inizio dei corsi universitari: è stato
pensato sia come strumento di uso personale, sia per l'organizzazione di veri e
propri corsi con le finalità prima indicate».
E a proposito di corsi, è
interessante scoprire la lunga storia da cui nasce un’opera del genere. Sul
finire degli anni '70, gruppi di laureandi e borsisti, aiutati e incoraggiati
da alcuni docenti, in particolare dal professor Carlo Felice Manara, tenevano
in forma non ufficiale, dei “corsi di orientamento per matricole” del Corso di
Laurea in Matematica a Milano, basati su un'idea non lontana da quella
sviluppata in questo libro. Centinaia di studenti sono passati per quei
precorsi e la stessa impostazione è stata poi ripresa in altre esperienze
condotte in varie università: tra queste esperienza va segnalato un progetto di
e-learning sviluppato nell'Università di Milano Bicocca. «Abbiamo deciso ora di
ripensare a quelle idee, che ci sembrano tuttora valide, e ripresentarle,
rielaborate alla luce della nostra esperienza di insegnamento universitario e
delle ulteriori riflessioni didattiche che abbiamo avuto modo di sviluppare in
questi anni. Sempre con l'idea di non separare lo studio e la sua fatica
dall'arricchimento che la matematica, come ogni aspetto del sapere, dà a chi sa
e vuole ascoltare».
12 luglio 2009
da LASTAMPA.it
Si ritorna sui banchi il 14 settembre
Ecco il calendario dell'inizio delle
lezioni scolastiche regione per regione
TORINO
La campanella che darà l’avvio al
prossimo anno scolastico suonerà per la gran parte degli studenti il 14
settembre. Mentre tanti ragazzi stanno già assaporando la lunga vacanza estiva
e gli esami di Maturità sono agli sgoccioli, le regioni, infatti, hanno già
messo a punto i propri calendari scolastici.
Ben 13 regioni hanno scelto questa
data per il rientro in classe: Alto Adige (Bolzano), Calabria, Campania, Lazio
(per il primo ciclo mentre per il secondo il ritorno tra i banchi è previsto il
giorno dopo), Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Toscana, Trentino, Umbria,
Valle d’Aosta e Veneto. Con più calma, per ovvi motivi, riprenderanno in mano i
libri gli alunni dell’Abruzzo per i quali l’inizio delle lezioni è fissato al
21 settembre. In Emilia Romagna e Friuli-Venezia Giulia i ragazzi si
rimetteranno lo zaino in spalla il 15 settembre e il giorno successivo toccherà
ai loro compagni di Basilicata e Marche. Il 17 settembre si ricomincia in
Sardegna e il 18 in Puglia. La Sicilia, invece, deciderà nei prossimi giorni il
suo calendario scolastico.
13 luglio 2009
da Tecnica della Scuola
Docente unico non più tassativo: decideranno gli istituti
di A.G.
Determinante il parere della Corte
dei Conti: i criteri di scelta del modello di docenza hanno ambiti di
applicazione estesi e flessibili. Il Miur si sarebbe già detto d’accordo. La
Flc-Cgil soddisfatta ma non paga: il Regolamento sul 1° ciclo verrà impugnato
comunque.
Per sbrogliare la questione del
docente unico ci voleva l’autorevole parere della Corte di Conti. La quale nei
giorni scorsi ha detto che le scuole primarie non sarebbero obbligate a
istituirlo con modalità rigide e senza via d’uscita. Attraverso la
deliberazione n. 12, con cui è stato apposto il visto di registrazione al
Regolamento sul 1° ciclo, i magistrati contabili hanno infatti spiegato che
nella stessa legge n. 169 del 30 ottobre 2008 "il modello del docente
unico viene sì indicato come modello da privilegiare nell'ambito delle
possibili articolazioni del tempo-scuola, ma pur sempre ‘tenuto conto della
richiesta delle famiglie e nel rispetto dell'autonomia scolastica’".
Esaminata la legislazione scolastica in vigore, la conclusione, sempre secondo
la Corte dei Conti, è che "i criteri indicati dal comma 4 dell'art. 64 non
avrebbero carattere prescrittivo e tassativo. Detti criteri, per la loro
valenza generale, hanno invece ambiti di applicazione estesi e
flessibili".
Insomma, le esigenze specifiche dei
genitori e degli organi collegiali avrebbero il sopravvento sull’adozione del
modello d’insegnamento fortemente voluto dal ministro dell’Istruzione
Mariastella Gelmini. L’ultima parola, è invece il caso di dire, spetta a loro,
ai responsabili dell’educazione dei ragazzi, quindi a famiglie e docenti, e non
ai calcoli ragionieristici realizzati nei palazzi ministeriali.
Il parere dei magistrati che si
occupano di bilancio statale sarebbe già stato preso in considerazione dal
dirigenti del Miur: le indicazioni che sembra giungeranno agli istituti primari
saranno infatti quelli di attuare, già dal prossimo 1° settembre, un modello
d’insegnamento flessibile. Saranno i singoli istituti a decidere se insistere
sul maestro unico o se affiancargli altri docenti, seppure per un numero
residuale di ore: tutto dipenderà dalle specifiche esigenze formative. Ma anche
dal tipo di classe, dal numero di alunni iscritti, dalla presenza di casi
difficili, di eventuali disabili. E, non ultimo, dal contesto sociale. Una
soluzione, del resto, che si sposa benissimo con il regolamento sull’autonomia
scolastica.
Tra le organizzazioni di settore più
interessate al parere dell’organo di controllo spicca la Flc-Cgi: il sindacato,
nell’esprime la sua soddisfazione ha sottolineato come anche prima della sua
emissione era già evidente che "il maestro unico non è un obbligo. Per due
ragioni: la scuola – hanno fatto sapere da via Leopoldo Serra - è autonoma in
forza della legge Costituzionale 3/2001, la scuola organizza le risorse che le
vengono assegnate, anche quelle professionali, come meglio crede, in forza
dell’articolo 5 commi 1 e 4 del Dpr 275/99 che reca il Regolamento
dell’autonomia scolastica. Non avevamo dubbi e lo abbiamo detto sin
dall’inizio. Ora ci pare – concludono dalla Flc-Cgil - che non li può avere più
nessuno".
Il sindacato di Pantaleo ha comunque
confermato la volontà di impugnare l’intero Regolamento sul 1° ciclo, ormai
prossimo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: quella del docente unico è
infatti solo una delle questioni riguardanti le tante novità introdotte da
questo Governo sulla scuola primaria su cui la Flc-Cgil non si è trovata
d’accordo.
Da Tuttoscuola FOCUS
1. Negli esami di licenza migliori esiti degli alunni delle
paritarie
L'analisi dei dati che derivano
dalle relazioni dei presidenti di commissione per l'esame di licenza media 2009
non finisce di sorprendere.
Dopo i dati sui voti ottenuti nella
prova scritta di matematica (bestia nera anche in questo settore) e la buona
tenuta della prova scritta nazionale, è interessante confrontare gli esiti
ottenuti dai ragazzi della scuole statali con quelli delle scuole paritarie.
Praticamente in tutti gli scritti e
nella votazione finale d'esame, i ragazzi delle scuole paritarie se la sono
cavata meglio dei loro coetanei delle statali.
Nello scritto di italiano gli alunni
delle paritarie hanno ottenuto una votazione media del 7,26 decimi, contro
quella dei ragazzi delle statali risultata di poco inferiore (7,12/10).
Sempre in italiano il 6,55% dei
ragazzi delle paritarie ha raggiunto il massimo di votazione (10/10) contro il
4,97% degli altri.
Non è andata diversamente in
matematica, dove gli alunni delle paritarie con la media finale del 7,22 decimi
hanno superato i coetanei delle statali, fermi al 6,98/10.
Ma i ragazzi con dieci decimi nello
scritto di matematica sono stati addirittura il 12,22% nelle non statali contro
il 9,81% di quelli delle statali.
Sostanzialmente equilibrati invece
gli esiti della prova scritta nazionale.
Gli esiti finali sono stati
ovviamente conformi alle votazioni ottenute negli scritti. Conseguentemente
sono stati migliori mediamente tra gli alunni delle paritarie (7,64 di media
contro il 7,36).
In fatto di votazione massima, i
ragazzi delle statali si sono fermati al 7,95%, mentre quelli delle paritarie
hanno raggiunto l'11,13%.
Più bravi i ragazzi delle paritarie
o più disponibili le loro commissioni?
2. Maestro unico/1. Tanto rumore per nulla?
Il modello del docente unico "viene
sì indicato come modello da privilegiare nell'ambito delle possibili
articolazioni del tempo-scuola, ma pur sempre 'tenuto conto della richiesta
delle famiglie e nel rispetto dell'autonomia scolastica'".
Questo importante chiarimento è
stato fornito dallo stesso Ministero alla Corte dei Conti, su precisa richiesta
di quest'ultima, nel corso degli incontri svoltisi nelle scorse settimane, in
preparazione della delibera di registrazione del regolamento di riordino del
primo ciclo, in attuazione dell'art. 4 della legge 169/2008.
Nella delibera della scorsa
settimana (n. 12/2009) la Corte riporta dunque tra virgolette, attribuendola
ai rappresentanti del Miur, la sopra citata frase "tenuto conto
della richiesta delle famiglie e nel rispetto dell'autonomia scolastica",
e ne deduce che "in sostanza l'indicazione del modello non avrebbe
alcun carattere prescrittivo, lasciando piena libertà alle scuole di
strutturare orari e assetti didattico-organizzativi secondo la propria
programmazione e valutazione".
E' vero che, forse per una estrema
cautela, viene usato il condizionale ("avrebbe"), però dalla vicenda
sembra emergere l'orientamento del Ministero a rendere meno rigida
quell'interpretazione della norma sul cosiddetto maestro unico che tante proteste,
anche clamorose, aveva suscitato.
3. Maestro unico/2. L'apprendimento come variabile
indipendente
Se questa interpretazione, per così
dire estensiva, della flessibilità della norma, non sarà contraddetta da
disposizioni ministeriali più restrittive, potrebbe venir meno una delle più
dure ragioni di polemica sulle novità introdotte dall'attuale governo nel
funzionamento della scuola primaria: quella riguardante il maestro unico,
inteso come figura dominante nella classe, responsabile dell'insegnamento di
tutte le materie fondamentali, unica, o meglio quasi unica (unica è un caso
raro), figura di riferimento per gli alunni e i genitori.
Si potrebbe per esempio, come sembra
che alcune scuole siano intenzionate a fare, abbinare due maestri a due classi,
consentendo a ciascuno di essi di insegnare in entrambe le classi l'area
disciplinare nella quale è più specializzato.
In questo modo la variabile
indipendente non sarebbe costituita dal modello organizzativo ma - come ci
sembra più giusto e produttivo anche in termini di efficacia - dal
risultato didattico, dagli obiettivi di apprendimento.
Più ci si avvicinerà a questo
modello di funzionamento della scuola primaria, che è anche il più rispettoso
dell'autonomia didattica e organizzativa delle scuole, e più debole giungerà da
queste ultime l'eco delle battaglie di principio contro la figura del maestro
"unico".
4. Gli altri Regolamenti della riforma Gelmini sono
costituzionalmente legittimi?
Il regolamento sulla rete scolastica
(dpr 81/2009), l'unico dei regolamenti Gelmini finora pubblicato in Gazzetta
Ufficiale, sta sollevando dubbi di legittimità costituzionale, perché c'è chi
ritiene che violi lo spirito e il dispositivo della sentenza n. 200/2009 della
Corte Costituzionale.
E gli altri otto-nove regolamenti
che lentamente stanno arrivando alla conclusione del loro travagliato iter sono
blindati da eventuali nuovi attacchi per possibile incostituzionalità?
Proprio la citata sentenza della
Consulta ha ritenuto che tutte quelle norme contenute nell'articolo 64 della legge
133/2009 e, nella fattispecie, quelle inserite nel comma 4, escluse soltanto
quelle che attengono al dimensionamento delle istituzioni scolastiche (art. 64,
comma 4, lettere f-bis ed f-ter), sono norme generali dell'istruzione e, in
quanto tali, rientrano nelle competenze esclusive dello Stato. Conseguentemente
è da ritenere che siano di competenza esclusiva dello Stato anche i relativi
regolamenti di attuazione, proprio tutti quelli che ancora mancano, perché sono
in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (regolamenti di riordino
del primo ciclo), sono alla verifica della Corte dei conti per la registrazione
(organici ATA) oppure hanno appena iniziato l'iter consultivo dopo
l'approvazione in prima lettera da parte del Consiglio dei Ministri (regolamenti
dei licei, dei tecnici e dei professionali, revisione classi di c oncorso,
istruzione degli adulti).
La natura di norma generale dovrebbe
ora dare nuovo impulso all'iter consultivo degli schemi di Regolamento
approvati dal Consiglio dei Ministri, anche se resta tutta l'incognita dei
tempi di ripresa della Conferenza Unificata che potrebbero rallentare
notevolmente la conclusione della loro approvazione.
5. I difficili rapporti tra Stato e Regioni richiedono un
chiarimento definitivo
Dopo le dichiarazioni del ministro
Gelmini che ha minimizzato la portata della sentenza n. 200 della Corte
Costituzionale e ha affermato che i nodi del contendere nei rapporti tra Stato
e Regioni, per quanto riguarda l'istruzione, sono già stati risolti ancora prima
della sentenza, non dovrebbero esserci problemi nel dare attuazione al
Regolamento sul dimensionamento della rete scolastica.
Ma è proprio vero?
Le valutazioni dell'opposizione
all'indomani della pubblicazione della sentenza e, soprattutto, la presa di posizione
della Conferenza delle Regioni fanno capire che la questione è molto più
complessa di quanto possa sembrare e va certamente oltre il merito degli
oggetti del contendere che riguardano l'istruzione (dimensionamento, piccole
scuole, sezioni primavera).
Sui contenuti in materia di
istruzione è sempre possibile trovare soluzioni e accordi, ma è sul problema di
fondo dei rispettivi ruoli e delle competenze dello Stato e delle Regioni che
manca ancora una visione comune, condivisa ed effettivamente praticata.
Dopo il nuovo Titolo V della
Costituzione che ha virtualmente modificato lo scenario istituzionale,
assegnando ai diversi soggetti della Repubblica specifiche competenze e propri
ambiti di intervento, disponendo però una tutela unitaria del sistema attraverso
la cosiddetta legislazione concorrente, manca un quadro di attuazione e
chiarimento definitivo proprio sui livelli delle competenze.
Se non interverrà presto un accordo
quadro sul Titolo V, si correrà il rischio di altre sentenze dirompenti della
Corte e, soprattutto, si rallenterà il corso delle soluzioni attese. Come sta
capitando anche per l'istruzione.
6. Federalismo scolastico: cooperare per il bene del sistema
educativo
La decisione n. 200 dello scorso 2
luglio della Corte Costituzionale sui ricorsi presentati da alcune Regioni
conferma che è con l'attuazione del Titolo V che vanno fatti i conti, perché è
lo strumento per promuovere e dare concretezza nei contesti territoriali al
disegno di riorganizzazione ordinamentale ed organizzativa del sistema
educativo.
Nella riunione del 10 luglio 2009 la
IX Commissione degli Assessori Regionale della Conferenza delle Regioni ha
sottolineato la necessità che sia attivata una migliore azione di cooperazione
e di coordinamento tra i diversi livelli di governo del sistema per contrastare
le "invasioni di campo" che incidono sulla qualità e sulla
legittimità degli interventi e sulle opportunità per innovare e creare un
futuro meno precario per le politiche formative.
Dai lavori della Commissione viene un
messaggio chiaro e forte di un concreto interesse ad una rapida approvazione
dell'Accordo Quadro tra Stato, Regioni ed autonomie locali di attuazione del
Titolo V. Secondo le Regioni il ministro Gelmini non può avere la pretesa di
procedere da sola alla riforma degli assetti ordinamentali ed organizzativi del
sistema scolastico, alimentando un conflitto con le Regioni per la mancata o
parziale attuazione del processo di attuazione del federalismo
istituzionale.
Riforme ordinamentali e nuova
configurazione della governance non possono essere affrontate separatamente,
perché entrambe funzionali alla realizzazione del processo di riforma, che ha
possibilità di una effettiva concretizzazione nei contesti scolastici solo se
condiviso dai diversi livelli di governo territoriale (Stato, Regioni,
Province, Comuni, Città metropolitane).
La decisione della Corte con le sue
ricadute ed implicazioni impone a tutti un decisivo ed obbligato sforzo
cooperativo per chiarirne la portata e ridurre gli spazi di incertezza rispetto
ai comportamenti amministrativi da assumere.
Un impegno risoluto e rapido del
ministro Gelmini per la definizione dell'Accordo Quadro in sede di Conferenza
Unificata sembra la "strada maestra" per prevenire una possibile
parziale disapplicazione unilaterale da parte delle Regioni del D.P.R n.
81/2009, pubblicato nella G.U. del 2 luglio 2009, concernente la
riorganizzazione della rete scolastica.
13 luglio 2009
da LASTAMPA.it
I PRIMI DATI DEL MINISTERO
In 15mila non superano la maturità
Tra medie e superiori circa 10.000 studenti sono bocciati per il 5 in
condotta
ROMA
Secondo i dati non ancora definitivi
rilevati dal Ministero dell’Istruzione aumenta il numero degli studenti che non
ha superato l’esame di maturità. L’anno scorso, infatti, i bocciati all’esame
di Stato della scuola secondaria di secondo grado furono il 2,5% del totale,
cioè circa 12mila. Quest’anno, se fossero confermati i primi dati, il 3,1%
degli studenti non dovrebbe ottenere il diploma, circa 3.000 studenti in più
del 2008. In totale sarebbero in 15.000 a non superare l’esame. Sulla base di
«un campione già significativo», il ministero rileva che è in aumento il numero
dei non ammessi alle medie e alle superiori. Cresce anche il numero degli
studenti che alle superiori sono stati sospesi e che dovranno, quindi,
recuperare a settembre le insufficienze riportate al termine di questo anno
scolastico per essere ammessi al prossimo. Alle medie si dovrebbe registrare,
quindi, un aumento di circa 12mila studenti non ammessi rispetto al 2008. Di
questi, circa 3.000 sono stati bocciati per l’insufficienza nel voto in
condotta.
Sono raddoppiati, inoltre, gli
studenti non ammessi all’esame di terza media. La percentuale infatti risulta
pari al 4.4%, rispetto al 2.1% dello scorso anno. Un lieve aumento dei non
ammessi anche nella scuola superiore rispetto al 2008. In forte crescita invece
il numero degli alunni sospesi. Circa 30.000 studenti in più dell’anno scorso,
infatti, hanno riportato almeno una insufficienza che dovranno recuperare entro
l’inizio del prossimo anno scolastico. Il maggior numero di bocciati si
registra negli istituti professionali, dove il 23% degli studenti non è stato
ammesso all’anno successivo. Seguono gli istituti tecnici con il 16,3% e
l’istruzione artistica con il 16%. I più bravi sono i ragazzi del liceo
classico con il 4,8% dei non ammessi, seguiti degli studenti del liceo
scientifico (6,6%) e dai ragazzi del liceo linguistico (5,1%). È agli istituti
tecnici, invece, che si registra il più alto numero di studenti sospesi
(31,6%), seguiti dall’istruzione artistica (31,1% degli studenti) e dagli
studenti degli istituti professionali (30,8%). Dovranno recuperare una o più
insufficienze a settembre il 22% degli studenti del liceo classico, il 25,4%
dei ragazzi dello scientifico e il 24,7% del linguistico.
Sempre nella scuola superiore circa
6.500 studenti sono stati bocciati per l’insufficienza in condotta. Circa la
metà (3.000) sono studenti degli Istituti professionali. È ai licei classico,
scientifico e linguistico che si registra il numero più basso di studenti con 5
in condotta (solo lo 0,1% degli studenti), mentre lo 0,4% gli alunni degli
istituti tecnici e dell’Istruzione artistica non è stato ammesso all’anno
successivo per aver riportato un’insufficienza nella valutazione del
comportamento.
SCUOLA/ Promuovere o bocciare? Ecco tre questioni sulle quali riflettere
Lucia Failla martedì 14 luglio 2009
La diffusione, anche se non ancora
ufficiale, degli esiti di questo anno scolastico che si chiude con un aumento
del numero di alunni bocciati, ripropone l’annosa querelle “Promuovere o
bocciare”, lanciata sulle pagine di questo giornale da autorevoli interventi
che hanno provocato un’ampia partecipazione di lettori schierati a favore o
contro.
In molti hanno letto questi
risultati con soddisfazione, considerando l’inversione di tendenza, registrata
negli ultimi due anni, come il segnale di un ritorno alla scuola del rigore, dell’impegno,
traino verso la tanto decantata valorizzazione del merito. E del resto anche
nell’immaginario collettivo la bocciatura viene immediatamente collegata alla
serietà dei docenti e dell’Istituzione, mentre l’eccesso di promozione ad una
sorta di atteggiamento “buonista” responsabile di aver prodotto vieppiù in
questi ultimi decenni una scadente preparazione generale e un progressivo
appiattimento verso il basso dei risultati, confermato del resto dalle indagini
comparative internazionali ed europee.
