Rassegna informazioni scuola

RASSEGNA 03_10 DEL 10/04/2010


 

Notizie della settimana –03_10

A cura di Roberto Pasolini

 

 

La paritaria costa meno di quella di Stato,

parola della Fondazione Agnelli

Giovanni Cominelli

venerdì 26 marzo 2010

 

Il recentissimo Rapporto sulla scuola in Italia 2010 della Fondazione Agnelli scuote un tabù profondo della politica, degli intellettuali, dei mass-media: che il sistema dell’istruzione pubblica statale, organizzato in modo centralistico e omogeneo su scala nazionale, garantisca in quanto tale l’eguaglianza dei ragazzi italiani e favorisca l’elevamento sociale dei più poveri. Da fonte non sospetta arrivano, viceversa, delle contro-verità largamente documentate. Nessuna è nuova per questo giornale, che ha fatto di queste contro-verità la propria bandiera. Il Rapporto ne conferma, per parte sua, la fondatezza incontrovertibile: il modello statale-centralistico vecchio di 150 anni è sotto scacco.

 

Il primo capitolo mette al centro dell’analisi la fenomenologia dei divari, cioè delle ineguaglianze, delle iniquità, dei divides. Il primo di questi è il digital divide, quello che separa gli insegnanti dai loro alunni, che si trovano molto più avanti nell’uso delle Ict (Information Communication Technologies). E qui non è principalmente questione di computer, quanto di preparazione degli insegnanti. Solo 45mila insegnanti su 819mila si stanno formando alle competenze digitali. Così è crescente l’asimmetria tra l’uso delle Ict che i ragazzi fanno nella vita quotidiana e quello nella scuola. Risultato: le distanze tra la vita reale e quella scolastica si allungano.

 

Non viene praticata la metodologia dei percorsi didattici personalizzati, che le Ict favoriscono in modo straordinario. Certo, è difficile per una generazione di insegnanti, che ha raggiunto l’età media dei 52 anni, comprendere le potenzialità didattiche delle Ict e farne uso appropriato. Il “divario di genere” appare, viceversa, azzerato, salvo che per gli apprendimenti scientifici. Nella società, nell’economia, nella politica è ancora molto forte. Ma questa è un’altra storia! Il “divario sociale” è rimasto: “la scuola italiana sembra fallire nell’obiettivo di garantire pari opportunità di accesso a qualsiasi tipo di istruzione superiore e pare invece configurarsi come uno strumento di cristallizzazione delle posizioni sociali consolidate”. Il “divario degli indirizzi di studio” resta grave, ed è causa ed effetto di quello sociale: tra i liceali il 49% riesce a raggiungere la laurea, tra gli iscritti ai tecnici il 12% e tra quelli dei professionali appena il 5 per cento. Il “divario tra le scuole” - la varianza - in Italia è al 51%, in Finlandia al 6 per cento: scuole centrali, di periferia, di campagna... Ma è molto più che la classica macchia di leopardo: è una frattura sovradeterminata da quella “territoriale” Nord-Sud. Il “divario negli apprendimenti” è la conseguenza di tutti quelli precedenti. Il “divario territoriale”: il solo fatto di vivere al Sud, a parità di offerta formativa, comporta 68 punti di svantaggio nel test Pisa rispetto al Nord. Corrispondono ad un anno e mezzo di ritardo di scuola rispetto al Nord. Nelle Regioni del Sud un terzo dei quindicenni non raggiunge la soglia minima delle competenze internazionalmente definite. Il solo fatto di abitare al Sud genera impari opportunità! Il “divario interetnico”: gli studenti stranieri, che raggiungono ora l’8%, hanno ridotte opportunità educative. Mostrano tassi di ripetenza consistenti già nella secondaria inferiore (6,3 contro 2,7% degli italiani) e crescenti alla superiore (9,2 contro 6,9%). Al segmento più fragile della secondaria superiore - quello degli istituti professionali - si iscrive il 41% degli stranieri contro il 19,4 degli italiani.

 

L’altro tabù è quello dei costi della scuola di Stato e di quella paritaria: la prima, a buon mercato, per tutti, la seconda solo per i ricchi? Uno sguardo a-ideologico alle cifre conferma l’esatto contrario: il costo per alunno nelle più costose ed esclusive scuole private è assai inferiore a quello delle scuole statali, se alle spese consolidate statali, regionali e degli enti locali (6.620 euro per studente) si assommano quelle dei trasferimenti dei privati (per lo più famiglie, per 89 euro a studente) e quelle degli oneri figurativi stimati (686 euro per studente delle statali). 

 

Tali oneri figurativi sono quelli che servirebbero a pagare i canoni di affitto, se non si utilizzassero a titolo gratuito i circa 100 miliardi di immobili stimati del demanio, che ha rinunciato a incassare gli affitti. Il totale fa 7.400 euro. L’alunno della scuola paritaria costa alla sua famiglia poco più di 5.000 euro. E tuttavia la sua famiglia finanzia con la fiscalità generale la scuola di stato.

Quanto alle proposte di affronto della situazione di crisi del sistema educativo, la Fondazione Agnelli riprende ciò che il dibattito riformista di questi anni ha elaborato, relativamente alle politiche del personale (reclutamento diretto da parte delle scuole, carriera, differenziazione retributiva ecc.), alla valutazione delle scuole, del personale docente e dirigente, alla politiche di “quasi-mercato” fortemente legate a iniziative del territorio sull’esempio americano o inglese, alle politiche di sussidiarietà.

 

La proposta principale con cui si misura il Rapporto è quella del “federalismo scolastico”. Esso si basa su due pilastri: l’Accordo Stato-Regioni per attuare il Titolo V della Costituzione e il federalismo fiscale. In forza del primo, lo Stato determina le norme generali, i principi fondamentali e i livelli essenziali delle prestazioni, da definire congiuntamente agli Enti locali, finanziati dallo Stato ed erogati dalla Regioni come input: organici, curricula, dimensione delle classi. Alle Regioni spettano l’organizzazione e la gestione della rete scolastica. Il personale della scuola rimane alle dipendenze dello Stato. In base al secondo, i livelli essenziali delle prestazioni sono finanziati integralmente dallo Stato, sulla base del fabbisogno e costo standard, ovvero di un criterio di efficienza.

 

Il Rapporto teme il cosiddetto “federalismo per abbandono”: che lo Stato lasci a se stesse le Regioni più deboli. Perciò propone che il federalismo si basi su “obbiettivi quantificabili di output”, che le Regioni si impegnano a raggiungere e lo Stato a finanziare, utilizzando i 3,2 miliardi annui che si risparmierebbero grazie al federalismo fiscale. Gli output proposti sono: un livello di competenze minimo - misurato dallo Stato - per almeno il 95% degli studenti di 16 anni della Regione; una riduzione del tasso di dispersione al di sotto del 10