Data la natura articolata e
complessa della questione, peraltro già analizzata nei precedenti interventi,
pare opportuno considerare solo alcuni aspetti all’interno degli ambiti
prevalenti di riferimento.
1. La prima riflessione parte dall’orientamento formativo che la scuola
è andata sempre di più assumendo, proprio per rispondere al principio base del
Regolamento dell’Autonomia “garantire il successo formativo”, principio che
vale non solo nella scuola dell’obbligo, ma anche nel triennio finale della
scuola secondaria. La scuola cioè si è posta il compito non tanto di
selezionare, quanto di garantire il successo formativo, promuovendo la crescita
culturale, la maturazione della persona e la possibilità di realizzazione
nell’ambito professionale o lavorativo.
In questa ottica la scuola
dell’Autonomia “dovrebbe” essere in grado di favorire e di creare le condizioni
che promuovano nei propri studenti l’apprendimento di conoscenze, competenze e
atteggiamenti in ordine sia di alfabetizzazione culturale sia di formazione
umana sia di responsabilità sociale.
Ovvio che l’attenzione alla persona
comporta un adeguamento di percorsi e strategie non solo ai livelli di sviluppo
e apprendimento (fasce di età), così come è configurato il nostro sistema
ordinamentale, ma anche ai ritmi e agli stili apprenditivi (personalizzazione
dei piani di studio).
In tale prospettiva cambia anche la
valenza della valutazione conclusiva che, non dovrebbe limitarsi a documentare
e prendere atto di risultati, ma dovrebbe invece impegnarsi a ricercare i
motivi dell’insuccesso scolastico per prevenirli e porvi rimedio. Questo non si
traduce necessariamente in promozione per tutti, ma garantisce che la scuola
ricorra alla non ammissione alla classe successiva solo quando ciò possa risultare
comunque utile ad assicurare il successo formativo. E non dimentichiamo che in
questa decisione, la bocciatura, Scuola e Famiglia sono ugualmente
responsabili, in quanto compartecipi dell’impegno educativo.
Ora se l’Istituzione Scolastica
torna a misurare la propria serietà sulla crescita del numero dei bocciati, è
ovvio che tradisce uno dei principali assunti giuridico-legislativi che essa
stessa si è data.
2. La seconda riflessione riguarda l’aspetto più squisitamente
pedagogico della questione.
Esistono nei docenti differenti modi
di intendere la relazione educativa e di interpretarla. Gli esperti ci dicono
che in genere la scelta di bocciare o promuovere risponde ad assunti pedagogici
che attengono a concezioni diverse dell’intelligenza: chi si schiera a favore
della prima opzione in buona sostanza sposa una concezione dell’intelligenza
come dote innata e adegua ad essa il proprio stile educativo - la causa delle
difficoltà o del mancato apprendimento dell’allievo è intrinseca all’allievo stesso
- mentre se si pensa all’intelligenza come prodotto che segue un processo di
crescita personale è evidente che anche l’intervento del docente viene
considerato un percorso in cui l’allievo può superare i propri errori con
interventi a supporto e in progress.
Evidente quindi che nell’uno come
nell’altro caso il giudizio dell’insegnante sarà influenzato, in modo
consapevole o non, dalle proprie convinzioni, in ordine alle modalità di
concepire, non solo la maturazione del soggetto, ma anche i rapporti dello
stesso con l’esperienza, con gli altri, con la società.
Si va comunque diffondendo sempre
più tra i docenti la consapevolezza pedagogica che il successo formativo sia
strettamente correlato allo svolgimento dell’attività educativa secondo
principi metodologico-didattici avanzati e che la responsabilità educativa non
possa essere scissa da una maggiore sensibilità e attenzione ai ritmi di
apprendimento, non sempre corrispondenti all’età.
3. La terza riflessione è una considerazione sull’equità del nostro
sistema scolastico.
Anche su questo fronte i risultati
non sono soddisfacenti: gli esiti negativi interessano maggiormente gli
Istituti Tecnici e i Professionali, dove si hanno punte dal 25% a 33% nella
prima classe, e in misura molto minore i licei che contano dal 4 al 6 % di
bocciati nelle prime classi.
La lettura di questi dati non
richiede sofisticate spiegazioni: di solito sono i ragazzi già svantaggiati per
vari motivi, o familiari o sociali o economici o altro, ad essere interessati
dal fenomeno. Senza considerare il fatto che proprio questa percentuale
contribuisce a far salire i tassi di dispersione scolastica da noi molto
superiore alla media dei paesi europei. Su questi numeri bisognerebbe misurare
la validità o meno del nostro sistema educativo, il successo o l’insuccesso
della nostra formula organizzativa.
Certo la crisi della scuola ha
radici culturali e sociali molto profonde, ma è altrettanto certo che non si
risponde al miglioramento della qualità dell’istruzione reintroducendo una
forte selezione.
Occorrerebbe ridisegnare la
struttura degli ordinamenti e dell’organizzazione scolastica, rinnovare la
struttura rigida delle classi, e introdurre un sistema di controllo degli esiti
conclusivi esterno alla scuola, per garantire la reale corrispondenza tra la
certificazione e le competenze acquisite, se della scuola ci interessa davvero
l’aspetto educativo e di crescita dell’uomo.
da ScuolaOggi
La Corte dei Conti frena la Gelmini: il maestro unico non può essere un
obbligo
di Fabrizio Dacrema e Gianni Gandola
Dopo la Corte Costituzionale sul
regolamento sulla rete scolastica, anche la Corte dei Conti frena la Gelmini:
il maestro unico non può essere obbligatorio. Nel dare via libera al
regolamento sul primo ciclo dell’istruzione la Corte dei Conti afferma che “in
sostanza l'indicazione del modello non avrebbe alcun carattere prescrittivo,
lasciando piena libertà alle scuole di strutturare orari e assetti
didattico-organizzativi secondo la propria programmazione e valutazione".
Nella deliberazione di registrazione
del regolamento, la Corte dei Conti fornisce una interpretazione corretta della
legge 169/2008: il modello del maestro unico “viene sì indicato come modello da
privilegiare nell'ambito delle possibili articolazioni del tempo-scuola, ma pur
sempre tenuto conto della richiesta delle famiglie e nel rispetto
dell'autonomia scolastica”
Un dietrofront non da poco per il
Ministro che ancora recentemente affermava in una intervista a Famiglia
Cristiana: «Quella del maestro unico è una scelta culturale e pedagogica del
ministero che vale per tutti. Noi abbiamo cercato di venire incontro alle
famiglie con opzioni orarie di 24, 27, 30 e 40 ore ma, qualunque sia la scelta,
il maestro di riferimento è sempre unico. Il massimo di ore che può fare un
maestro elementare sono 22 più 2 di programmazione, quindi ci sarà un maestro
di riferimento affiancato da colleghi – d’inglese, di religione – che
copriranno le ore rimanenti. Identificare il maestro unico con le 24 ore è un
errore di contenuto che sta disorientando le famiglie».
Insieme a larga parte della scuola
primaria, abbiamo sempre contrastato il ritorno al maestro unico perché fino ad
oggi il gruppo docente corresponsabile, la specializzazione degli insegnanti
per ambiti disciplinari e la programmazione unitaria hanno dato buoni risultati
ed hanno permesso alla scuola primaria italiana di collocarsi ai primi posti in
tutte le indagini internazionali.
Inoltre, la decisione di imporre il
modello del maestro unico attraverso una norma generale ci è sempre sembrata
una palese invasione di campo dell’autonomia scolastica sulla base della quale
(vedi dpr 275/99) le decisioni circa i modelli di organizzazione didattica sono
di competenza delle scuole.
Le forzature della Gelmini, d’altra
parte, sono originate dall’unico intento di ridurre la spesa per l’istruzione e
il maestro unico rappresenta per il governo la strada per diffondere un modello
di scuola poco costoso: solo 24 ore settimanali per una scuola esclusivamente
antimeridiana e con un unico insegnante. Alla prova della scelta delle famiglie
si è però rivelato un flop, solo il 3% dei genitori l’hanno scelto, tutti gli
altri hanno optato per i modelli di 30/40 ore con la pluralità docente.
Allora il Ministro ha comunque
cercato di imporre un maestro fortemente prevalente in ogni classe in modo da
precostituire un modello di funzionamento della scuola primaria semplificato e
impoverito, in cui di fatto tutte le discipline sarebbero state insegnate da un
docente tuttologo e le ore residue sarebbero state coperte da insegnanti
tappabuchi (non necessariamente pagati dal Ministero). Il disegno è chiaro:
ridurre il più possibile ad un insegnante per classe il costo standard a carico
dello Stato e scaricare su Enti Locali e famiglie le esigenze di tempo scuola
aggiuntivo. Lungo questa via, però, il Ministro ha inciampato nella
Costituzione, che tutela l’autonomia delle istituzioni scolastiche e, con essa,
la possibilità di progettare l’utilizzo degli insegnanti attraverso modelli di
organizzazione didattica diversi dal maestro unico. Le scuole potranno così
valorizzare la specializzazione in una determinata area disciplinare dei
docenti della scuola primaria - dalla riforma del 1990 non ci sono più i
maestri unici tuttologi – e potranno continuare a coordinare gli interventi
attraverso la programmazione unitaria settimanale del gruppo docente.
Il re è nudo quindi. Non c’è un
nuovo modello culturale e pedagogico di scuola primaria fondato sul maestro di
riferimento unico, né ci poteva essere perché contrario all’autonomia
scolastica tutelata dalla Costituzione e perché bocciato dall’esperienza
professionale degli insegnanti, dalle scelte dei genitori e dai risultati
positivi finora raggiunti dalla scuola elementare italiana.
Rimangono, invece, i tagli che
colpiranno pesantemente la qualità dell’offerta formativa, eliminando tutte le
compresenze degli insegnanti, uno spazio di flessibilità didattica
indispensabile per individualizzare l’insegnamento e promuovere il successo
scolastico di tutti.
Per dirla in altre parole: l’aspetto
positivo, da mettere in rilievo, sta appunto nel fatto che le decisioni in
merito all’organizzazione didattica spetteranno ai Collegi docenti. Quindi la
possibilità di salvaguardare e valorizzare metodologie didattiche fondate sul
team teaching, sull’insegnamento cooperativo, ecc.
Il limite, l’elemento che ridurrà di
fatto e condizionerà non poco queste potenzialità sarà determinato dagli
organici che verranno assegnati alle scuole. Lungo questo difficile crinale
dovranno muoversi i Collegi docenti.
Fabrizio Dacrema e Gianni Gandola
Dopo la Corte Costituzionale sul
regolamento sulla rete scolastica, anche la Corte dei Conti frena la Gelmini:
il maestro unico non può essere obbligatorio. Nel dare via libera al
regolamento sul primo ciclo dell’istruzione la Corte dei Conti afferma che “in
sostanza l'indicazione del modello non avrebbe alcun carattere prescrittivo,
lasciando piena libertà alle scuole di strutturare orari e assetti
didattico-organizzativi secondo la propria programmazione e valutazione".
Nella deliberazione di registrazione
del regolamento, la Corte dei Conti fornisce una interpretazione corretta della
legge 169/2008: il modello del maestro unico “viene sì indicato come modello da
privilegiare nell'ambito delle possibili articolazioni del tempo-scuola, ma pur
sempre tenuto conto della richiesta delle famiglie e nel rispetto
dell'autonomia scolastica”
Un dietrofront non da poco per il
Ministro che ancora recentemente affermava in una intervista a Famiglia
Cristiana: «Quella del maestro unico è una scelta culturale e pedagogica del
ministero che vale per tutti. Noi abbiamo cercato di venire incontro alle
famiglie con opzioni orarie di 24, 27, 30 e 40 ore ma, qualunque sia la scelta,
il maestro di riferimento è sempre unico. Il massimo di ore che può fare un
maestro elementare sono 22 più 2 di programmazione, quindi ci sarà un maestro
di riferimento affiancato da colleghi – d’inglese, di religione – che
copriranno le ore rimanenti. Identificare il maestro unico con le 24 ore è un
errore di contenuto che sta disorientando le famiglie».
Insieme a larga parte della scuola
primaria, abbiamo sempre contrastato il ritorno al maestro unico perché fino ad
oggi il gruppo docente corresponsabile, la specializzazione degli insegnanti
per ambiti disciplinari e la programmazione unitaria hanno dato buoni risultati
ed hanno permesso alla scuola primaria italiana di collocarsi ai primi posti in
tutte le indagini internazionali.
Inoltre, la decisione di imporre il
modello del maestro unico attraverso una norma generale ci è sempre sembrata
una palese invasione di campo dell’autonomia scolastica sulla base della quale
(vedi dpr 275/99) le decisioni circa i modelli di organizzazione didattica sono
di competenza delle scuole.
Le forzature della Gelmini, d’altra
parte, sono originate dall’unico intento di ridurre la spesa per l’istruzione e
il maestro unico rappresenta per il governo la strada per diffondere un modello
di scuola poco costoso: solo 24 ore settimanali per una scuola esclusivamente
antimeridiana e con un unico insegnante. Alla prova della scelta delle famiglie
si è però rivelato un flop, solo il 3% dei genitori l’hanno scelto, tutti gli
altri hanno optato per i modelli di 30/40 ore con la pluralità docente.
Allora il Ministro ha comunque
cercato di imporre un maestro fortemente prevalente in ogni classe in modo da
precostituire un modello di funzionamento della scuola primaria semplificato e
impoverito, in cui di fatto tutte le discipline sarebbero state insegnate da un
docente tuttologo e le ore residue sarebbero state coperte da insegnanti
tappabuchi (non necessariamente pagati dal Ministero). Il disegno è chiaro:
ridurre il più possibile ad un insegnante per classe il costo standard a carico
dello Stato e scaricare su Enti Locali e famiglie le esigenze di tempo scuola
aggiuntivo. Lungo questa via, però, il Ministro ha inciampato nella
Costituzione, che tutela l’autonomia delle istituzioni scolastiche e, con essa,
la possibilità di progettare l’utilizzo degli insegnanti attraverso modelli di
organizzazione didattica diversi dal maestro unico. Le scuole potranno così
valorizzare la specializzazione in una determinata area disciplinare dei
docenti della scuola primaria - dalla riforma del 1990 non ci sono più i maestri
unici tuttologi – e potranno continuare a coordinare gli interventi attraverso
la programmazione unitaria settimanale del gruppo docente.
Il re è nudo quindi. Non c’è un
nuovo modello culturale e pedagogico di scuola primaria fondato sul maestro di
riferimento unico, né ci poteva essere perché contrario all’autonomia
scolastica tutelata dalla Costituzione e perché bocciato dall’esperienza
professionale degli insegnanti, dalle scelte dei genitori e dai risultati
positivi finora raggiunti dalla scuola elementare italiana.
Rimangono, invece, i tagli che
colpiranno pesantemente la qualità dell’offerta formativa, eliminando tutte le
compresenze degli insegnanti, uno spazio di flessibilità didattica
indispensabile per individualizzare l’insegnamento e promuovere il successo
scolastico di tutti.
Per dirla in altre parole: l’aspetto
positivo, da mettere in rilievo, sta appunto nel fatto che le decisioni in
merito all’organizzazione didattica spetteranno ai Collegi docenti. Quindi la
possibilità di salvaguardare e valorizzare metodologie didattiche fondate sul
team teaching, sull’insegnamento cooperativo, ecc.
Il limite, l’elemento che ridurrà di
fatto e condizionerà non poco queste potenzialità sarà determinato dagli
organici che verranno assegnati alle scuole. Lungo questo difficile crinale
dovranno muoversi i Collegi docenti.
Da FOE
Dibattito parlamentare su
mozioni riguardanti la scuola statale e paritaria
Ieri 13 luglio 2009, a seguito della presentazione di alcune
mozioni si è sviluppato nell'Aula del Parlamento un vivace dibattito su alcune
specifiche questioni della Riforma Gelmini e più in generale sulla scuola
statale e paritaria
Seduta 201 del 13
luglio 2009
http://www.foe.it/Resource/14_07_09_dibattito.pdf
Arriva la Riforma
dell’Università
Ecco i contenuti
Roma, 14 luglio 2009
Il ministro Mariastella Gelmini ha oggi illustrato i
contenuti della Riforma dell’Università.
“Bisogna avere coraggio – ha affermato il ministro Gelmini –
di cambiare l’Università, non difendendo lo status quo ma premiando i giovani
meritevoli, i nuovi ricercatori e le Università che puntano sulla qualità
eliminando gli sprechi e i corsi inutili”.
Ecco i contenuti del disegno di legge:
GOVERNANCE
RECLUAMENTO E STATO GIURIDICO DEI DOCENTI
DIRITTO ALLO STUDIO
Delega al governo per riformare organicamente la legge 390
del 1991, in accordo con le Regioni. Obiettivo: spostare il sostegno
direttamente agli studenti per favorire accesso agli studi superiori e
mobilità.
14 luglio 2009
da Repubblica
Le vere sfide della scuola
Giovanni Valentini
Se oltre a fornire un´istruzione, la
scuola deve anche provvedere alla formazione complessiva, non c´è dubbio che un
maggiore rigore possa favorire la crescita individuale preparando meglio alle
prove del lavoro e della vita.
In questa ottica, l´aumento dei
bocciati all´esame di maturità è un segnale da rispettare come un richiamo
collettivo alla consapevolezza e alla responsabilità: compresa la valutazione
della condotta, quale antidoto principale contro il bullismo e la violenza.
La società in cui viviamo,
all´insegna di una competitività esasperata, è e sarà sempre più meritocratica
e selettiva. È giusto perciò riconoscere l´impegno, l´applicazione e anche
l´autodisciplina, fin dai banchi di scuola. Non si regala un voto né tantomeno
una promozione, e questo anzi sarebbe quantomai diseducativo per i beneficiari
e per tutti gli altri, come non si regala in genere un successo lavorativo,
professionale o economico. Tanto più vale questo discorso per la nostra
università, ancora occupata da un esercito di fuori corso che non hanno né la
voglia né la capacità di studiare.
Non può non sorprendere, tuttavia,
il fatto che da un anno all´altro i bocciati alla maturità aumentino di colpo
da 12 a 15 mila, con una falcidia particolarmente intensa negli istituti
tecnici. E calcolando anche i non ammessi, si arriva in totale a una platea di
42 mila giovani. Che cosa è successo? C´è una pandemia di ignoranza nella
scuola italiana? I professori sono stati più severi oppure gli studenti erano
meno preparati?
La prima spiegazione potrebbe essere
di ordine tecnico. Sono cambiati in effetti i criteri di valutazione:
quest´anno il colloquio valeva 30 punti, anziché 35; mentre il credito massimo
per la carriera scolastica è passato da 20 a 25. E può darsi, dunque, che
queste variazioni abbiano influito in misura determinante sul giudizio finale,
riducendo per così dire il valore dell´esame orale e quindi la possibilità di
un recupero in extremis.
Ma anche se così fosse, se la
bocciatura di massa dipendesse soltanto da questo, bisognerebbe interrogarsi comunque
sulla legittimità di una selezione che arriva alla fine di un percorso
d´istruzione, come un colpo di scure e non come un esito fisiologico, naturale.
Più che da un maggiore rigore e da una maggiore severità, insomma, questa
selezione scolastica sembra ispirata da una volontà punitiva e dimostrativa,
dettata da ragioni di natura politica che poco hanno a che fare con la missione
educativa e formativa della scuola.
Può anche darsi che questa risposta
d´ordine si configuri come la reazione a un degrado che durava ormai da troppo
tempo, compromettendo la qualità e l´efficacia dell´insegnamento. Così si
rischia, però, di passare da un eccesso di permissivismo o di lassismo
all´altro: cioè a un atteggiamento repressivo che non giova certamente al
recupero degli "asini" ed è destinato semmai a moltiplicarli in
futuro. Il declassamento del colloquio assume in questa prospettiva un
significato simbolico, diventa il sintomo di una incomunicabilità fra la scuola
e gli studenti che non può non preoccupare tutti i cittadini.
Sappiamo bene in quali condizioni di
precarietà e incertezza i nostri insegnanti svolgono quotidianamente il loro
prezioso lavoro di educatori, sottovalutato e ancor più sottopagato, spesso
supplendo alle assenze o alle carenze delle famiglie. E a volte, addirittura
contro le famiglie, contro genitori iper-protettivi che scaricano le proprie
responsabilità e i propri sensi di colpa sul sistema dell´istruzione pubblica.
Eppure, è solo da una più stretta collaborazione e solidarietà fra le sue varie
componenti che il mondo della scuola può trarre la spinta necessaria per
riformarsi e rigenerarsi nell´interesse della collettività.
Io, ministro, dico no ai docenti sottopagati
di Mariastella
Gelmini
la Repubblica – 14 luglio 2009
Caro Direttore, ringrazio Mario Pirani per la disponibilità
e per la concretezza con cui segue le questioni della scuola e dell’università.
Soprattutto in questi campi mi sembra indispensabile fare tesoro dell’invito
del Presidente Napolitano al dialogo e alla collaborazione.
Personalmente auspico che la riforma dell’Università, ora
in cantiere, costituisca il primo e più importante banco di prova di una
rinnovata volontà comune di collaborazione tra maggioranza e opposizione sui
temi centrali per il bene del Paese.
I problemi relativi alla docenza affrontati da Mario Pirani
nell’articolo di ieri sono molto importanti. Dobbiamo aver chiaro, quando
parliamo di reclutamento, che un sistema perfetto non esiste, ma è necessario comunque
evitare di ripetere gli errori del passato. Il sistema dell’abilitazione
nazionale pone un filtro, mi auguro rigoroso, per l’accesso ai vari ruoli della
docenza.
La ricercatrice che scrive a Pirani auspica un concorso
unico nazionale a numero chiuso. Non dimentichiamo che un sistema analogo era
in vigore fino al 1998 e aveva attratto critiche feroci. Questa modalità di
reclutamento nega, infatti, la possibilità di valutare gli Atenei per la loro
produzione scientifica. Come si possono valutare le Università che non sono
libere di scegliere i propri docenti? Una buona legge non può imporre una
virtù, ma deve secondo me introdurre
correttivi e incentivi. Il correttivo dell’abilitazione è indispensabile per
evitare che chiunque possa vincere un posto anche senza avere meriti. Sono poi
del tutto d’accordo sulla necessità di limitare la proliferazione di forme di
docenza sottopagate e senza diritti. Ho preparato una nuova circolare sui corsi
di studio che porterà ad una forte limitazione degli insegnamenti a contratto
e, nella legge quadro, intendo inserire norme incisive per limitare lo
sfruttamento dei giovani studiosi.
MIUR, spesa immobilizzata
Programmazione ko: debiti e tagli pregressi abbattono i fondi alle
scuole
di Piero
Alestra
Il Sole 24 Ore – Scuola n. 13 – 25 giugno-27 agosto 20099
Il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca assorbe il
48,9 per cento dei costi dello Stato: 44,5 miliardi sui quasi 91 miliardi di costi di tutte le
Amministrazioni. Un primato che colloca l’istruzione tra i potenziali maggiori
«contribuenti» al contenimento della spesa pubblica. Ma l’istruzione detiene un
altro primato: il costo del personale copre quasi il 98 per cento della spesa
totale del Ministero, i costi di gestione raggiungono appena il 2 per cento e
gli ammortamenti si attestano ad un irrisorio 0,04%. Un’anomalia che ci colloca
in fondo alle classifiche europee (si veda articolo in pagina) e che appare
squilibrata anche rispetto alle altre amministrazioni pubbliche dove il costo
del personale si attesta al di sotto dell’86 per cento. Ragioni che da oltre
dieci anni hanno fatto concentrare, con scarsi risultati, l’azione di
razionalizzazione sul contenimento delle piante organiche. Infatti, dopo oltre
otto anni di proclami e leggi finanziarie (dal 1997 al 2006) che prevedevano
tagli di organico anche consistenti, il personale in servizio, anche in
presenza di una lieve diminuzione della popolazione scolastica, ha subito una
costante crescita fino al 2006 e solo nel 2007 ha fatto registrare una leggera
flessione (-1,1%). Una situazione che ha portato il Ministro Padoa Schioppa ad
inserire, proprio con la Finanziaria del 2007, pesanti vincoli per viale
Trastevere con l’introduzione della clausola di salvaguardia: se non si taglia
il personale si riduce l’equivalente dalle altre spese del Miur. Vincoli
confermati e rafforzati dal suo successore, Tremonti, che con la manovra
finanziaria triennale ha chiesto all’Istruzione una riduzione del bilancio di
3,2 miliardi. Il risultato è che, con la finanziaria 2009, i costi
dell’istruzione del 2008 - il budget 2009 rappresenta i costi consolidati dello
scorso anno finanziario - sono stati ridotti di oltre un miliardo di euro.
Riduzione che, sommata ai tagli operati dal precedente Governo, stanno mettendo
in seria difficoltà economica le scuole. Infatti, non riuscendo a ridurre le
spese di personale, l’applicazione automatica della clausola di salvaguardia
sta azzerando i finanziamenti destinati al funzionamento delle scuole. Una
situazione che non consente al Ministero di impostare la propria azione
amministrativa in maniera da consentire ai centri di spesa, le strutture
territoriali e in primis le scuole, una Pianificazione finanziaria coerente con
le attività didattiche programmate. La direttiva annuale dell’azione
amministrativa per il 2009 è stata registrata e resa pubblica solo da qualche
settimana e molti obiettivi di spesa risultano con le caselle vuote.
Eppure, sempre il precedente Governo, aveva elaborato alcune
ipotesi di intervento per il contenimento degli organici che, se riprese,
avrebbero potuto consentire di raggiungere gli obiettivi di contenimento della
spesa preventivati. Il Quaderno Bianco sulla scuola, presentato nel 2007 dai
Ministri Padoa Schioppa e Fioroni, formulava alcuni possibili scenari per
determinare il fabbisogno di insegnanti. In particolare, uno scenario (il 4°)
prevedeva la riduzione di oltre 70 mila posti di insegnanti attraverso una
diversa logica di determinazione del fabbisogno di personale, superando
l’artificiosa distinzione tra organico di diritto e di fatto, coinvolgendo le
Regioni e le Autonomie locali, per le competenze costituzionali loro
attribuite. Lo scenario 4 del Quaderno bianco fissava l’obiettivo della
«diminuzione di un punto del rapporto alunni studenti attraverso una nuovo
assetto di governance dove lo stato
fissa gli obiettivi» e lascia al livello regionale la responsabilità per il
loro conseguimento. Gli effetti di una programmazione regionale della rete
all’interno di un obiettivo nazionale sul rapporto insegnanti/studenti avrebbe
comportato una forte responsabilizzazione dei livelli locali del governo della
scuola che, tenendo conto delle specificità territoriali (zone montane, alunni
extracomunitari, tempo pieno, ..) e attraverso interventi infrastrutturali e
sull’organizzazione del lavoro, poteva «avvicinare il fabbisogno lordo di
docenti al fabbisogno strettamente necessario». Un quadro tendenziale che
conduceva il rapporto complessivo insegnanti per 100 studenti dell’Italia a
valori simili ad altri paesi europei, agendo anche attraverso «la riduzione di
orario nelle scuole superiori e l’assorbimento delle compresenze di docenti per
la lingua inglese nel primo ciclo». Interventi che aprivano uno spazio
importante per riallocare risorse finanziarie, orientandole verso obiettivi di
miglioramento dei livelli di prestazione del servizio.
Capisaldi importanti che il Governo in carica non solo non
ha preso in considerazione ma ha sottovalutato al punto da aprire un
contenzioso con le Regioni e le Autonomie locali.
BUDGET
ISTRUZIONE Anno 2009 |
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Missione 22: ISTRUZIONE SCOLASTICA -
Riconciliazione fra BUDGET e BILANCIO
FINANZIARIO |
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Programmi/Macro aggregati di spesa |
Costi amministrazione |
Costi dislocati (1) |
TOTALE COSTI |
Rettifiche integrazioni +/- |
Stanziamento in C/Competenza del Bilancio Finanziario |
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Programmazione e coordinamento dell'istruzione scolastica |
301.022.799 |
78.086.210 |
379.109.009 |
8.008.640 |
387.117.649 |
||
Istruzione Prescolastica |
4.318.820.275 |
421.391 |
4.319.241.666 |
- 125.182.144 |
4.194.059.522 |
||
Istruzione Primaria |
13.328.976.778 |
1.266.126 |
13.330.242.904 |
- 356.433.751 |
12.973.809.153 |
||
Istruzione Secondaria I grado |
9.827.004.777 |
617.477 |
9.827.622.254 |
- 258.399.001 |
9.569.223.253 |
||
Istruzione Secondaria II grado |
16.548.133.892 |
4.400.050 |
16.552.533.942 |
- 308.539.643 |
16.243.994.299 |
||
Istruzione Post secondaria |
704.084 |
|
704.084 |
- 348.801 |
355.283 |
||
Istruzione degli adulti |
473.400 |
|
473.400 |
- 373.139 |
100.261 |
||
Diritto allo studio, condizione studentesca |
3.205.511 |
997.072 |
4.202.583 |
1.839.830 |
6.042.413 |
||
Istituzioni scolastiche non statali |
|
401.924.948 |
401.924.948 |
- |
401.924.948 |
||
Interventi in materia di istruzione (*) |
|
120.000.000 |
120.000.000 |
- |
120.000.000 |
||
4 |
|
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|
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|
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TOTALI |
44.328.341.516 |
607.713.274 |
44.936.054.790 |
- 1.039.428.009 |
43.896.626.781 |
||
|
(*) Poste aggiunte in bilancio a favore delle istituzioni
scolastiche non statali |
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(1)
Si
tratta di finanziamenti a favore di soggetti esterni all'Amministrazione:
prevalentemente sono fondi a favore delle scuole non statali. |
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|
Fonte: MEF,
Dipartimento Ragioneria generale dello Stato |
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|||||
Confronto internazionale negativo
Italia maglia nera per le risorse non destinate al personale
di Piero
Alestra
Il Sole 24 Ore – Scuola n. 13 – 25 giugno-27 agosto 20099
La composizione della spesa per l’istruzione è determinata
dalla spesa corrente e da quella del personale, in particolare. Spesa corrente
che nei paesi Ocse è prossima al 92 per cento e la spesa in conto capitale e di
poco superiore all’8 per cento. In Italia la quota destinata alla spesa in
conto capitale è tra le più basse tra i paesi Ocse: 6,5 per cento contro l’8,5
per cento della media Ocse e valori superiori al 10 per cento in paesi come la
Finlandia e gli Stati Uniti. Lo stesso dicasi per la spersa corrente non
destinata agli stipendi del personale: il 14,2 contro il 18,2 per cento della
media e addirittura il 31,1 della Finlandia. Insomma, la spesa pubblica per
l’istruzione nel nostro Paese è concentrata sui costi di personale. Se si
considera, inoltre, che la spesa pubblica per l’istruzione in rapporto al Pil
in Italia si colloca nella media dei paesi Ocse mentre è irrisoria la componente
privata (0,1 contro lo 0,4 della media Ocse e lo 0,6 di Germania e Gran
Bretagna) si comprende come questo squilibrio a sfavore degli investimenti in
conto capitale influisca sulla qualità e l’agibilità del patrimonio materiale
delle scuole e sugli scarsi risultati dei nostri studenti. I disastrosi
risultati degli studenti italiani non sono determinati da una minore spesa per
studente; anzi questa è maggiore sia della media Ocse che dei paesi europei. La
spesa pubblica italiana supera di circa il 24 per cento la media Ocse. Nel 2005
(indicatori Ocse 2008), la spesa per studente, a parità di potere d’acquisto,
era pari a 6.835 dollari per la primaria e a 7.648 per la secondaria contro,
rispettivamente, 6.252 e 7.804 della media Ocse e 6.055 e 7.600 della media
europea. La Finlandia che si colloca al top dei risultati per gli apprendimenti
degli alunni ha una spesa per studente pari a 5.557 dollari nella primaria e
7.324 nella secondaria.
L’elevata spesa per studente, così come l’alta spesa per il
personale, dipende essenzialmente dalla durata dei percorsi di studio (un anno
in più nella secondaria superiore), dall’elevato numero di ore di insegnamento
(i nostri studenti passano mediamente 200 ore in più fra i banchi rispetto ai
loro coetanei finlandesi), dal ridotto orario di lavoro degli insegnanti (in
media il 10% in meno dei loro colleghi europei), dalla percentuale degli
insegnanti di sostegno che rappresentano circa il 10 per cento del personale,
da un alto numero di personale amministrativo che non trova riscontro in nessun
paese industrializzato.
Una distribuzione delle risorse che appare concentrarsi sui
bisogni del personale piuttosto che su quelli degli studenti. Le modeste spese
per i servizi complementari indicano la scarsa propensione ad attivare
iniziative di accompagnamento e di sostegno che possano facilitare la fruizione
del servizio scolastico, a partire dall’assenza di borse di studio.
Fonte:
Elaborazione su dati OCSE
Camera dei Deputati – Aula
Nella seduta di martedì 14 luglio la Camera ha svolto interpellanze e
interrogazioni, tra le quali alcune riguardanti problematiche riguardanti la
scuola; i testi sono reperibili all’indirizzo:
http://www.camera.it/resoconti/resoconto_allegato.asp?idSeduta=202&resoconto=allegato_a.
Nella seduta di mercoledì 15 luglio la Camera ha approvato le mozioni ha
approvato la mozione Garagnani, Goisis, Latteri ed altri n. 1-00204, respinta
la mozione Zazzera ed altri n. 1-00216 e votate le mozioni Ghizzoni ed altri n.
1-00204 e Capitanio Santolini ed altri n. 1-00218 concernenti Misure
a favore della scuola pubblica. I testi delle mozioni all’indirizzo:
Camera dei Deputati – VII Commissione Istruzione
Nella seduta di mercoledì
15 luglio la Commissione ha proseguito l’esame del provvedimento Riconoscimento
della personalità giuridica alla Scuola per l'Europa di Parma. C. 2434
Governo. È stato presentato un emendamento
da parte del Governo (104); il seguito della discussione è stato quindi
rinviato.
Nella medesima seduta è proseguito in sede di Comitato
Ristretto l’esame del provvedimento Nuove norme in materia di difficoltà
specifiche d'apprendimento. C. 2459
Senatore Franco Vittoria ed altri, approvata in un testo unificato dalla 7a
Commissione permanente del Senato, C. 479
Anna Teresa Formisano, C. 994
Ghizzoni e C. 1001 Angela Napoli. (52).
Nella seduta di giovedì
15 luglio la Commissione ha proseguito l’esame del provvedimento Riconoscimento
della personalità giuridica alla Scuola per l'Europa di Parma. C. 2434
Governo ed è stato approvato l’emendamento del Governo (108); il seguito della discussione è stato quindi
rinviato.
Nella medesima seduta sono ripresi, in sede di Comitato
Ristretto, gli esami dei provvedimenti:
Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche e la
libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato
giuridico dei docenti. C. 953 Aprea e abbinate C. 808
e 813 Angela Napoli, C. 1199
Frassinetti, C. 1262 De Torre, C. 1468
De Pasquale e C. 1710
Cota
Nuove norme in materia di difficoltà specifiche
d'apprendimento.
C. 2459 Senatore Franco Vittoria ed altri, approvata in
un testo unificato dalla 7a Commissione permanente del Senato, C. 479
Anna Teresa Formisano, C. 994
Ghizzoni e C. 1001 Angela Napoli.
Successivamente, il sottosegretario Pizza ha risposto ad
alcune interrogazioni:
http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/bollet/200907/0716/html/07/comunic.htm#105n7
15 luglio 2009-07-25
da LASTAMPA.it
INTERVISTA
Gelmini "I cinque in condotta? Meglio dei metal detector"
"Basta con la scuola del
buonismo, ora deve valere il merito"
MATTIA FELTRI
ROMA
Ministro Gelmini, quindicimila bocciati alla maturità e i respinti sono
in crescita sia alle medie inferiori che superiori. Per lei è una
soddisfazione?
«No, non è mai bello quando un
ragazzo viene bocciato. Non me ne compiaccio. Però io voglio una scuola del
valore e del merito e devono saperlo anche gli studenti: la scuola del buonismo
e del lassismo fa male soprattutto a loro. E’ in soffitta la cultura del
Sessantotto...».
La cultura del Sessantotto?
«Ma certo, la cultura che ha
prodotto il sei politico, il diciotto politico, che considera la valutazione un
atto d’imperio e livella verso il basso».
Paola Mastrocola scrive che gli insegnanti non sono più severi, ma ormai
disarmati di fronte all’ignoranza. E si riarmano.
«E scrive una cosa sacrosanta. La
nostra scuola non è competitiva e deve tornare ad esserlo. Il valore del titolo
di studio è svalutato. E poi la Mastrocola mi dà ragione quando scrive che gli
insegnanti ancora oggi sentono quella vocina che gli dice di non punire, di non
selezionare, di non giudicare. Invece la scuola deve giudicare e perdere un
anno non è un dramma ma un’opportunità».
Anche per gli alunni della scuola dell’obbligo? I ragazzini di 12-13
anni bocciati sono stati una quantità.
«E mi spiace ancora di più: gli
studenti che si trascinano le lacune dalle medie recuperano difficilmente.
Devono recuperare, non c’è alternativa».
Diecimila studenti bocciati per il voto in condotta. Ma che avranno
fatto mai questi studenti?
«Ma è da non credere».
Cioè?
«Quando andavamo a scuola noi, al
massimo uno tirava una pigna al bidello. Oggi al numero verde del ministero
riceviamo sessanta segnalazioni al giorno. Molte sono dei professori. Bullismo,
cyberbullismo,baby gang, baby gang di ragazze. Io non voglio finire come in
Francia dove hanno sottovalutato il problema e adesso hanno dovuto mettere i
metal detector. Io non voglio i metal detector nelle scuole. Meglio prevenire
con i cinque in condotta».
Lo studente Gelmini avrebbe amato il ministro Gelmini?
«Che importa? Nessuno studente ama
il ministro».
Lei crede che tutto questo basti per migliorare l’istruzione?
«Certo che no. Il merito è
fondamentale, ma ci vuole una scuola capace di integrarsi col mondo del lavoro.
Con il ministro Sacconi stiamo studiando una scuola integrata con aziende che
entrino nelle governance, nei consigli d’amministrazione. Da Confindustria ci
dicono che ogni anno escono 150 mila studenti arruolabili e a loro ne
servirebbe il doppio».
A proposito di merito, c’è un’obiezione: siete partiti dagli studenti,
ma le baronie universitarie non le avete toccate.
«Non è vero. Abbiamo cominciato la
lotta agli sprechi. Abbiamo tagliato i corsi di laurea inutili, le scuole di
specializzazione in sovrannumero...».
Ma la riforma è annunciata da tempo e non arriva mai.
«La riforma, nella sua completezza,
è un’opera complicata che prevede lunghi incontri coi rettori e i docenti, e
ognuno ha un’idea diversa. Io però ho idee precise, ascolto tutti poi decido.
Questo autunno sarà in aula e sarà legge nel 2010».
E l’Anvur - la famosa agenzia che valuterà il merito degli atenei e la
successiva distribuzione dei fondi - arriva il 17, come aveva promesso, o no?
«No, ma arriva col consiglio dei
ministri della settimana ventura, garantito».
Senta, ministro, continuiamo a parlare di merito ma lei, che è di
Brescia, ha sostenuto l’esame di abilitazione all’albo degli avvocati a Reggio
Calabria...
«Rispondo con una domanda: gli
ordini professionali sono la sede del merito?».
Non credo, però...
«Lo so: lo hanno fatto in tanti ma
io sono poi diventata ministro dell’Istruzione. Però il merito lo stabilisce la
professionalità, non l’esame dell’ordine: l’avvocato bravo lavora, l’avvocato
asino non lavora. A Brescia, come altrove, c’era il tentativo di programmare
l’ingresso nel mondo del lavoro. Per chi non aveva santi in paradiso come me
era quasi impossibile passare l'esame.Io sono dell’idea che gli ordini vadano
aboliti».
Torniamo all’Università. Alcuni, come Francesco Giavazzi, sostengono che
si debbano alzare le rette - oggi fra le più basse d’Europa - e aumentare le
borse di studio.
«Le rette non si toccano. Il diritto
allo studio va preservato col massimo del rigore. Prima troviamo il modo di
aumentare le borse di studio, poi si vedrà».
Un’ultima domanda, d’obbligo. Quanto la imbarazzano le testimonianze
sulle notti del premier?
«Per niente».
Per niente?
«E’ una campagna vergognosa condotta
da certa sinistra e da certa stampa. Berlusconi è uno che si batte per il bene del
Paese. Altri, pur di fare male a Berlusconi, sono disposti a fare il male
dell’Italia. A che livello siamo arrivati?»
Beh, però ci sono ragazze che parlano e i giornali registrano.
«Posso nutrire qualche dubbio sulla
credibilità di alcune delle ragazze che hanno parlato? Non si nota un certo
desiderio di visibilità? Siamo a una nuova forma di pentitismo tutto
all'italiana: i pentiti delle feste».
Solo quello?
«C’è anche una regia politica, fatta
di annunci a cui sono seguite le rivelazioni».
D’Alema?
«Non dico che sia il regista. Ma ci
ha messo del suo, o no?».
SCUOLA/ Licei vecchi,
licei nuovi: le famiglie sceglieranno
di Tiziana
Pedrizzi
ilsussidiario.net – 16 luglio 2009
Nell’estate sta proseguendo il
lavoro intorno alla riforma dei licei, nella prospettiva di una definizione
nell’autunno che permetta alle nuove iscrizioni per l’anno 2010-2011 di avere
dinnanzi un quadro chiaro ed assestato.
Nel frattempo ci si possono
concedere alcune osservazioni un po’ laterali rispetto al grande dibattito a
monte sugli ordinamenti, sulle materie e sulle cattedre. Ci si dimentica spesso
infatti che chi sceglie i vari tipi di indirizzi e pertanto ne fa la fortuna o
la sfortuna sono in ultima analisi gli studenti e le loro famiglie.
La soluzione sulla riforma dei licei
può essere letta come un compromesso fra il vecchio ed il nuovo, in cui il
vecchio sta come torre ferma che non crolla giamai la cima per soffiar di
venti.
Alberga ancora nelle stanze di Via
Trastevere l’opinione che il liceo classico sia un prezioso pezzo unico rimasto
oramai solo a livello europeo e che la sua salvezza sia la fondamentale mission
impossible di ogni riforma italiana. Un liceo classico non centrato sulla
filosofia (che viene sacrificata) e neppure sulla letteratura, ma sulla buona
vecchia filologia. Donde carrettate di latino, ahimè, per tutti.
Come questo può conciliarsi con il
facile Cicerone dato quest’anno alla maturità? Cicerone era il sogno di ogni
maturando degli anni Sessanta, perché la sua lingua regolarizzata evitava i
rompicapi di altri autori più devianti dal canone da lui stesso stabilito e che
si studia nei licei.
Non è difficile capirlo. Voi ci
lasciate le nostre cattedre e le nostre illusioni, noi però tutto quel latino
che infliggiamo sulla carta lo lasciamo studiare poco e male. Alla prossima
maturità ci attendiamo Cesare. A quando un’indagine nazionale sul livello del
latino che si impara (non che si insegna!) nei nostri licei?
Il Liceo classico afferma come
propria ragione di identità l’esercizio dell’intelligenza, ma non lo sa
motivare. L’asse filologico può essere proposto come uno degli assi formativi,
non tanto come accesso diretto alla cultura classica (assolutamente
irrealistico, come dimostrano questi Ciceroni) quanto soprattutto come modalità
di esercizio del problem solving su un terreno di storia umana e perciò
adatto ad un certo tipo di intelligenza, meno astratta di quella
logico-formale.
Si tratta di un rispettabile
problema di competenze, ma al momento l’abilità trasversale sicuramente
coltivata nei Ginnasi è principalmente quella di prendere l’abitudine di
studiare per ore cose di cui non si capisce nell’immediato la ragione. Il che
sarà indubbiamente utile per chi dovrà affrontare l’esame di anatomia o di
analisi all’università, ma è un po’ poco per gli adolescenti di oggi: infatti
non lo fanno!
Il risultato è che un’importante
branca del sapere, fra l’altro tipicamente italiana, rischia di essere svilita
e di sparire dalla nostra tradizione formativa, per volerla imporre a tutti.
Certo. Gli studenti dei licei sono i
migliori, bella forza… ma bisognerebbe misurare se sviluppano la loro
intelligenza quanto potrebbero. PISA ci dice che il gradiente che misura il
rapporto fra apprendimenti e background economico-sociale in Italia in alto
flette, cioè che gli studenti dei licei non rendono alla loro potenziale
altezza come avviene in altri paesi.
I nuovi licei sono invece nati con
fatica: il liceo scientifico-tecnologico è cresciuto nell’incubatrice
dell’istruzione tecnica, ma è stato giustamente affidato alla licealità come
unico vero liceo scientifico; il liceo economico-sociale è gemmato a fatica
dall’istituto magistrale rivisitato.
Ma non è detto che da questi parti
podalici nascano robusti bambini.
In Francia – Paese dal punto di
vista culturale e formativo assai vicino al nostro - i due licei più
frequentati sono il liceo scientifico-matematico e quello sociale-economico. Il
liceo di ispirazione letteraria giunge buon terzo e dignitosamente preserva e
sviluppa, con chi è seriamente vocato a farlo, quegli studi.
Decisive dunque saranno le scelte
degli studenti e delle famiglie nel determinare le fortune di questi diversi
tipi di licei.
Si suole imputare la crisi degli
istituti tecnici alla licealizzazione prevista dalla riforma Moratti,
attribuendo al normale cittadino un livello di informazione forse irrealistico.
La crisi dei tecnici sembra venire
in realtà da due circostanze largamente antecedenti.
La prima è la propensione delle
famiglie di tutti i paesi europei giunti ad un certo livello di benessere ad
indirizzarsi verso studi generalisti che postulino una formazione ulteriore di
tipo universitario o parauniversitario. Permettersi di tenere i figli più a
lungo a scuola, senza mandarli a 18 anni a lavorare, è stato vissuto come un
indicatore dell’innalzamento delle possibilità economiche ed in ciò di per sé
non vi è nulla di male. Meglio qualche anno di scuola in più della terza o
quarta auto.
Il problema nasce quando, come è
avvenuto nel nostro Paese, si passa dagli istituti tecnici ai licei “leggeri”
che non danno più una formazione tecnico-professionale, ma solo infarinature
generaliste.
Si vedrà quanto questa tendenza
proseguirà, ma sarebbe auspicabile venisse ridimensionata ad evitare un
declassamento professionale, peraltro già in atto, dei giovani italiani.
La seconda ragione sulla quale, a
livello del sistema scolastico nazionale, si può influire di più, è lo scarso
aggiornamento degli insegnanti delle materie – appunto – tecniche.
Se la formazione tecnica offre una
versione diluita delle materie di base e contenuti professionali obsoleti, è
chiaro che le famiglie se ne disamorano.
Il continuo aggiornamento degli
insegnamenti delle materie di base è sicuramente necessario, ma quello delle
materie tecnico-professionali è vitale. Se negli istituti tecnici commerciali
gli insegnanti non sono – tutti, non solo i volonterosi – tenuti ad utilizzare
software applicativi aggiornati né si può impedire che si vada avanti con la
buona vecchia partita doppia fatta a mano, alla fine qualcuno se ne accorge. Gli
esempi si potrebbero moltiplicare in tutti i campi.
In questo caso il deflusso dalla
tecnica ha segnalato un disagio dovuto a ragioni profonde che lentamente, ma
inesorabilmente sono emerse alla luce del sole.
Parimenti il destino di liceo
scientifico-tecnologico e del liceo economico-sociale si giocherà nel prossimo
decennio sulle schede di iscrizione più che negli ormai annosi dibattiti fra
addetti ai lavori.
16 luglio 2009
da Tecnica della Scuola
Regolamento I ciclo:
dal 16 luglio è legge
di Reginaldo Palermo
Pubblicato sulla GU del 15 luglio, il Regolamento entra in
vigore dal giorno successivo. Comfermato il testo che già si conosceva. Resta
il maestro unico nella primaria e tornano gli anticipi nella scuola
dell'infanzia.
Entra oggi in vigore il DPR n. 89 del 20.03.2009 avente per
oggetto la “Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico
della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione ai sensi
dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito,
con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”: la legge è stata infatti
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 15 luglio e – all’ultimo articolo –
precisa che l’entrata in vigore decorre dal giorno successivo alla
pubblicazione.
Ad una prima lettura il decreto sembra non contenere novità
o modifiche rispetto al testo che si conosceva.
Nella scuola dell’infanzia ritornano gli anticipi:
l’articolo 2 prevede infatti che possano iscriversi anche i bambini che
compiono i tre anni entro il 30 aprile dell’anno successivo, anche se viene
demandata al collegio dei docenti ogni decisione in merito alle modalità di
inserimento (viene però cancellata la norma voluta a suo tempo dal ministro
Moratti che prevedeva in proposito apposite intese fra Regioni, Enti Locali e
Istituzioni scolastiche).
L’articolo 4 riguarda la scuola primaria e ribadisce che il
modello organizzativo di riferimento o comunque privilegiato è quello del
maestro unico e che d’ora l’organico assegnato alle classi prime verrà calcolato
nella misura di 27 ore/docente per classe.
Resta fermo il fatto che, nei limiti delle risorse a
disposizione, le scuole potranno continuare a proporre anche altri modelli di
orario (a 27, a 30 o a 40 ore).
Il testo del Regolamento non fa cenno alla questione delle
compresenze e, anzi, al comma 7 dell’articolo 4 chiarisce definitivamente che
“le maggiori disponibilità di orario derivanti dalla presenza di due docenti
per classe, rispetto alle 40 ore del modello di tempo pieno, rientrano
nell'organico d'istituto”.
Nella secondaria di I grado il tempo scuola è fissato in 29
ore settimanali, più 33 ore annue da dedicare all’approfondimento della materie
letterarie. Il tempo prolungato potrà arrivare fino a 36 ore o, in casi
eccezionali, a 40.
Per quanto riguarda contenuti e programmi del I ciclo di
istruzione si ribadisce che restano in vigore le “Indicazioni Moratti” che
devono però intendersi aggiornate dalle “Indicazioni per il curricolo” di
Fioroni (il Regolamento prevede in proposito l’emanazione di un atto di
indirizzo del Ministro).
Nel corso del triennio scolastico 2009/2010-2011/2012, Ansas
e Invalsi condurranno un apposito monitoraggio sulle attività poste in essere
dalle istituzioni scolastiche in materia di Indicazioni e curricoli.
da TUTTOSCUOLA
Scuola dell'infanzia a
quota un milione di iscritti grazie agli anticipi
Grazie agli anticipi di iscrizione alla scuola
dell'infanzia, l'istituto normativo reintegrato dal nuovo Regolamento (dpr
89/2009) dopo essere stato abrogato dalla legge finanziaria 2007, la scuola
dell'infanzia statale potrebbe toccare a settembre il primato di iscritti della
sua quarantennale esistenza: un milione.
Negli ultimi anni l'andamento degli iscritti ha oscillato
tra i 979 mila e i 968 mila, senza mai riuscire a superare la quota del
milione.
In questo anno scolastico appena concluso è stato raggiunto
il numero di 978.302 iscritti.
La stima di iscrizioni aggiuntive dei bambini anticipatari
valutabili tra le 20 e le 30 mila unità, potrebbe consentire il raggiungimento
della quota di un milione.
A gennaio 2009 la circolare n. 4 sulle iscrizioni ha
anticipato il nuovo dispositivo normativo, contenuto nel regolamento appena
approvato, che consentiva iscrizioni alla scuola dell'infanzia di bambini che
compiranno tre anni di età entro il 30 aprile 2010, con diritto di ingresso a
scuola già da settembre 2009.
Fino ad un mese fa si era pensato che la Corte dei Conti non
autorizzasse gli anticipi nella scuola dell'infanzia, in quanto, in un primo
tempo, aveva ritenuto che il regolamento non dovesse trattare in alcun modo
questioni di riordino della scuola dell'infanzia, perché di questo non faceva
cenno alcuno l'art. 64 della legge 133/2008.
Sulla base delle argomentazioni addotte dai funzionari
ministeriali, la Corte aveva però convenuto che gli interventi sulla scuola
dell'infanzia si giustificavano come funzionali alla revisione dell'intero
sistema di istruzione. E ha dato l'ok sull'intero articolo 2 del Regolamento
che tratta della scuola dell'infanzia con riferimento agli anticipi, alle
sezioni primavera e alle iscrizioni di bambini di due-tre anni nelle piccole
scuole di montagna e di provincia.
17 luglio 2009
da Il Messaggero
Statali, pensione obbligatoria con 40 anni di contributi
Tornano laurea e leva nel conteggio
degli anni: migliaia
di dipendenti pubblici dovranno
andare in pensione prima
ROMA (17 luglio) - Il governo ci
ripensa ancora una volta. I dipendenti pubblici saranno pensionabili al
raggiungimento di 40 anni di contributi, compresi quelli figurativi. È quanto
prevede un emendamento al decreto legge anti-crisi, a firma dal deputato del
Pdl Remigio Ceroni, approvato questa mattina dalle commissione Bilancio e
Finanza della Camera. La norma varrà per il triennio 2009-2011. Sono esclusi
dalla sua applicazione magistrati, professori universitari, dirigenti, medici
responsabili di struttura complessa.
La norma, che aumenterà il numero di
dipendenti pubblici da mandare in pensione forzata, era stata cancellata nei
giorni scorsi dal decreto, anche se si immaginava che sarebbe potuta rispuntare
in un emendamento durante il passaggio del provvedimento fra Camera e Senato.
Arriva quindi la
"super-rottamazione" per gli statali. Già dall’inizio di quest’anno
le amministrazioni possono mandare a casa tutti i dipendenti che hanno
raggiunto i 40 anni di contributi. Finora però alla norma si è data
un’interpretazione ristretta: per calcolare la soglia di 40 anni contano solo
gli anni di lavoro reale, mentre non valgono quelli della laurea e del servizio
militare (i cosiddetti “contributi figurativi”). Includendo invece nel conto
anche i contributi figurativi, il numero di dipendenti pubblici che hanno
maturato 40 anni di contributi crescerebbe notevolmente. Secondo quanto
riferisce l’Inpdap, nel solo 2009 si arriverebbe a quasi 140 mila
pensionamenti, cioè il doppio dell’anno scorso. Rientrerebbero nel limite, ad
esempio, tantissimi medici che hanno riscattato gli anni dell’università e
della specializzazione.
La novità approvata oggi, che vale
per il triennio 2009-2011, cancella infatti il riferimento alla contribuzione
«effettiva» previsto dal ddl Brunetta e fa dunque rientrare nel computo anche i
contributi figurativi e quelli legati ad esempio del riscatto degli anni di
laurea e alla leva. Tre le categorie per cui viene fatta una eccezione: «i
magistrati, i professori universitari, e ai dirigenti medici responsabile di
struttura complessa», vale a dire i primari.
La misura riguarda tutte le
pubbliche amministrazioni (tra cui la scuola, le aziende ed amministrazioni
dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le
Comunità montane, le istituzioni universitarie, gli enti pubblici non
economici, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale). «Le
pubbliche amministrazioni - si legge nel testo - possono a decorrere dal
compimento di anzianità massima contributiva di 40 anni del personale
dipendente» risolvere «unilateralmente il rapporto di lavoro e di contratto
individuale, anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi
fermo quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei
trattamenti pensionistici».
Le proteste. «Chiediamo al
presidente Fini di farsi garante» del voto già espresso sulla pensionabilità
dei dipendenti pubblici dopo i 40 anni di contributi e di «stralciare una norma
che il "mandante" Brunetta ha fatto ripresentare oggi in commissione
Bilancio nel corso dell'esame del decreto legge anticrisi». Lo dichiara
Margherita Miotto (Pd) che, riferendo la misura anche ai medici, afferma che la
norma indebolisce il servizio sanitario nazionale. «Sarebbe inaccettabile -
sottolinea Miotto - un silenzio su questo ennesimo attacco al Parlamento e su
un modo schizofrenico di legiferare che un giorno dice di voler allungare l'età
lavorativa e l'altro approva una norma che manda in pensione a 58 anni».
da Tuttoscuola
Sospensive del Tar Lazio
Graduatorie ad esaurimento. Tutto da rifare?
Nei giorni scorsi il Tar Lazio ha
esaminato una lunga serie di ricorsi su specifici aspetti del decreto
ministeriale n. 42/2009, relativo all'aggiornamento delle graduatorie ad
esaurimento del personale docente.
Per molti ricorsi (che riguardavano,
soprattutto, l'inserimento in coda alle graduatorie di terza fascia in altre
tre province, anziché a pettine, come richiesto dai ricorrenti), il Tar ha
concesso la sospensiva, ordinando al MIUR di provvedere in merito.
Considerato che in molte province
sono già state pubblicate le graduatorie provvisorie e che da tali graduatorie
si dovrà attingere, entro il 31 agosto, per effettuare le nomine in ruolo, la
questione non è di poco conto.
Due sono le possibili strade che il
Ministero potrebbe seguire: rivedere tutte le graduatorie, sulla base delle
ordinanze di sospensiva del Tar Lazio, con conseguente slittamento dei tempi
per le assunzioni in ruolo, oppure proporre appello al Consiglio di Stato.
Dichiarazione del ministro Mariastella
Gelmini
Nuova influenza, Gelmini: al momento
nessuna ipotesi rinvio apertura scuole
Roma, 18 luglio 2009
Il ministero dell'Istruzione ha la massima attenzione
sull'evolversi della situazione della nuova influenza e sta valutando con
scrupolo tutti gli scenari.
Per questo faremo tutte le verifiche necessarie, anche se al
momento la situazione non preoccupa.
E' giusto, comunque, che i ministri dell'Istruzione e del
Welfare valutino tutti gli scenari, non sottovalutando il problema. Il
ministero dell'Istruzione, infatti, sta portando avanti un monitoraggio attento
e continuo sulla vicenda, lavorando in stretta collaborazione con il
viceministro alla Salute Ferruccio Fazio e con l'unita' di crisi attivata
presso il ministero del Welfare, pronto a prendere tutte decisioni che si
riterranno necessarie.
18 luglio
da LASTAMPA.it
Non fa male riperete un anno
MARCO ROSSI-DORIA
Arturo ha fatto settanta giorni di
assenza ed è entrato altre quaranta volte alla seconda ora. Chiara non si è
presentata a oltre metà dei compiti in classe e si è detta impreparata a
interrogazioni programmate, due volte su tre. Antonio non ha mai terminato un
impianto elettrico che non andasse in corto.
Emilio ricompra il quaderno dieci
volte l’anno e ognuno ha al massimo quattro esercizi in fila, fatti male.
Gianni ha riso tutto l’anno dei compagni che consegnavano i pezzi rettificati
alla frazione di millimetro, litiga col prof sostenendo che la macchina a
definizione numerica sbaglia, e quando gli si chiede di provare a vedere con il
calibro prende a usarlo come strumento di percussione.
Enza risponde urlando a quasi ogni
domanda riguardo a quel che ci si aspetta da lei. Nunzio si diverte a scrivere
sui muri e non la smette di prendere in giro prof e bidelle. Carlo sta sempre
zitto. Daria non riesce a stare ferma. Gigi quest’anno non è mai venuto a
scuola. Letizia non ha risposte a nulla. Emiliano ha picchiato due volte un
ragazzino del Senegal più piccolo perché «è un negro schifoso». Antonio si
diverte a strappare le pagine del libro di chi gli siede vicino. A Franco si è
proposto di fare ore in più per imparare a leggere senza sillabare e non è
venuto più. E sono davvero in troppi, nella classe di Monica a Reggio Calabria
come in quella di Marco a Torino, a sapere troppo poco per poter vivere con
dignità in questo nostro mondo.
Dietro ogni bocciatura - e ben oltre
il numero dei bocciati - spesso non c’è più, come era un tempo, la
«impreparazione» in questa o quella parte del famoso «programma» ma la mancata
acquisizione di quel minimo sapere che ti rende cittadino; e non c’è solo
maleducazione o svogliatezza ma spesso disagi, fragilità e sofferenze veri, che
riguardano la crescita equilibrata delle persone e non soltanto la riuscita a
scuola.
Però ben venga il «giro di vite» che
ha portato all’aumento dei bocciati agli esami di maturità e dei ripetenti per
cattiva condotta. Non fa male ripetere un anno, al momento giusto, se non hai
appreso neanche ciò di cui oggi non si può fare a meno o se ripeti
comportamenti inaccettabili. E i docenti ti bocciano quasi solo in questi casi.
Ma ben venga soprattutto perché da
qualche parte si deve pur riprendere a educare. Il mondo adulto italiano ha
troppo a lungo fatto finta di proteggere i nostri ragazzi e, in realtà, ha
impedito loro di respirare la libertà effettiva, quella che si acquisisce
insieme all’esercizio della responsabilità. Infatti - a scuola come in famiglia
e ovunque - abbiamo troppe volte rinunciato alla fatica di mantenere le regole,
presidiare i limiti, dare onore al merito, mostrare ogni volta le possibili vie
di uscita dai normali fallimenti e le ragioni delle frustrazioni, rimarcare la
serietà delle prove. Tutte cose indispensabili alla crescita.
E non va bene ripetere che la
società è ormai fatta così; o che il cattivo esempio è diffuso o che viene
dall’alto. È vero. Ma si deve pur riconoscere che vi è stata una sorta di
eclissi della tenuta educativa generale verso le nuove generazioni: siamo più
deboli, incerti, incostanti nel prendere posizione chiara circa le azioni di
chi cresce - verso le cose, se stessi, gli altri; e nell’assumere il compito di
sanzionare e premiare. Forse per mancanza di generosità: non li vogliamo fare
crescere, abbiamo timore che prendano il nostro posto. Così abbiamo tutti
sottovalutato - dalle stanze dei palazzi, al salotto di casa, ai corridoi delle
scuole - la funzione simbolica e dunque educativa dei nostri gesti verso chi
viene dopo di noi, funzione senza la quale è davvero arduo trasmettere da una
generazione all’altra le disposizioni emozionali e le capacità riflessive,
decisionali e operative da cui tutti dipendiamo.
Perciò il ripristino del limite è
certamente condizione necessaria. Ma non è sufficiente. In ogni azione
educativa esiste un rapporto strettissimo, sia fattuale sia simbolico, tra regola
e offerta di opportunità. L’una acquista senso grazie all’altra e viceversa.
Questo significa che la scuola - mentre diventa più rigorosa - deve finalmente
uscire dal vicolo cieco della standardizzazione, del dare a tutti sempre la
stessa cosa, in modo indifferenziato. Invece deve offrire le opportunità a ogni
ragazzo di meglio sviluppare tutte le sue parti. Certo, questo vale
innanzitutto per le parti più deboli della società. Per le centinaia di
migliaia di ragazzini, ancor oggi più italiani che stranieri, che vengono da
famiglie povere e povere di istruzione e che partono svantaggiati. Tanto è vero
che sono sempre loro la stragrande maggioranza dei bocciati e di coloro che non
finiscono la scuola. La scuola pubblica è nata per loro. Li si deve riconquistare.
Ma la scuola deve e può fare di più,
davvero per tutti. Perché ogni ragazzo - povero o ricco - ha parti più deboli
da sostenere; al contempo, deve poter coltivare le proprie parti forti,
l’inclinazione e il talento; e deve anche intraprendere l’avventura di
esplorare le parti di sé non ancora conosciute. È per questa missione
innovativa che ci mandiamo i nostri figli - dai tre ai diciotto anni. Perciò:
la scuola riprenda pure a bocciare ma fornisca anche maggiori possibilità a
ciascuno. E la politica la smetta di sottovalutare la fatica e la complessità
del compito che la scuola si assume ogni giorno e di lesinare denaro. Perché a
imparare si impara ovunque. Ma non c’è un altro posto dove si può dar senso a
quel che si apprende, dove le generazioni convivono fuori della famiglia e dove
genitori e insegnanti possono mettersi intorno a un tavolo e ricostruire,
insieme, le funzioni educative.
Maestro elementare, dal 1994 al 2006
insegnante di strada nei Quartieri Spagnoli di Napoli, da venti anni si occupa
della formazione di docenti sulle metodologie di contrasto della dispersione
scolastica.
20 luglio 2009
da Tecnica della Scuola
Dpef: per la scuola oltre il danno anche le beffe
di R.P.
Approvato il 15 luglio scorso dal
Consiglio dei Ministri, il Dpef (Documento di programmazione
economico-finanziaria) per il quadriennio 2000-2013 sta iniziando il suo
percorso parlamentare.
A partire dal 22 luglio se ne
occuperà anche la Commissione Cultura della Camera che dovrà esprimere il
proprio parere e trasmetterlo alla Commissione Bilancio che, a sua volta, avrà
il compito di riferire in aula prima della chiusura estiva.
In realtà il Dpef di quest’anno,
contrariamente ad analoghi documenti precedenti, non prevede particolari misure
per la scuola e per l’Università e si limita in sostanza ad elencare le
iniziative assunte dalla legge 133/08 in avanti.
Tutta la politica scolastica degli
ultimi 12 mesi è condensata in 4 righe: “Nel campo dell’istruzione è stato
attuato un processo di razionalizzazione del personale, accompagnato da una
serie di interventi volti a premiare il merito e l’impegno degli studenti, ed è
stato avviato un sistema nazionale di valutazione degli apprendimenti. È stata
altresì riorganizzata la rete scolastica ed è stata valorizzata l’autonomia
delle istituzioni scolastiche”.
Righe nelle quali, a ben vedere,
sono contenute affermazioni non del tutto esatte: non è ben chiaro, infatti, in
cosa consistano gli “interventi volti a premiare il merito e l’impegno degli
studenti”, mentre si dimentica che il sistema nazionale di valutazione degli
apprendimenti esiste da diversi anni e non è stato certamente avviato nel
2008/2009.
Ma è il riferimento alla
valorizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche che lascia
particolarmente perplessi: con il 2009 le scuole si sono viste ridurre in modo
drastico i finanziamenti (i fondi per il funzionamento ordinario sono per
azzerati e non si ha nessuna notizia di un eventuale, seppure parziale,
ripristino).
Il taglio delle risorse finanziarie
rappresenta per le scuole un danno rilevante oltre che una effettiva
limitazione dell’autonomia scolastica.
Ora nel Dpef si legge che
l’autonomia è stata valorizzata: insomma, oltre al danno anche le beffe.
Da Tuttoscuola FOCUS
1. Gelmini & meritocrazia/1. Università e ricerca sono
il banco di prova
"Ma questo è matto".
Lo diceva sottovoce, ma guardandosi a destra e sinistra come per cercare
consensi, uno dei numerosi partecipanti al convegno organizzato a Roma lo
scorso 14 luglio dal gruppo parlamentare del PDL del Senato, mentre parlava il
senatore, e professore universitario, Nicola Rossi, già stretto collaboratore
di Massimo D'Alema per la politica economica.
Ma che cosa aveva detto di così
sconcertante il senatore-professore del PD, tanto da suscitare la citata
reazione dell'ascoltatore (quasi certamente un suo collega universitario)? La
tesi di Rossi, esposta sinteticamente (per gli interventi erano previsti 5
minuti) ma con grande lucidità, si può così riassumere: l'università italiana non
è costruita per premiare la concorrenza, il merito, la specializzazione.
Malgrado l'autonomia, l'offerta formativa delle università è omogenea,
uni-forme, ingessata, statica. Ciò accade perché l'autonomia è finta, e non c'è
vera assunzione di responsabilità, con i connessi rischi, da parte delle
università. Se non si rovescia questa logica, e fino a quando la situazione
resterà quella attuale, i soldi per l'università saranno sprecati.
A quel punto si è sentito il
commento in sala, accompagnato da un sommesso ma diffuso brusio, che è sembrato
più di dissenso che di consenso. L'idea di sottoporre le università e
l'attività dei professori, compresi i "baroni", a valutazioni
oggettive, di aumentare le responsabilità a tutti i livelli, e di legare il
finanziamento delle sedi, e magari anche lo stipendio degli insegnanti, ai
risultati dell'attività svolta, incontra resistenze trasversali, a destra e a
sinistra: più forti quelle provenienti dall'interno del mondo accademico, meno
quelle di altri stakeholders, come le associazioni degli imprenditori.
Nelle sue conclusioni, comunque, il
ministro Gelmini si è trovata in sintonia con la tesi di Rossi (in parte
cautamente ripresa anche da Enrico Decleva, presidente della CRUI): senza
riforme, i soldi sarebbero sprecati. E dunque, avanti con le riforme, a partire
dal sistema di valutazione (ANVUR), il cui regolamento dovrebbe essere varato
dal Consiglio dei ministri questa settimana.
2. Gelmini & meritocrazia/2. La maggiore severità nella
scuola premia il merito?
L'aumento delle bocciature è un
indicatore di (maggiore) qualità della scuola o è una prova del suo fallimento?
Il centrodestra e il centrosinistra,
con eccezioni in entrambi gli schieramenti, si sono schierati sui due fronti
opposti: il centrodestra, con alla testa lo stesso ministro Gelmini (ma con
riserve, per esempio, della sua collega ministro Meloni, emerse anche
nell'intervista recentemente rilasciata a Tuttoscuola), ha plaudito al
ritorno di una maggiore selettività del sistema, mentre la sinistra, per voce
dell'ex viceministro Mariangela Bastico, ha considerato le bocciature, ogni
bocciatura, come la testimonianza dell'incapacità dell'attuale modello di
scuola di trovare soluzioni positive alle difficoltà delle fasce più deboli
della popolazione scolastica.
In base ai dati finora disponibili,
i non ammessi agli esami di stato sono stati circa 29 mila, quasi il 30% in più
dell'anno scorso, mentre la media dei voti si è abbassata e i 100 sono stati il
10% in meno. Risultato delle nuove regole, dalla ammissione con la media minima
del sei alla valorizzazione del curricolo, cioè del credito scolastico, portato
da 20 a 25 punti a scapito dell'orale, e anche della non ammissione derivante
dal 5 in condotta: provvedimenti peraltro in buona parte voluti dal precedente
governo di centrosinistra.
Anche l'aumento delle bocciature
nella scuola secondaria di primo e secondo grado suscita commenti di segno
opposto, ma anch'esso è in parte frutto di scelte fatte dagli ultimi due
governi, non solo dall'ultimo. Il fatto è che la serietà (necessaria) e la
selettività (una sciagura se provoca drop-out) sono questioni che dovrebbero
essere affrontate da tutti al di fuori delle polemiche politiche contingenti.
3. Le compensazioni per il sostegno apriranno altre
polemiche
"Assicurare opportune
compensazioni tra province in modo da assicurare un rapporto medio nazionale di
un insegnante di sostegno ogni due alunni con disabilità": il
dispositivo di graduale perequazione tra i territori dei posti di sostegno è
contenuto nella Finanziaria 2008 varata dal governo Prodi.
La situazione del rapporto tra
alunni con disabilità e docenti di sostegno è attualmente circa di due ad uno,
come media nazionale, ma al suo interno ha rilevanti differenze che dovranno
gradualmente essere compensate. Come riferito da Tuttoscuola nei
giorni scorsi, con l'organico di fatto l'operazione "perequazione",
arrivata al suo secondo anno di applicazione, comporterà da settembre una
riduzione di posti di sostegno in alcune regioni del Sud e delle Isole per circa
1.100 unità che verranno ridistribuite al Centro e al Nord.
La Sicilia è la regione che dovrà
cedere la maggior quantità di posti: 695; la Campania 120, la Sardegna 114, la
Calabria 100. Anche se non si tratta di tagli di organico connessi alle
operazioni di razionalizzazione che stanno interessando dal 2009 tutti i
settori scolastici, non mancheranno di suscitare comunque reazioni locali.
L'anno scorso il rapporto medio
nazionale era di 2,02 alunni con disabilità ogni docente di sostegno, ma mentre
nelle regioni centrali il rapporto saliva a 2,27 (meno docenti e più disabili),
al Sud il rapporto scendeva a 1,81 e, addirittura, nelle Isole a 1,79.
Il rapporto più favorevole era
quello della Basilicata (1,62), seguito da quelli della Calabria (1,70), Campania
(1,74), Sicilia (1,77) e Puglia (1,78).
I rapporti meno favorevoli toccavano
l'Abruzzo (2,66), le Marche (2,44), il Lazio (2,37) e la Lombardia (2,31).
4. Nuove-vecchie polemiche sul precariato
Mariastella Gelmini ha scelto
l'iniziativa "Dedalo e la sfida del nuovo", promossa a Viareggio da
Azione Universitaria e Studenti per le Libertà, organizzazioni giovanili vicine
alla maggioranza, per rilasciare alcune dichiarazioni sul problema del
precariato, argomento tornato al centro del dibattito politico di questi
giorni.
Il ministro dell'istruzione ha
accennato al tavolo tecnico che sta elaborando le misure per dare una risposta
ai precari, ma è stata cauta sui tempi: "non sappiamo" ha
detto, "se (tali misure) saranno inserite come emendamento al
pacchetto anticrisi". In ogni caso, ha assicurato riferendosi alle
conseguenze dei tagli di organico, "all'inizio dell'anno scolastico
non dovrebbero esserci problemi nelle scuole".
Sul taglio degli organici il
ministro ha voluto chiamare in causa il governo precedente, quello presieduto
da Romano Prodi, il cui ministro dell'economia, Tommaso Padoa-Schioppa aveva
per primo inserito nella Finanziaria del 2007 una "clausola di
salvaguardia, che ha determinato tagli nella scuola. Si tratta quindi di scelte
del passato", ha concluso il ministro alquanto sbrigativamente,
ignorando le supermisure dello stesso tipo volute dal ministro Tremonti.
Alle parole del ministro ha
immediatamente replicato la capogruppo del Pd nella commissione Cultura della
Camera, Manuela Ghizzoni, a cui giudizio per risolvere davvero il problema del
precariato nella scuola si dovrebbe "dare continuità al piano del
governo Prodi per stabilizzare il personale docente e Ata". Cioè
provvedere alla immissione in ruolo di 150 mila docenti e 20 mila Ata nel
triennio 2007-2010, sia pure, aggiunge, "compatibilmente con le
disponibilità finanziarie".
Quindi "serve un
provvedimento che cancelli, una volta per tutte, i tagli sciagurati della
manovra estiva dell'anno scorso che stanno già facendo precipitare le scuole
nel caos". Il governo italiano, argomenta la Ghizzoni, è infatti
"l'unico governo europeo che invece di combattere la crisi ne esalta
gli effetti negativi".
da TUTTOSCUOLA
Disabili nella statale, dislessici nella paritaria
Il disegno di legge sulle Difficoltà
Specifiche di Apprendimento (DSA), prossimo ad essere definitivamente approvato
dalla Camera, prevede con molta chiarezza che le DSA (dislessia, disgrafia,
discalculia), di per sé, non costituiscono disabilità e, pertanto, non possono essere
certificate come handicap e, conseguentemente, non danno diritto al docente di
sostegno.
Vanno però anch'esse debitamente
certificate e obbligano la scuola ad applicare particolari strumenti
dispensativi e misure compensative nei confronti dei ragazzi che ne sono
affetti.
La certificazione, insomma, dà
diritto ai ragazzi con DSA di ricevere aiuti e particolari comprensioni in
considerazione delle loro difficoltà di apprendimento.
E le famiglie, a quanto sembra,
ricorrono sempre più a queste certificazioni per ottenere dalla scuola una
particolare attenzione che consideri adeguatamente le difficoltà che i loro
figli incontrano negli apprendimenti delle diverse discipline.
Considerazioni e compensazioni che
le famiglie sembrano trovare più facilmente negli istituti paritari che in
quelli statali, visto che dalle rilevazioni sugli esami di licenza di
quest'anno i candidati con DSA di scuole paritarie sono presenti in misura
quasi tripla (2,12% sul totale degli esaminati) di quelli presenti nelle scuole
statali (0,82% sul totale degli esaminati della statale).
Su altro fronte, quello dei ragazzi
con disabilità, nelle scuole paritarie (ci riferiamo sempre agli esami di
licenza media) i disabili esaminati sono stati l'1,54% di tutti i candidati
presenti, mentre nelle scuole statali, con il 3,05%, sono stati presenti in
misura quasi doppia.
Si può ritenere che le famiglie dei
ragazzi con disabilità trovino più sostegno e aiuti nelle scuole statali,
anziché in quelle paritarie, proprio il contrario di quello che avviene con i
dislessici.
Da Disal
martedì 21 luglio 2009
Stato-Regioni: forse accordo su organici e primavera
Tuttoscuola -
Spiragli di ripresa nei rapporti Regioni e Governo. A breve l'accordo
per sezioni primavera?
"
Non c'è chiusura, ma disponibilità e attesa di vedere
chiariti i numerosi problemi aperti.
Come è noto le relazioni tra Regioni e Governo sono
attualmente sospese, in attesa di chiarimenti che possano definire, oltre il
merito di singole questioni, i rapporti e i livelli di competenza. Le Regioni
ritengono infatti che diverse volte il Governo abbia agito unilateralmente
anche per materie non di esclusiva competenza propria.
"Ora stiamo attendendo le risposte in preparazione
dell'incontro con il Presidente del Consiglio, rispetto al quale stiamo
studiando la data in relazione al fatto che gli argomenti citati richiedono
un'istruttoria vera in modo tale che il confronto con il Presidente sia
concreto".
Alle Regioni, ha fatto capire Errani, interessa che
l'incontro sia risolutivo rispetto alla situazione di profondo disagio in cui
esse si trovano in relazione al rapporto con il Governo per questioni che
riguardano le risposte da dare ai cittadini.
"Per quel che riguarda la scuola - ha
proseguito Errani - siamo pronti a discutere, anche alla luce della sentenza
della Corte Costituzionale relativa al piano di dimensionamento scolastico: in
fondo questa sentenza dimostra come un certo modo di procedere unilateralmente
non porta risultati".
Per la scuola c'è anche il problema dell'accordo per le
sezioni primavera. Il ripristino dei rapporti tra Stato e Regioni, secondo
indiscrezioni, potrebbe consentire di definire l'accordo entro il mese di
luglio.
martedì 21 luglio 2009
Supplenze annuali: forse accettata la proposta DiSAL 2008
Tuttoscuola -
Gelmini: 7 giorni e risolviamo la questione precari
La soluzione si chiama ‘Decreto anti-crisi': l'annuncio è
del ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini, la quale a margine
dell'incontro 'Scienza e agricoltura', organizzato a Roma da Confagricoltura ha
cercato di tranquillizzare i precari.
"Abbiamo istituito un tavolo sul precariato con i
sindacati - ha spiegato Gelmini - e con i ministri Sacconi e Tremonti
stiamo lavorando per cercare di trovare delle soluzioni".
Negli scorsi giorni il ministro aveva presentato un progetto
ai sindacati che prevedeva, tra l'altro, la possibilità di garantire la
continuità della supplenza a chi aveva già avuto nel 2008-2009 un contratto
annuale: "Su questo stiamo lavorando - ha aggiunto il ministro -
la prossima settimana c'è un altro incontro. Probabilmente il provvedimento sui
precari potrebbe essere inserito nel dl anticrisi, ci sono spiragli, ma
aspettiamo la prossima settimana".
Ricordiamo che nel
luglio 2008 DiSAL, in un incontro con il Ministro, propose di ripristinare una
simile misura (riconferme delle supplenze annuali) con meccanismi di
compensazione tesi a ridurre il possibile contenzioso, comunque salvaguardando
la continuità e l’avvio regolare delle lezioni.
Ci auguriamo che
quanto non fatto lo scorso anno si realizzi per il 2009, soprattutto perché
l’infausta decisione delle nomine in ruolo alla fine di agosto (Milano ad
esempio inizia il 21/8) porterà ad un inizio d’anno disastroso, con supplenze
annuali assegnate, nelle grandi province, fino a novembre e quindi con consigli
di classe (specie nei tecnici e professionali – sono sempre loro a pagare !!)
dimezzati o, nel migliore dei casi, ridotti di un terzo. (DiSAL)
Da Disal
martedì 21 luglio 2009
Bocciature ? Contrordine: dai definitivi appare il calo
da Repubblica.it
- 20 luglio 2009
Le statistiche sui risultati degli esami parlano di un calo
dei respinti
E' la seconda volta che i dati correggono le dichiarazioni
della Gelmini
Bocciati, meno anche alle medie smentite le indicazioni del
ministero
di SALVO INTRAVAIA
Scuola del rigore? Forse, ma i dati definitivi sembrano
smentire
E anche sul > condotta,
soluzione italiana al problema del bullismo, va fatta una precisazione: non è
vero che 10 mila ragazzi sono stato bocciati per il 5 in
condotta. E' vero, semmai, che 10 mila studenti di scuola media e superiore
sono stati bocciati "anche" con 5 in
condotta. Perché quanti effettivamente siano stati quest'anno i bocciati per il
solo comportamento non lo sa nessuno: il gestore del sistema informativo può
infatti solo raccogliere i dati relativi ai bocciati "con votazione nel
comportamento inferiore a 6 decimi".
Sono in effetti cresciuti rispetto al 2008 i non ammessi
agli esami di Stato, sia alla media sia - probabilmente a causa della
sufficienza richiesta in ogni materia per arrivare agli esami - al superiore.
Crescono pure i rimandati a settembre (con giudizio sospeso) e, forse, i
bocciati alla maturità. Ma non è detto, perché i dati definitivi potrebbero
rivelare un'altra sorpresa. Per comprendere che la realtà comincia ad apparire
diversa da quella descritta dal governo basta dare un'occhiata ai numeri.
I bocciati agli esami di terza media sono appena lo 0,48 per
cento. Durante l'estate 2008 se ne contarono un numero maggiore (lo 0,53 per
cento), differenza che si accentua se si prendono in considerazione i dati
relativi ai soli ragazzini delle scuole statali: 0,45 nel 2009, contro 0,53 del
2008. Anche sui bocciati al superiore le prime stime ministeriali parlavano di
crescita, per scoprire più tardi che è vero il contrario: 13,8 per cento di
bocciati nel 2008 e 13,6 quest'anno.
SCUOLA/ Maestro unico o no? Proviamo a spostare il problema
Feliciana Cicardi martedì 21 luglio
2009
Si riaccendono i fuochi d’artificio
sul maestro unico.
È stato emesso il parere della Corte
dei Conti con deliberazione n.12, con la quale è stato apposto il visto di
registrazione al Regolamento sul primo ciclo di istruzione. Nel parere si legge
che il modello del maestro unico «viene sì indicato come modello da
privilegiare nell’ambito delle possibili articolazioni del tempo scuola, ma pur
sempre tenuto conto della richiesta delle famiglie e nel rispetto dell’autonomia
scolastica».
Gongolano coloro che hanno
sbandierato le percentuali risicate delle famiglie che hanno scelto l’opzione
del maestro unico (3%). Gongolano i fautori irriducibili del modello “modulare”
introdotto nel 1990 e giunto a pieno regime nell’arco di breve tempo. Non si
vuole qui riaccendere il dibattito pro o contro la figura del maestro unico; si
pongono invece alcune osservazioni che sorgono a partire dal parere espresso
dalla Corte dei Conti.
Si sottolinea che occorre tener
conto della richiesta delle famiglie. Criterio sacrosanto. Ma chi spiega (o ha
spiegato) alle famiglie la portata educativa e culturale di una scelta di
organizzazione scolastica? Le famiglie scelgono un’opzione piuttosto che
un’altra in base ad esperienze positive fatte dai propri figli, o dai figli
degli amici. Se uno dei figli, o loro stessi, hanno dovuto subire un rapporto
difficile e negativo con un solo docente per cinque anni (e può succedere)
allora si invoca la pluralità di insegnanti per avere la possibilità di instaurare
rapporti educativi e personali più facilitati.
Le famiglie scelgono
un’organizzazione scolastica che prevede più tempo di permanenza a scuola anche
per altri due motivi. In primo luogo perché pensano, martellati dalla common
opinion, che rispetto ai loro tempi molte più conoscenze (e discipline) debbano
essere insegnate ai propri figli. In secondo luogo – ma più necessitante – i
genitori che lavorano entrambi hanno bisogno che la scuola assolva anche il
compito di “servizio sociale”. Tale tendenza fino ad alcuni anni fa riguardava
le famiglie appartenenti ai ceti medio-bassi, oggi tocca tutte le fasce
sociali, anche le più acculturate e preoccupate dell’educazione e istruzione
dei figli. Nessuno nega che il bisogno di accudimento dei figli sia nella
nostra struttura sociale pesante e reale.
Ma cosa c’entrano le due motivazioni
riportate con il rifiuto del maestro unico? Forse che la distribuzione del
tempo scuola su più docenti garantisce di per sé una maggior qualità della
cultura e della professionalità dei docenti stessi e possibilità plurime di
conoscenza per gli alunni? La questione va impostata forse in altro modo. È
evidente che un solo docente (tuttologo?) non può andare a fondo di tutte le
discipline (ciò significa studiarle e conoscerle nelle loro valenze formative)
e insegnarle “bene” agli alunni. È altrettanto evidente che il docente che si
occupa di una sola o due discipline non automaticamente le padroneggia nei loro
elementi peculiari e nella loro valenza formativa (colpa questa da attribuire
alla formazione inadeguata). La questione è a monte. Occorre una formazione
diversa per i docenti, sia iniziale che in itinere. La parcellizzazione dei
saperi che devono possedere i docenti impedisce di proporre agli alunni il
sapere e la cultura nella sua integralità e complessità. L’anticipazione della
disciplinarietà nella scuola primaria non è vincente. Dai 6 agli 11 anni
l’alunno si affaccia e conquista la conoscenza nelle sue prime sfaccettature,
ma attraverso un principio unificatore.
In questo senso, qualsivoglia scelta
venga operata (sistema stellare in cui un docente è supportato ed affiancato da
“specialisti”; modularità che vede due o più docenti “specializzati” in aree
disciplinari; tempo pieno con compresenze temporalmente significative di
docenti), qualsiasi scelta può acquistare in efficacia formativa e didattica
nella misura in cui si costituisce un autentico team di docenti che assume la
veste di équipe pedagogica. Quest’ultima ha il compito di individuare metodi,
conoscenze e valenze aperte tra le varie conoscenze perché i docenti si
propongano – pur nella specificità della loro personalità – in modo coordinato
e coerente agli alunni. Un’équipe pedagogica deve avere anche l’accortezza e la
libertà di individuare le competenze specifiche di ogni componente e di farle
esprimere al meglio per chi insegna e per chi apprende.
La Corte dei Conti invoca anche il
rispetto dell’autonomia scolastica. Tale termine ha assunto ormai una pluralità
di significati che intorbidano quello originale. Sarebbe troppo facile ritenere
che si salvaguarda l’autonomia delle scuole nella misura in cui queste ultime
possono scegliere la propria struttura organizzativa, senza dover soggiacere a
vincoli dettati da norme e leggi. L’autonomia scolastica può acquisire
significato nella misura in cui le risorse umane (l’expertise presente nella
scuola) possono essere “utilizzate” secondo schemi che possono stravolgere la
struttura classica in classi, il quadro orario in discipline, perché le
peculiarità di ciascuno vengano valorizzate e messe al servizio dell’intero
istituto scolastico. A fronte di un progetto educativo e didattico la singola
scuola dovrebbe avere l’opportunità di ricercare e poter prendere in prestito –
con la modalità del “comando” – risorse professionali con cui stabilire un
“patto educativo e pedagogico”, finalizzato alla realizzazione del progetto
ipotizzato.
Una scuola autonoma – mantenendo
fede a pochi ma obbligatori principi e condizioni dettati dal Centro – deve
poter immaginarsi un’organizzazione, sì, a partire dalle risorse presenti
nell’istituto scolastico, ma anche poter attingere risorse almeno all’interno
di reti di scuole, se non su libera chiamata. Finora la scuola primaria
italiana ha potuto – laddove si è lavorato con criterio e serietà – giocare la
propria autonomia nella attuazione delle “Indicazioni” (morattiane e/o
fioroniane) e, in alcuni casi più o meno felici, nella scelta del tempo scuola
degli alunni, non dei docenti! Fino a che permarrà il sacrosanto diritto del
tempo professionale del docente di 24 ore lavorative (22 + 2), alla scuola
dovranno essere accordate altre possibilità per giocare la propria creatività
mirata a potenziare le proprie risorse e rendere sempre più efficace la propria
azione formativa.
Qualcuno ebbe ad affermare che per
educare un bambino occorre un intero villaggio. Ogni scuola ha il diritto
dovere di essere un villaggio per gli alunni che la frequentano. (Un tempo si
parlava di comunità educante…). E la questione maestro unico o no è uno degli
elementi da prendere in considerazione: non è certo la panacea per un problema
ben più articolato. I media non hanno certo aiutato, e la scuola e la famiglia,
a porre correttamente la questione. La scuola da oggi in poi rischia di
rimanere ancora una volta sola di fronte alla messa in atto di una libertà che
molto è proclamata, poco è praticabile. E le famiglie diventano ancora di più
decisori confusi o plagiati dalla propria emotività, dalle contingenze o da
pulsioni ideologiche.
Sarebbe auspicabile per tutti
partire da una semplice domanda: a cosa serve e come serve la scuola per i
nostri bambini, figli o alunni che siano?
22 luglio 2009
SCUOLA/ Presidi e autonomia, le mancate risposte delle istituzioni
Roberto Pellegatta mercoledì 22
luglio 2009
Certo che se un lettore normale
dovesse capire come vanno le cose leggendo le cronache locali, certe volte, con
quel che mamma stampa gli passa, difficilmente avrà una chiara conoscenza dei
fatti. Così mi è capitato di pensare leggendo il resoconto che la pagina di
Milano del Corriere ha pubblicato dell’incontro tra il nuovo Direttore
Scolastico Regionale dott. Colosio ed i presidi della Provincia di Milano,
presente l’attuale Provveditore di Milano, dott. Lupacchino.
Nella scelta, fatta dal giornalista,
dei presidi intervenuti si nota un po’ la fonte della notizia. Ma come è
andata? Il dott. Colosio, con una serie di enunciati di principio ampiamente
condivisi dai presenti e anche con qualche apprezzata ed interessante uscita
dal “politicamente corretto”, ha presentato la propria visione
dell’Amministrazione scolastica, sottolineando il ruolo decisivo dei presidi
(ma poteva fare diversamente con gli interlocutori presenti?) per affrontare i
problemi cruciali della scuola milanese. Chi ha lasciato l’incontro al termine
si è augurato la consequenzialità tra principi e futura azione.
Nella sua introduzione il
neodirettore ha messo a fuoco i problemi cruciali che a breve e medio termine
dovrà affrontare: riduzione degli organici, riduzione delle risorse economiche,
rapporto con Regioni e Province, riforme che premono a (troppo) breve termine,
ristrettezza del personale disponibile negli Uffici Regionali e Provinciali,
scadenze delle nomine dei docenti e del personale Ata. Il tutto manifestando un
forte interesse ad un approccio pragmatico, di buon senso, possibilmente
lontano da schemi ideologici o da confusione di ruoli.
Su quest’ultimo aspetto se l’è
presa, senza tanti giri di parole, anche un poco con i sindacati, con le RSU di
istituto che talvolta pretendono sostituirsi ai Collegi docenti, augurandosi
che il sindacato torni a fare il suo vero mestiere: battagliare per condizioni
salariali giuste e rispettose del lavoro di docenti e dirigenti.
Nessun accenno invece all’impegno di
richiedere ulteriori organici al Ministero (sapendo benissimo trattarsi di
richiesta inutile), o ad un viaggio dell’indomani a Roma. Se un incontro il
dott. Colosio ha annunciato per il giorno dopo, si trattava dell'importante
riunione con Assessori Regionali e Provinciali all’Istruzione, perché questi si
sono già mossi con tanto di circolari per avviare una nuova programmazione
degli indirizzi scolastici e delle sedi.
Su questo importante aspetto mi sono
permesso, a nome dei colleghi degli Istituti Professionali, di segnalare
tendenze dell’apparato regionale all’Istruzione ad entrare nel merito
dell’autonomia didattica ed organizzativa delle scuole, con il rischio di
uscire dalle proprie funzioni limitate a creare le condizioni strutturali del
servizio, tentando invece di entrare nel merito di metodologie e scelte
didattiche. Il dott. Colosio ha su questo ribadito che il confronto tra Enti
locali e Scuole deve partire dal pieno riconoscimento dell’autonomia delle
istituzioni scolastiche, che non è arroccamento autoreferenziale, bensì
promozione della libera attività di istruzione ed educazione.
Consapevole della grave situazione
economica dei bilanci delle scuole, sottolineata da un caloroso intervento, il
nuovo Direttore ha invece sorvolato e taciuto risposte chiare ai quesiti posti
sulle riduzioni irrazionali delle compresenze e sul notevole aumento degli
alunni per classe, imposti dalle nuove norme ministeriali.
L’appuntamento (al quale chissà
perché non erano stati invitati i dirigenti delle scuole paritarie) si è
concluso con l’impegno del nuovo Direttore ad un dialogo innanzitutto con i
dirigenti scolastici, riconosciuti primi interlocutori dei nodi da sciogliere
(chiedendo però altrettanto dialogo e correttezza con la Direzione da parte
degli stessi). Non ci sono state invece chiare risposte ai gravi problemi del
momento. Sono rimaste,per esempio, sul vago le serie conseguenze che
deriveranno dall’avvio delle nomine in ruolo dal 21 di agosto (un mese di
ritardo rispetto allo scorso anno, imposto sempre da vicoli ministeriali): un
calendario che porterà all’impossibilità di avere tutti i docenti in classe dal
primo settembre, perché dopo le nomine in ruolo dovranno partire tutte le
nomine annuali dei supplenti. Lo scorso anno, quando la macchina partì a
luglio, le ultime supplenze annuali sono state fatte alla fine di ottobre.
Infine non sono mancati riferimenti
da parte del nuovo direttore (che tra introduzione e risposte ha parlato per
circa due ore), ad una visione corretta dei compiti della scuola: non più da
intendersi come erogatrice di assistenza o servizi, ma con la necessità di
recuperare il chiaro compito dell’istruzione. Tra gli ostacoli individuati a
difesa o recupero della qualità dell’istruzione, Colosio ha ben individuato
l’attuale sistema di reclutamento per graduatorie, attraverso il quale tutto
avviene con astrattezza, casualità, senza alcun incontro personale e diretto
tra scuola e nuovi docenti.
23 luglio 2009
da Repubblica
"No a presidi del Sud nelle nostre scuole"
SALVO INTRAVAIA
ROMA - No a dirigenti scolastici del
Sud in provincia di Vicenza. La mozione votata martedì dal consiglio
provinciale della città veneta farà discutere. Anche perché approvata da
maggioranza e opposizione: 26 consiglieri su 27. A proporla l´assessore alla
Scuola, Morena Martini del Pdl. Razzismo? «Macché. Non si vuole puntare il dito
contro le professionalità provenienti da altre regioni - dichiara - ma
ripristinare una situazione di diritto che alcune regioni, diciamo non
virtuose, hanno disatteso».
Per comprendere la questione occorre
fare un passo indietro. Nel 2004, dopo quasi un decennio, venne bandito il
concorso per dirigente scolastico, gestito a livello locale. Il bando assegnava
ad ogni regione un certo numero di posti disponibili e alla fine della
complessa procedura gli idonei potevano superare il numero dei posti messi a
concorso al massimo del 10 per cento. Ma in alcune regioni le cose andarono
diversamente. «In Campania, per esempio, gli idonei furono parecchi di più di
quello che prevedeva il bando», continua la Martini. Stesso discorso in Sicilia
e in altre regioni meridionali, dove si scatenò una guerra di carte bollate. E
quando il governo Prodi consentì agli idonei la cosiddetta mobilità
interregionale, in 6 regioni settentrionali (Lombardia, Piemonte, Liguria,
Friuli Venezia Giulia, Veneto ed Emilia Romagna) su 118 poltrone disponibili
vennero nominati ben 108 neodirigenti provenienti dal Sud.
Rischiano ora di andare ad
altrettanti presidi meridionali anche i 647 posti autorizzati qualche giorno fa
dal ministero dell´Economia per il 2009/2010. Perché le uniche regioni italiane
in cui sono ancora presenti idonei nelle graduatorie dei concorsi per dirigente
scolastico - per un totale di circa 660 candidati - sono Lazio, Marche,
Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna. Nelle restanti regioni le liste sono
esaurite da tempo. E a settembre quasi tutti i posti lasciati liberi da coloro
che sono andati in pensione andranno a dirigenti scolastici del Sud. Negli
ultimi anni, coloro che dal profondo Sud hanno fatto le valigie e oggi
insegnano al Nord sono tantissimi. In Veneto 17 insegnanti su 100 provengono
dalle regioni meridionali, in Lombardia si tocca quota 31 per cento.
«Nel Veneto - spiega l´assessore
Martini - ci sono circa 70 posti liberi da coprire, ma nessuna graduatoria
regionale da cui attingere. Ci sono invece tanti dirigenti in lista di altre
regioni d´Italia, non perché altrove siano più disponibili e bravi che da noi,
ma perché noi siamo stati ligi alla normativa mentre altri - continua - hanno
creato liste di disponibilità pari, talvolta, anche al doppio dei posti da
occupare». E la probabilità che le 70 poltrone libere del Veneto vengano
occupate da meridionali è altissima. Eventualità che non va proprio giù ai
vicentini. «Il Consiglio provinciale ha voluto denunciare il mancato rispetto
della norma da parte di alcune regioni ed evidenziare la conseguente situazione
di svantaggio in cui si trova la regione Veneto rispetto ad altre realtà
nazionali. Tanti insegnanti in servizio nel Veneto aspirano da anni a diventare
dirigenti attraverso un concorso».
SCUOLA/ Aprea: se c’è qualcuno da "riformare" sono i docenti
INT. Valentina Aprea venerdì 24
luglio 2009
L’editoriale apparso su La Stampa di
ieri, a firma Luca Ricolfi, non lascia scampo: la scuola ha smesso di
insegnare, come recita il titolo del pezzo. Il dettagliato panorama di lacune,
incapacità e ignoranze punta il dito soprattutto sulla generazione
sessantottina e sull’idea dell’istruzione ugualmente impartita alle “masse”. «I
giovani», dice Ricolfi «possono essere rimproverati soltanto di essersi così
facilmente lasciati ingannare (e adulare!) da una generazione di adulti che ha
finto di aiutarli, di comprenderli, di amarli, ma in realtà ha preparato per
loro una condizione di dipendenza e, spesso, di infelicità e disorientamento».
Ed oggi vediamo nelle generazioni di studenti le catastrofiche conseguenze di
tale atteggiamento ideologico, effetti che li rendono incapaci «non solo di
esprimersi correttamente per iscritto, ma anche di fare un discorso articolato,
comprensibile che accresca le conoscenze di chi lo ascolta». Un’analisi dunque
amara con la quale concorda in molti punti l’on. Valentina Aprea che abbiamo
intervistato in proposito
Onorevole Aprea, quello dipinto da Luca Ricolfi le sembra un quadro
realistico o un po’ troppo esagerato?
Direi che il quadro dipinto da
Ricolfi è sufficientemente realistico soprattutto perché egli riconosce che per
troppo tempo abbiamo giocato il contrasto fra le visioni politiche sulla scuola
a livello ideologico piuttosto che a livello sostanziale.
Questa scelta di campo ci ha di
fatto allontanati dalle migliori esperienze europee e internazionali dove,
proprio sulla scuola, gli schieramenti hanno trovato delle sintesi sulle
soluzioni dei problemi più diffusi, come la dispersione scolastica per fare un
esempio. Penso in particolar modo agli indirizzi unitari e forti che sono
arrivati dagli anni ’80 in avanti da parte dei parlamenti del nord Europa,
tedesco, olandese piuttosto che, ultimamente, anche dalla Gran Bretagna. Ma
oltreoceano si può citare la politica virtuosa degli Stati Uniti che stanno
attuando il famoso programma “nessuno rimanga indietro”.
Perché in Italia siamo rimasti così indietro rispetto agli altri paesi
europei?
Noi non abbiamo saputo fare una
politica scolastica che prescindesse dagli schieramenti proprio per la frattura
ideologica esistente fra questi. La sinistra si è sempre ispirata alla cultura
egualitaria del ’68, all’uguaglianza delle opportunità educative che di fatto
si è rivelata falsa e perfino controproducente, come ammette lo stesso Ricolfi.
Il punto è ciò che vado dicendo da
quando siamo nati come progetto politico e cioè che il nostro sistema
educativo, diventato di massa, deve attrezzarsi sul piano della qualità, della
differenziazione soprattutto della personalizzazione.
Intanto però stiamo prendendo atto
di una fase che, ci auguriamo, sembra si stia concludendo per sempre: restano i
problemi e le proposte.
Quali sono?
I problemi riguardano i livelli
assolutamente inadeguati di conoscenza, di competenza e di preparazione dei
giovani per affrontare le sfide di questi tempi a fronte dei 13 anni di
scolarizzazione che il nostro sistema scolastico prevede (uno in più rispetto
agli standard europei). Le proposte sono quelle di tornare a curare meglio le
modalità tradizionali di insegnamento che a lungo sono state ingiustamente
banalizzate. Rendiamoci conto che usciamo da anni in cui non sono stati più
corretti i temi di italiano con l’idea assurda di rispettare la creatività dei
bambini, posto che sbagliare sia ritenuto “creativo”, o in cui la matematica è
stata spiegata soltanto sulla base logica a scapito dell’aritmetica e della
geometria. Ma anche materie più “aperte” come la geografia, che veniva ridotta
allo studio del territorio locale, e che dimenticava di insegnare i codici di
lettura geografici.
A quanto pare stiamo un po’ recuperando sotto questo aspetto, crede che
l’elevato numero di bocciature sia un segnale positivo in questo senso? Su
quali fattori istituzionali occorrerebbe incidere?
In effetti queste modalità sono per
fortuna state in parte abbandonate. E credo che ciò stia avvenendo sia grazie
all’INVALSI, ai test oggettivi di rilevazione degli apprendimenti, sia
soprattutto perché dalla riforma Moratti in avanti i programmi di studio hanno
rimesso al centro l’importanza di questi aspetti dell’apprendimento e ci
auguriamo che questo filone possa trovare piena compiutezza con la formazione
iniziale dei docenti, fatta molto più sulle discipline che non a livello
psicologico pedagogico.
Questo però non è l’unico filone sul
quale incidere. Infatti io aggiungerei la necessità di liberare le scuole da
procedure standardizzate e invocherei invece più autonomia, più responsabilità
per gli istituti. Una struttura scolastica può anche elaborare i percorsi più
differenti diversi e le strategie più diverse con l’impegno però di garantire,
alla fine dei conti, livelli più apprezzabili di apprendimento e di competenze.
Non possiamo cavarcela solamente bocciando. La bocciatura è sì un segnale
sicuramente positivo, se va ad indicare quali sono le lacune, ma non può essere
l’unico strumento per dare qualità alla scuola, perché dietro la bocciatura c’è
la persona e noi puntiamo su di essa. Dobbiamo dunque differenziare i percorsi,
personalizzarli, fare in modo che la scuola si senta responsabile del processo
formativo di un individuo, ma disponga anche degli strumenti per farlo.
Nel suo editoriale Luca Ricolfi stigmatizza principalmente l’ideologia
educativa del ’68. Crede che nell’attuale opposizione persistano posizioni
analoghe a quelle espresse all’epoca?
A dir la verità Fioroni aveva
introdotto alcuni apprezzabili aspetti legati a una maggiore severità o rigore,
questo non va ignorato. Però mi sembra che il Partito Democratico sia ancora
molto arroccato sulla difesa dell’idea di una cultura egualitaria. Anche facendo
riferimento alla legge sulla nuova governante della scuola che ho proposto in
commissione, quella sulla valutazione dei docenti e delle carriere, il PD ha
fatto un passo indietro. Sembra che siano ancora fermi al fatto che non sia
giusto premiare chi intende fare di più.
Parlare di sistemi “personalizzati” è spesso un criterio tacciato di
elitarismo o classismo. Non si tratta piuttosto di una questione fisiologica?
Ovvero: su un grande numero di persone occorrerà tener presente che una certa
percentuale sarà più incline a un tipo di studio rispetto a un’altra. O no?
È ovvio. Il problema è che noi
dobbiamo dare un’istruzione a tutti, ma non a tutti la stessa istruzione.
L’equivoco è sempre stato su questi termini, si pretendeva che tutti dovessero
fare lo stesso percorso, che tutti dovessero frequentare i licei e avere
un’istruzione formale. È una pretesa folle, come se si dicesse: «noi abbiamo
bisogno solamente di una classe dirigente». Ci si dimentica che invece ci sono
altri mestieri, altre intelligenze che seguono differenti percorsi. Per esempio
in Italia abbiamo abbandonato del tutto la cura della formazione artigianale,
un settore di eccellenza nel nostro Paese. Così come il campo manifatturiero o
della moda: si tratta di settori in cui dovremmo eccellere, eppure formiamo in
maniera molto residuale gli individui che dovrebbero sostenere questi segmenti.
Per questo da sempre invoco più sussidiarietà orizzontale nell’istruzione, reti
di scuole e modelli alternativi. Perché noi italiani di fatto abbiamo esteso a
tutti il modello gentiliano, che era stato costituito per le élite, creando
così un enorme “diplomificio”.
È sbagliato aggiungere che molta arretratezza nell’istruzione deriva
anche dall’incessante progresso tecnologico della società odierna con il quale
è spesso difficile tenere il passo?
Non c’è dubbio che le nuove
tecnologie e le nuove forme di comunicazione abbiano messo in crisi il vecchio
modo di pensare, esprimersi e comunicare. Noi non abbiamo ancora imparato a
dare legittimità a questi nuovi modi di comunicare e navighiamo fra livelli
molto bassi per quel che riguarda un approccio educativo in relazione a tali
novità. In sintesi direi però di cominciare a formare diversamente i
professori, i nostri insegnanti. Occorre che l’istruzione pubblica torni a
contare su adulti che possano essere davvero dei maestri, anche di attualità e
non soltanto di saperi cristallizzati.
24 luglio 2009
da LASTAMPA.it
IL SAPERE INUTILE. SISTEMA SOTTO ACCUSA
L'ex ministro Berlinguer
"Non tutto è da
buttare, ma ora ricominciamo dai laboratori"
RAFFAELLO MASCI
ROMA
Luigi Berlinguer,
parlamentare europeo del Pd, ex ministro dell’Istruzione, ed ex professore. Che
ne pensa dell’analisi del professor Ricolfi?
«La trovo piuttosto cupa. Anche se il suo è un testo di
grande interesse».
Non le piace questa
idea di una scuola che recuperi un suo rigore?
«Io credo che il vero rigore sia dato da un codice
condiviso».
Che invece non c’è?
«A me pare che la scuola non sia più in grado di sollecitare
l’interesse dei ragazzi».
E come si recupera
questo rapporto?
«Intanto col porre l’accento sull’apprendere invece che
sull’insegnare. Dobbiamo, cioè, puntare a che l’allievo si interessi, studi e
impari in profondità, non solo teoricamente».
Si fa presto a dirlo.
La via quale sarebbe?
«Iniziare dall’esperienza. Non dalla lezione, non dalla
teoria. Ma semmai dal laboratorio, dal fare. Utilizzando in questo quanto di
positivo può venire dalle nuove tecnologie. Mentre qui siamo rimasti alla
scuola dell’Ottocento con la cattedra e i banchi, la lezione frontale, il
docente e il discente. Allora si andava sul calesse e si comunicava gridando da
una collina all’altra. Ora ci sono i jet e si comunica via Skype. Immutati sono
rimasti solo la cattedra e i banchi».
E’ sicuro che
l’esperienza generi interesse?
«Certamente ed è anche dimostrato dal vissuto della scuola
elementare italiana, dove si svolgono molte attività creative. Poi dopo, alle
superiori, tutto questo scompare, perché ci portiamo ancora appresso l’impostazione
idealista per cui si deve iniziare dalla teoria e non dall’osservazione della
realtà».
Occorre rivedere la
gerarchia dei saperi?
«Assolutamente sì. Ma quando si parla della scuola si parla
di tutto - l’aggiornamento, l’organizzazione, la valutazione, i nuovi esami e
quant’altro - ma mai di questo».
Faccia un esempio.
«Non possiamo fare finta che non esistano nuove fonti di
informazione e di formazione. Le tecnologie sono entrate nella vita dei
ragazzi, introducendo anche nuovi metodi e nuovi approcci al sapere».
Più pratica, quindi,
più laboratori?
«La conoscenza deve cominciare dal contatto con la realtà e
non con la lezione teorica. E’ importante saper parlare prima di sapere cosa
sia il dittongo. Questo può stimolare nei ragazzi un desiderio di conoscere,
che poi approderà anche ad un inquadramento teorico, beninteso, ma come punto
di arrivo e non come inizio».
Siamo sicuri che
funziona, professore?
«Abbiamo di fronte l’esperienza della scuola finlandese, che
l’Ocse considera la migliore scuola del mondo: questo tipo di metodo funziona».
Una proposta finale,
prego.
«Due. Centralità della conoscenza sperimentale. E che si
introduca la pratica della musica in tutte le scuole».
25 luglio 2009
da Il Corriere della Sera
Università all'esame della ricerca
Passo importante e
qualche limite
Francesco Giavazzi
Quattro anni fa, per iniziativa del ministro Moratti, fu
svolta una valutazione della ricerca prodotta nelle nostre università seguendo
criteri normali in altri Paesi, ad esempio la Gran Bretagna. La valutazione
avvenne sia consultando indicatori oggettivi, sia chiedendo il parere di
esperti, spesso di università non italiane.
Per quattro anni chi a quell’esercizio si dedicò con
passione fu deluso e deriso. Deluso perché la promessa di usare quei risultati
per allocare i fondi pubblici tenendo conto del merito scientifico fu presto
dimenticata. Deriso dai molti colleghi che in questi anni non hanno perso
occasione per sottolineare l’ingenuità di chi ancora crede alla possibilità di
migliorare la nostra università.
La decisione del ministro Gelmini di usare quei risultati
per allocare una quota, seppur piccola, del fondo ordinario di finanziamento
delle università è un passo importante. Non solo perché per la prima volta in
Italia si introduce un criterio di merito nell’allocazione alle università
delle risorse pubbliche, ma soprattutto perché, se quell’esercizio fosse
rimasto lettera morta, nessuna valutazione, per quanto ottima, avrebbe più
avuto alcuna credibilità.
Certo, vi sono moltissimi limiti. La quota dei fondi
pubblici allocati sulla base dei risultati della ricerca è minuscola, solo il
5% (un altro 2% è assegnato in base a valutazioni sulla didattica). In quel 5%
il giudizio di quattro anni fa conta solo per una metà: il resto dipende in
parte dalla capacità dei dipartimenti di attrarre finanziamenti europei (e
questo è bene), in parte dalla partecipazione a progetti di ricerca nazionali,
che invece sono notoriamente assegnati secondo criteri diversi dalla qualità
scientifica.
Il limite più grave è che i fondi saranno allocati sulla
base della valutazione media dei dipartimenti di un’università, anziché
destinarli direttamente a chi ha più meritato. Ad esempio, il dipartimento di
matematica di Tor Vergata è stato giudicato uno dei migliori in Italia: questo
consente a quell’università di ottenere un po’ di fondi in più. Come li
distribuirà il rettore? Anche ai giuristi, che a Tor Vergata hanno ottenuto una
valutazione non particolarmente brillante?
Importanti sono anche la nascita dell’Agenzia per la
valutazione dell’università con organi scelti attraverso un meccanismo che
limita la discrezionalità del ministro, la ripresa delle valutazioni della
ricerca migliorandone i criteri, il limite alla proliferazione degli insegnamenti,
la riduzione di settori disciplinari, in passato costruiti in modo da dare ad
ogni gruppetto di baroni un proprio feudo.
Non si cambia l’università in un giorno, ma questo è un
secondo segnale forte (il primo fu il decreto sui concorsi di novembre) del
quale il ministro Gelmini porta tutto il merito. Il passo successivo sarà
cambiare la governance degli atenei limitando il potere dei rettori, oggi
sottratti a qualunque controllo e schiavi dei loro grandi elettori.
E tuttavia, nessuna riforma salverà le nostre università se
queste rimarranno senza risorse. Con i tagli confermati nel Dpef molte
università a novembre chiuderanno. La scelta è del ministro dell’Economia: o
rinuncia ai suoi tagli, o ha il coraggio di proporre un innalzamento delle rette
pagate dalle famiglie. Oggi può ancora scegliere; a novembre, quando gli atenei
bruceranno, potrà solo pagare per spegnere l’incendio.
Da Tuttoscuola FOCUS
1. Università/1. Il colpo di gong di Mariastella
Con il pacchetto sull'università per
la prima volta la filosofia meritocratica alla quale Mariastella Gelmini aveva
dichiarato, fin dall'inizio della sua esperienza di governo, di volersi
ispirare, ha trovato un riscontro fattuale. E lo ha trovato su un terreno
tradizionalmente difficile, vischioso, condizionato da potenti lobbies
trasversali (anche politicamente) come è quello della politica universitaria.
Non è quindi un caso che la giornata
di venerdì 24 luglio sia stata per il ministro Gelmini la punta massima di
presenza in TV e sulle prime pagine e negli editoriali di quasi tutti i
quotidiani raggiunta da quando guida il ministero di viale Trastevere.
Certo, la quota del fondo ordinario
di finanziamento (FFO) distribuita sulla base degli indicatori di qualità
utilizzati (7% in tutto: 5 per la ricerca, 2 per la didattica) è modesta, ma è
simbolicamente importantissima, perché spezza per la prima volta il tabù
dell'invarianza del finanziamento rispetto ai comportamenti delle singole sedi:
virtuosi o spreconi, innovativi o conservatori, aperti alla ricerca nazionale e
internazionale o chiusi nel proprio recinto. E apre una strada che a questo
punto non può più consentire blocchi o marce indietro.
Spingere le università e i loro
docenti a fare meglio, a competere in modo trasparente, pubblicamente rendicontato,
ci sembra, in linea di principio, una guide-line meritevole di un
ampio sostegno.
Applicabile in parte, perché no,
anche al settore dell'istruzione, per il quale nel 2007 con il "Rapporto
sulla qualità della scuola" di Tuttoscuola era stata già stilata
una graduatoria per provincia.
2. Università/2. Premiare i forti e punire i deboli?
La filosofia cui si è ispirata la
distribuzione su base meritocratica del 7% del Fondo di finanziamento ordinario
per le università statali italiane è una filosofia di tipo - in senso lato -
mercatistico, volta ad incentivare la concorrenza tra le sedi.
Nell'ambito delle politiche
pubbliche le strategie di intervento, in presenza di squilibri nell'offerta di
servizi, possono essere di due tipi: individuare e premiare chi fa meglio,
puntando su effetti imitativi nella ricerca del miglioramento, oppure
individuare e sostenere chi fa peggio, per aiutarlo a migliorare.
La prima di queste strategie, che in
qualche modo sembra essere quella scelta dal ministro Gelmini, è probabilmente
la più efficace in termini di risultato complessivo, perché introduce elementi
di forte pressione verso il cambiamento (in meglio) tenendo presenti i modelli
internazionali di classificazione della qualità, ma ha il limite - grave agli
occhi di una certa visione tradizionalista e ugualitaria dell'intervento
pubblico - di far crescere, o comunque evidenziare e legittimare le
disuguaglianze.
Sullo sfondo di questa visione
neomercatistica (o neomalthusiana, a seconda dei punti di vista) della politica
universitaria, sta la chiusura dei corsi e degli atenei che non
"reggono" la concorrenza, e che stanno al di sotto di una soglia
minima di qualità. La domanda, tenendo conto dell'interesse degli studenti, che
dovrebbe essere prioritario, si può così riassumere: perché no?
3. Università/3. La via maestra è l'autonomia
Tra tutte le voci ascoltate in
occasione del convegno indetto dal gruppo senatoriale del PDL a Roma lo scorso
14 luglio, la più rivoluzionaria è sembrata quella di Nicola Rossi, non a caso
rimbeccato dai molti baroni presenti in sala, come abbiamo riferito la scorsa
settimana: l'attuale università italiana, secondo Rossi, non è costruita per
premiare la concorrenza, il merito, la specializzazione semplicemente perché la
sua autonomia è finta. Non c'è vera assunzione di responsabilità, con i
connessi rischi (anche di fallire e di chiudere), da parte delle università.
Se si accetta questo punto di vista
anche le misure, pur in sé positive ma limitate, come quelle assunte dal
ministro Gelmini, non sembrano in grado di scalfire lo zoccolo duro
dell'università italiana, che è fatto di uniformità dei titoli rilasciati,
prevalenza del metodo cooptativo/clientelare nel reclutamento, copertura
pubblica di gran parte dei costi, interferenze politico-amministrative nella
scelta delle sedi e così via.
La via maestra per uscire da questo
sistema ingessato ci sembra quella di introdurre in esso veri elementi di
autonomia, a partire da quella economica, magari attraverso l'aumento delle
rette, come proposto da Francesco Giavazzi ancora sabato scorso nell'editoriale
del Corriere della Sera; il superamento delle attuale forme di
retribuzione dei docenti e dei ricercatori, che prescindono dal loro valore;
una più ampia e più facile mobilità dei docenti, anche su base contrattuale, e
altre misure che esaltino la capacità imprenditiva delle singole sedi.
Si può capire che misure di questo
genere, applicate tutte insieme e a tutto il sistema, comporterebbero forte
discontinuità con gli assetti esistenti, e quindi grandissime, forse
insuperabili resistenze. Ma perché, allora, non provare a sperimentarne
qualcuna in qualche situazione più favorevole e matura? L'importante è muoversi
in questa direzione, e non lasciare che la sortita meritocratica della Gelmini sul
7% del FFO resti un isolato grido nel deserto.
4. Vicenza e dintorni/1. Nord contro Sud?
"Considero ragionevole,
anzi giusta, la decisione presa dal consiglio provinciale vicentino in merito
alla copertura dei posti disponibili di dirigente scolastico".
A dirlo non è un esponente della Lega Nord o del Pdl, ma Massimo Calearo,
deputato veneto del Pd, secondo il quale "lo capirebbe, se avesse
letto il testo della delibera, anche chi si è lanciato in commenti a caldo,
cavalcando posizioni ideologiche tanto facili quanto pericolose".
Secondo il parlamentare del Pd, che
ha rilasciato la sua dichiarazione dopo le dure critiche rivolte dal
responsabile Educazione del Pd Giuseppe Fioroni al Pd veneto e ai consiglieri
provinciali del Pd che avevano votato a favore della delibera, "razzismo
e campanilismo qui non hanno nulla a che vedere con una delibera che
garantisce ai dirigenti scolastici veneti di poter competere ad armi pari con
quelli del resto del Paese".
Ulteriori giustificazioni vengono da
Pietro Collareda, capogruppo Pd alla Provincia di Vicenza, a cui giudizio
"per la decisione di voto è stato determinante l'obiettivo di
assicurare legalità e pari opportunità a tutti i presidi d'Italia. Se
l'iniziativa è partita dalla Lega, noi abbiamo emendato in più punti il testo
originario affinché fosse chiaro che è la politica del governo la vera
responsabile delle disparità".
In che cosa consista la
"disparità" che ha colpito gli aspiranti presidi del Veneto lo spiega
Morena Martini del Pdl, assessore all'istruzione: "mentre le regioni
del Nord hanno rispettato il tetto massimo consentito dal ministero per il
numero di idonei alle cariche di dirigente scolastico altre, soprattutto al
Sud, hanno un numero di abilitati maggiore e, avendo saturato le dirigenze nei
loro territori, naturalmente verranno al Nord". Ciò che viene
richiesto nella delibera è di fare in modo che il maggior rigore nella
selezione dei dirigenti scolastici applicato al Nord non si ritorca contro gli
aspiranti presidi di queste Regioni, a favore di altri, proveniente da Regioni
in cui le maglie delle procedure concorsuali sono state più larghe. Un
principio sul quale si è registrata un'ampia convergenza, almeno a Vicenza e
nel Veneto.
5. Vicenza e dintorni/2. L'alternativa è che la scuola
scelga il preside
A impressionare e preoccupare non è
però solo la delibera del Consiglio provinciale di Vicenza (26 voti a favore su
27), ma anche il coro di accuse di pregiudizi antimeridionali, e addirittura di
"razzismo" (Aurelio Misiti, deputato Idv), levatosi contro di essa in
molte Regioni del Sud e da parte di esponenti politici.
Si ha l'impressione che i toni del
confronto e delle polemiche siano andati nettamente sopra le righe, e che
purtroppo - comunque si concluda - questa vicenda non mancherà di lasciare
strascichi pesanti, quanto meno a livello locale.
Ma forse questa infelice vicenda può
essere l'occasione per tornare, in tempi di federalismo scolastico e di difesa
pressoché unanime dell'autonomia delle scuole, a porsi una domanda di fondo: è
giusto, è efficiente, rispetta davvero l'autonomia delle istituzioni
scolastiche il fatto che siano gli aspiranti neo-dirigenti scolastici a
scegliere le scuole, anziché il contrario?
Avendo puntato ormai da quasi
vent'anni sull'autonomia delle scuole (e non, per esempio, sul loro carattere
di terminali di un apparato centralizzato, governato dal Ministero con logiche top-down),
sarebbe un atto di coerenza che il nostro Paese consentisse alle scuole di
scegliersi un dirigente gradito.
Fermo restando che la formazione
iniziale e l'abilitazione restino competenze delle università e del Ministero
(e che comunque le procedure siano esattamente le stesse dovunque in Italia),
la scuola X di Vicenza, o quella di Messina, dovrebbero avere il diritto di
mettere a bando il posto, e di scegliere il dirigente tra quelli abilitati.
Certo non sarebbe facile introdurre un sistema di questo tipo (chi sceglie, chi
valuta, chi paga, a chi rende conto?), ma il confronto con altri paesi, vedi il
Regno Unito, indica che la strada sarebbe percorribile, se lo si volesse
veramente. E dove sta scritto che la scuola di Vicenza, esaminate le domande e
valutati i candidati dirigenti, non ne scelga uno campano o calabrese, se è
quello che considera più bravo e più adatto?
6. Dirigenza scolastica: è mancata una politica del merito
Il mondo della scuola, purtroppo, è
uno dei settori in cui sono diffusi il clientelismo e il
"padrinaggio". I ripetuti interventi del Parlamento nel corso delle
due ultime legislature, con l'assenso dei vari Governi, in materia di
reclutamento ope legis, sono lo specchio di tutto ciò con riferimento,
in particolare (ma non solo), ai concorsi per l'accesso alla carriera
dirigenziale.
L'ultimo decennio registra una
pluralità di sanatorie che hanno investito tutti i concorsi a dirigenti
scolastici. Il Parlamento ed il Governo hanno soggiaciuto alle pressioni di
parte consentendo con interventi legislativi a sanatoria la nomina anche di
personale che non era in possesso dei requisiti di partecipazione al momento
della scadenza del termine di presentazione della domanda, ma anche di
usufruire della riserva del posto che è riconosciuta alle categorie protette
(invalido, orfano, figlio di caduto per il lavoro, etc) all'atto del
conseguimento di uno status di ruolo.
La patologia concorsuale (che non è
certamente esclusiva del mondo della scuola) deriva poi dal fatto che candidati
esclusi legittimamente per evidente mancanza di requisiti, dopo la
legittima esclusione dal concorso, ottengono dal giudice amministrativo
l'ammissione con riserva, perché il fumus della fondatezza
dell'impugnativa ormai non lo si nega più a nessuno, sapendo già fin
dall'inizio come andranno a finire le cose.
Nell'ultimo decennio del resto non
sono state realizzate politiche del personale di valorizzazione del merito e di
sostegno allo sviluppo professionale, eppure i fatti dimostrano che la cultura
del rigore e del merito sono pratiche fortemente richieste e perciò non
impopolari.
7. Se il maestro unico... sono due
Adesso è quasi ufficiale: il modello
del maestro unico non è prescrittivo e le scuole possono organizzarsi con ampi
margini di autonomia.
Dopo che la precisazione era stata
riportata all'interno della delibera della Corte dei Conti con la quale era
stata dato l'ok alla registrazione del regolamento sul riordino del primo ciclo
(DPR 89/2009), ora anche l'atto di indirizzo (in bozza) che dovrà accompagnare
l'applicazione del regolamento parla esplicitamente di modello non prescrittivo
e di flessibilità organizzativa da parte delle istituzioni scolastiche
autonome.
Molte scuole non hanno aspettato
quel benestare ministeriale e già in vista del nuovo anno scolastico hanno
individuato il modello più comodo: un fitfy-fitfy che prevede l'impiego del
docente unico per metà tempo su una classe e per l'altra metà su un'altra, con
il reciproco speculare del collega dell'altra classe. Due maestri unici con un
orario equamente suddiviso su due classi.
Le ore mancanti per arrivare a 27 o
30 ore settimanali vengono assegnate, per completamento, ad un terzo (o quarto
docente) che dovrà comunque lavorare anche su altre classi.
È una soluzione che assomiglia a
quella modulare (11 ore per docente in ciascuna delle due classi) che invece il
regolamento ha inteso superare, con la sola differenza che il terzo maestro di
complemento è fuori modulo.
Se questo modello del maestro unico
doppio sarà assunto in modo generalizzato, non si potrà dire che l'autonomia
delle scuole non abbia funzionato secondo le aperture ministeriali. Ma una
domanda sorgerà spontanea: sarà salva, comunque, l'idea educativa del maestro
unico di riferimento che ha accompagnato tra mille polemiche il lancio della
riforma Gelmini?
8. Il doppio maestro unico ridimensiona la valenza educativa
della riforma?
Se, in nome dell'autonomia delle
scuole, il maestro unico sarà doppio in due classi parallele, che ne sarà delle
idee di valenza pedagogica che ne hanno accompagnato il lancio mesi fa?
Si è parlato allora di maestro
"unico" prevalente, ma se, secondo le determinazioni autonome, avrà
un orario uguale a quello del maestro unico dell'altra classe (11+11 ore di qua
e 11+11 di là), non potrà essere un docente prevalente, sarà soltanto
paritetico.
Si era parlato di lui come punto di
riferimento per gli alunni della classe e delle famiglie, con funzione e
responsabilità educative primarie. Ma, se i docenti saranno due con pari orario
e pari peso di docenza, chi dovrebbe essere punto di riferimento per le
famiglie e tutor per gli alunni?
Si era parlato di funzione di
coordinamento della mini-squadra dei docenti della classe, ma come si farebbe
ad essere coordinatore in un ruolo alla pari? Lo si assegna al docente
dell'ambito linguistico come si fa con il docente di lettere nelle scuole medie
(che però ha più ore degli altri)?
Non sappiamo se il ministero, nel
definire compiutamente l'atto di indirizzo attualmente all'esame del Cnpi,
vorrà chiarire la questione. Se vorrà affermare, cioè, tra i requisiti del
maestro unico, autonomamente definito, i principi inderogabili del tutor
(docente prevalente, coordinatore, referente educativo), limitando quindi le
soluzioni organizzative alla pari del doppio maestro unico.
In caso diverso, avrebbero buon
gioco i critici a classificare quella del maestro unico come soltanto una
pseudo-riforma fatta per mascherare l'operazione di taglio di organico.
da TUTTOSCUOLA
Previsto l'ok per le sezioni primavera mercoledì
La Conferenza Unificata, che
mercoledì prossimo è chiamata ad esprimere il proprio parere sui tre schemi di
regolamento relativi al riordino dei licei, degli istituti tecnici e degli
istituti professionali, dovrebbe approvare anche l'atteso Accordo per la
prosecuzione delle sezioni primavera per il prossimo triennio.
Sulle sezioni primavera è molta
l'attesa sul territorio da parte delle famiglie e delle Amministrazioni locali,
in quanto il servizio dovrebbe iniziare già a settembre.
Già all'ordine del giorno del 6
luglio scorso era stata prevista l'approvazione dell'accordo, ma la riunione
era stata sconvocata a causa dei mancati chiarimenti nei rapporti tra Regioni e
Governo.
Quattro argomenti all'ordine del
giorno, relativi alla scuola, e molti altri, relativi a sanità, territorio,
trasporti, ecc., fanno ritenere, in qualche modo, superata la situazione di
stallo nei rapporti istituzionali.
Tuttavia, ci sono ancora due
argomenti, forse meno urgenti, dei regolamenti sulla riforma delle superiori e
delle sezioni primavera, che dovranno essere quanto prima affrontati, visto che
la scadenza prevista dalla legge (15 giugno 2009) è già stata abbondantemente
superata.
Si tratta del dimensionamento delle
istituzioni scolastiche e della razionalizzazione dei punti di erogazione del
servizio (piccole scuole in particolare).
28 luglio 2009
da ItaliaOggi
Il governo mette in salvo la riforma
Sanati i ritardi degli atti
propedeutici e attuativi
Salvi tutti gli atti propedeutici e
successivi della riforma della scuola. È stato approvato alla camera, e nei
prossimi giorni sarà licenziato anche dal senato, un emendamento al decreto
legge 78/09, la manovra Tremonti, che sana le presunte irregolarità del Piano
programmatico e dei regolamenti attuativi della legge 133/2008. Alcune delle
quali sono state impugnate e sono pendenti davanti al giudice. Ma a questo
punto, quando sarà approvato definitivamente il provvedimento, ogni
irregolarità sarà sanata e a settembre la nuova scuola targata Gelmini
decollerà senza colpi di scena. «L'articolo 64, comma 3, del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,
n. 133», recita il testo in questione, «si interpreta nel senso che il Piano
programmatico si intende perfezionato con l'acquisizione dei pareri previsti
dalla medesima disposizione e all'eventuale recepimento dei relativi contenuti
si provvede con i regolamenti attuativi dello stesso. Il termine di cui
all'articolo 64, comma 4, del medesimo decreto-legge n. 112 del 2008 si intende
comunque rispettato con l'approvazione preliminare da parte del Consiglio dei
ministri degli schemi di regolamenti di cui al medesimo articolo». Il ministro
dell'istruzione, Mariastella Gelmini, avrebbe dovuto d'intesa con il ministro
dell'economia, Giulio Tremonti, predisporre il Piano programmatico, che
definisce la tempistica e la ripartizione dei 130 mila tagli nella scuola in
tre anni, dopo aver sentito la conferenza unificata e acquisito i pareri delle
competenti commissioni parlamentari. E solo successivamente si sarebbe passati
ad adottare i regolamenti attuativi del piano stesso. Il piano programmatico è
stato predisposto nel mese di settembre e ha iniziato il suo percorso per i
pareri. Ma è sempre rimasto in forma di bozza, senza mai essere definitivamente
adottato, con le eventuali integrazioni richieste dagli organi consultivi, e
nel frattempo però sono stati approvati i vari regolamenti attuativi. Tanto che
il Tar Lazio, davanti a cui è stata impugnata la circolare n. 38 del 2 aprile
2009 che trasmette le nuove piante organiche recettive dei tagli,
nell'ordinanza rileva che «manca il Piano programmatico di interventi, allo
stato ancora al livello di bozza di decreto interministeriale previsto
dall'art. 64, comma 3 della menzionata legge n. 133 del 2008». Sulla vicenda il
Tar si sarebbe dovuto esprimere poi nel merito.Ma ora, attraverso l'emendamento
interpretativo del governo, si precisa che a perfezionare il piano bastava
l'acquisizione dei pareri e che a recepire le eventuali modifiche bastavano i
successi regolamenti.Insomma, va ben così come è andata. E non ci sarà più
nulla da rivendicare per intaccare l'impalcatura della riforma. Niente di
fatto, invece, neppure in sede di maxiemendamento governativo, per il progetto
dei contratti di disponibilità che la Gelmini avrebbe voluto, d'intesa con il
ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, introdurre da settembre a garanzia dei
docenti precari che, causa i tagli agli organici, perderanno i contratti di
supplenza. Ma in questo caso ha pesato in modo decisivo la contrarietà di
Tremonti.
da LASTAMPA.it
IL TAR DEL LAZIO RIBALTA LA
CIRCOLARE DEL MINISTERO
Libri di testo, si cambia "Il prof li può sostituire"
I giudici: bisogna difendere
l'autonomia degli insegnanti
R. CRI.
ROMA
Una novità assoluta per la scuola
italiana che non farà certo piacere alle famiglie italiane con ragazzi iscritti
ad un corso scolastico: al contrario di quanto stabilito dal Miur, che alcuni
mesi fa ha decretato il blocco per cinque o sei anni delle liste dei libri di
testo, da settembre ogni nuovo docente assegnato ad una classe avrà la facoltà
- «seppure motivatamente e per provate esigenze» - di cambiare il libro di
testo adottato dal collega al termine dell’anno scolastico precedente.
La nuova interpretazione è del Tar
del Lazio, che ha così definitivamente confermato il parere già espresso nel
maggio scorso, attraverso una sospensiva, e dichiarato illegittima una parte
della circolare ministeriale sull’adozione dei libri di testo.
L’intervento del Tar è stato reso
necessario dal ricorso presentato di un gruppo di insegnanti che contestavano
la circolare nel punto in cui stabiliva, con l’anno scolastico 2009/2010, che
«l’assegnazione di altro docente nella classe, a decorrere dal 1 settembre
2009, non consente in alcun modo una diversa scelta di libri di testo già
effettuata».
Il Tar Lazio ha però ora giudicato
illegittima la decisione di impedire «che un docente trasferito o sopraggiunto
per cessazione di altro docente possa scegliere il libro di testo, dovendo
piuttosto adeguarsi per i successivi cinque anni alle scelte effettuate dal
predecessore o che altre gravi esigenze, opportunamente motivate, possano dar
luogo al cambio del libro di testo durante il quinquennio». La decisione del
Tar ha voluto in qualche modo mantenere attiva l’autonomia dei docenti nello
sviluppare i programmi didattici sulla base di situazioni contingenti.
29 luglio 2009
da Repubblica.it
Riforma, il ddl Aprea in sintesi
- Trasformazione delle istituzioni
scolastiche in fondazioni (art. 2): le istituzioni scolastiche possono
costituirsi in fondazioni, con la possibilità di avere partner pubblici o
privati.
- Nuovi organi collegiali della
scuola: oltre al collegio dei docenti e al dirigente scolastico (già esistenti)
vengono introdotti nuovi organismi (art. 3): il Consiglio di amministrazione e
un Nucleo di valutazione dell'efficienza, dell'efficacia e della qualità del servizio
scolastico.
- Istituzione dell'Albo regionale
dei docenti (art. 14): possono iscriversi i docenti già abilitati e quelli che
conseguono il titolo con i nuovi corsi universitari.
- Concorso d'istituto (art.16): i
concorsi vengono banditi con cadenza triennale dalle istituzioni scolastiche.
- Articolazione della professione
docente (art. 17): docente iniziale, docente ordinario e docente esperto.
- Istituzione della figura del
vicedirigente (art. 18).
da Corriere della Sera
«rispetto delle radici culturali»
Test per i prof, l'emendamento della
Lega
Un Comitato regionale dovrà valutare
anche l'influenza del «sistema valoriale» dei docenti sugli alunni
Per iscriversi all'Albo regionale,
il docente dovrà superare «test omogenei di valutazione con alcune domande
chiave per verificare la conoscenza e la consapevolezza dei valori, degli
scopi, degli obiettivi e dei requisiti generali dell'insegnamento». Così
comincia l'emendamento che la Lega punta ad inserire nella riforma della scuola
il cui esame è stato sospeso martedì in commissione Cultura della Camera. Si
tratta di un emendamento che ripropone l'articolo 11 della proposta di legge
sul "Reclutamento regionale del personale docente" presentata
dall'intero gruppo della Lega alla Camera e che come primo firmatario il
presidente Roberto Cota (la proposta di legge n.1710). In particolare, il
"Comitato di valutazione regionale", così lo chiama la Lega, dovrà
valutare, «le aspettative e gli obiettivi che gli insegnanti si pongono al fine
di garantire il raggiungimento degli standard previsti e il possesso delle
qualità personali e intellettuali adatte per diventare insegnanti». Poi dovrà
accertare «la conoscenza delle proprie responsabilità future all'interno del
sistema d'istruzione e sui metodi da attuare riguardo i bisogni educativi
speciali meno diffusi relativi agli alunni disabili».
IL COMITATO E IL SISTEMA VALORIALE»
DEL CANDIDATO - Ma gli esaminatori dovranno dire la loro anche sulla
conoscenza, da parte del docente, «di una vasta gamma di strategie per
promuovere l'educazione alla cittadinanza, alla legalità e alla salute nonchè
al rispetto delle proprie radici culturali». Perchè si possa concedere
l'iscrizione all'Albo regionale, il Comitato dovrà quindi valutare l'influenza
«che il sistema valoriale» del candidato potrà avere «sull'apprendimento degli
studenti, influenzando il loro sviluppo fisico, intellettuale, linguistico,
culturale ed emotivo». Il che tradotto, spiegano in ambienti parlamentari della
Lega, significa che il Comitato dovrà valutare quanto, ad esempio, «il parlare
napoletano di un professore possa influire nella formazione di studenti di
altre regioni». Con gli ultimi due punti (le lettere c e d) si punterebbe
insomma a fare una «selezione sulla base delle radici di appartenenza del
docente e sui problemi che potrebbero derivare dall'avere un insegnante con
un'altra cultura, altre tradizioni e altro dialetto rispetto agli alunni che
invece provengono da altre realtà regionali».
«LE TECNOLOGIE DIDATTICHE» - Infine,
sempre lo stesso Comitato, dovrà valutare anche «la buona conoscenza delle
tecnologie didattiche» che si hanno «sia nell'insegnamento, sia come supporto
del ruolo professionale». Ma nel Pdl si fa notare, comunque, la contraddizione
che esisterebbe tra quanto previsto nella riforma Gelmini laddove si chiedono
almeno sei anni di formazione per gli insegnanti e il testo della Lega che
invece «parla solo di "domande chiave" alle quali rispondere per
ottenere l'iscrizione negli Albi regionali».
Riforma Gelmini già
legge, sbagliato parlare di rinvio
Roma, 29 luglio 2009
Il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca precisa che quanto accaduto ieri in Commissione Cultura della Camera
riguardava la discussione di una proposta di legge di iniziativa parlamentare
della Presidente Aprea e non provvedimenti del governo e del ministro Gelmini
che sono già legge da mesi. Quindi quanto riportato da alcuni organi
d’informazione in merito ad un rinvio della riforma è profondamente inesatto.
Le riforme Gelmini sono già state approvate in via definitiva. Il rinvio di cui
si parla invece riguarda esclusivamente la proposta di legge Aprea.
Scuola, ambiente e
legalità
Gelmini e
Prestigiacomo firmano
Carta d’Intenti per
l’educazione ambientale nelle scuole
Roma, 29 luglio 2009
Questa mattina a Palazzo Chigi il ministro dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca Mariastella Gelmini e il ministro dell’Ambiente
Stefania Prestigiacomo hanno firmato la Carta d’Intenti “Scuola, Ambiente e
Legalità” per promuovere tra i giovani l’educazione ambientale e il consumo
sostenibile. Per realizzare l’iniziativa i due Ministeri stanzieranno
complessivamente 1 milione di euro per il prossimo anno scolastico (2009-2010).
Il progetto si inserisce all’interno della nuova materia di
“Cittadinanza e Costituzione” che interesserà dal prossimo anno tutti gli
studenti delle scuole di ogni ordine e grado. A settembre, infatti, nel primo
giorno di scuola verranno rese note le linee guida dell’iniziativa che porterà
in classe anche i temi del ciclo dei rifiuti e della lotta alle ecomafie.
Sono stati presentati inoltre due concorsi. Il primo, “Le
cose cambiano se…”, è dedicato alle scuole dell’infanzia e alle scuole primarie
e raccoglierà in una pubblicazione le migliori proposte dei bambini per la
tutela dell’ambiente e del paesaggio attraverso manifesti, fotografie e
disegni. Il secondo, “Scuola, Ambiente e Legalità”, è rivolto alle scuola
secondarie di I e II grado prevede invece la realizzazione da parte degli
studenti di una campagna di comunicazione sul ciclo dei rifiuti, il consumo
sostenibile e la lotta alle ecomafie.
di Francesca Angeli
Dopo le polemiche sui test
regionali voluti dalla Lega, Il ministro dell’Istruzione
vuole la reesidenza tra i criteri di scelta: "Non c'è discriminazione, la
Lega ha solo chiesto di studiare anche la cultura locale. Giusto limitare i
trasferimenti e avere insegnanti che conoscano il territorio"
Roma - La Lega propone un
meccanismo di selezione per i docenti basato anche sulla conoscenza della
cultura locale e del dialetto della regione nella quale andranno ad insegnare.
Lei è d’accordo ministro Gelmini?
«Sostenere che il partito di Umberto
Bossi propone test di dialetto per i professori in questi termini è, come dice
il capogruppo leghista Roberto Cota, una bufala».
E come stanno le cose invece?
«L’intervento di Paola Goisis in
commissione Cultura durante la discussione sulla proposta di legge del
presidente Aprea era molto articolato, toccava diverse tematiche e conteneva
tra l’altro osservazioni interessanti e assolutamente condivisibili. Come ad
esempio quella di favorire un legame più stretto tra i docenti ed il territorio
nel quale operano».
Ed in che modo attuarlo?
«Occorrono un ampio confronto ed una
riflessione che potranno poi rientrare in un progetto più ampio di riforma dei
programmi e del meccanismo di selezione per i docenti. Non vedo che cosa ci sia
di sbagliato nell’idea di inserire nei programmi di studio elementi che
riguardano il territorio, le tradizioni e la cultura locale. Ovvio che questo
vale per il Nord e per il Sud allo stesso modo».
Ma per lei, ministro, qual è la
priorità rispetto alla funzione docente? Che cosa vorrebbe correggere subito?
«Basta con il viavai dei professori
che cambiano scuola ogni anno, facendo la spola da una regione all’altra, da
una città all’altra. Voglio rivedere questi meccanismi. Ovvio che faremo
attente verifiche ma il mio obiettivo è quello di sostenere la continuità
didattica, voglio chiudere l’epoca degli insegnanti stagionali».
La proposta della Lega è finita nel
calderone dove bollono tutte le tematiche del confronto interno alla
maggioranza tra il Nord ed il Sud insieme alle polemiche sull’Afghanistan e la
nascita del Partito del sud. Lei, bresciana purosangue, ha appena firmato un
importante accordo di collaborazione tra il suo ministero e quello
dell’Ambiente della sicilianissima Stefania Prestigiacomo. Questo scontro
Nord-Sud rischia davvero di mettere a repentaglio il cammino del governo o si
fa tanto rumore per nulla?
«Tutti i parlamentari portano in
aula le esigenze del proprio territorio. È normale, è giusto che si faccia e
che si possa arrivare ad un confronto anche serrato sulle diverse esigenze. Ma
non ho dubbio che su qualsiasi eventuale contrasto interverrà il presidente
Silvio Berlusconi che come sempre saprà trovare una sintesi trasparente
mettendo tutti d’accordo».
Nessun contrasto tra lei e la Lega
quindi...
«Le riforme scolastiche di mia
iniziativa sono già state approvate e sono in corso di attuazione e su quelle
non esiste alcuna conflittualità con il Carroccio».
La Lega sembra però soffrire una
eccessiva presenza di insegnanti meridionali al Nord.
«Nella scelta degli insegnanti la
stella polare per il governo resta quella della loro preparazione e della loro
cultura. Sono insegnanti bravi o no? Tutto il resto viene dopo. Detto questo,
non escludo si possa valutare il fattore della rappresentanza territoriale,
inserendo accanto agli altri criteri quello della residenza. Si tratta soltanto
di ipotesi e prima di essere attuate vanno sciolti tutti i dubbi giuridici».
La mozione della giunta di Vicenza
che intende bloccare l’arrivo di presidi dal Sud dimostra che questo timore di
una presunta meridionalizzazione delle scuole è concreto, o no?
«Proprio quella vicenda dimostra
come queste preoccupazioni attribuite sempre e soltanto alla Lega siano in
realtà comuni a tutte le forze politiche presenti in quelle zone. Ricordo
infatti che quella mozione è stata sostenuta prima di tutto dai rappresentanti
del Partito democratico. Dunque, se una questione settentrionale esiste non
riguarda soltanto il partito di Umberto Bossi, ma tutti i cittadini e dunque
tutte le forze politiche».
Dopo la pubblicazione della
classifica degli Atenei più virtuosi e la conseguente ridistribuzione dei fondi
le sue scelte sono state duramente criticate. Ovviamente soprattutto dagli
Atenei bocciati.
«L’unico criterio di cui abbiamo
tenuto conto è stato quello della qualità sulla base di indicatori
internazionali che hanno dato un risultato oggettivo. Anche in questo caso non
è vero che il Meridione sia stato penalizzato. Sono state promosse molte
università al Sud e molte sono state bocciate al Nord. Le rivendicazioni
localistiche non hanno più senso in epoca di globalizzazione. I rettori che
oggi si lamentano invece di piangere devono rimboccarsi le maniche e darsi da
fare per ottenere risultati migliori».
A settembre la scuola riparte, le
novità della riforma sono molte. Che cosa si aspetta?
«Non mancheranno quelli che faranno
opera di terrorismo sulle famiglie. Ma io non intendo farmi condizionare da
minoranze rumorose. Mi batterò per riportare la scuola italiana a livelli
qualitativi competitivi in Europa e nel mondo».
giovedì 30 luglio 2009
Sul reclutamento degli insegnanti,
oggetto degli artt. 12 e 13 del nuovo testo unificato delle proposte di
legge n. 953 di Aprea, 808 e 813 di Napoli, 1199 di Frassinetti, 1262 di
De Torre, 1468 di De Pasquale e 1710 di Cota, si è aggrovigliato un nodo, i cui
fili vorremmo tentare di dipanare per i nostri pazienti lettori. Rinviando alla
lettura integrale del Testo unificato, qui accanto, e degli articoli appena
citati, si può solo osservare che il testo propone l’istituzione degli Albi
regionali e l’accesso ai concorsi per titoli. Si tratta grosso modo del
tentativo di stabilizzare gli insegnanti sullo stesso posto e di far
contare le autonomie scolastiche insediate sul territorio nel reclutamento dei docenti.
Significa anche che nei test di reclutamento si debba prevedere la conoscenza
del dialetto locale? Secondo l’on. Goisis, rappresentante veneta della Lega
nella Commissione cultura della Camera, sì! Secondo il capogruppo della Lega
alla Camera, l’on. Cota, no! I giornali nazionali titolano di sì, il Ministro
sfuma i toni, riducendo la faccenda all’esigenza che gli insegnanti reclutati
conoscano le tradizioni locali, non necessariamente il dialetto, che, del
resto, è ormai poco parlato anche dagli “indigeni”.
Per capire occorre una (buona)
dietrologia! Il PdL Aprea, già presentato come proposta-bandiera all’epoca del
Ministro Fioroni, viene subito ripresentato allo scoccare della nuova
legislatura, ministro Gelmini. Il senso è chiaro: collocare un segnaposto
riformista, che salvi il nocciolo razionale della Riforma Moratti, i cui
destini sono già stati gravemente pregiudicati da Fioroni e che il nuovo
ministro non si mostra frettoloso di rilanciare. Autonomia statutaria delle
autonomie scolastiche, Fondazioni, nuova governance delle
scuole, formazione iniziale degli insegnanti, stato giuridico, reclutamento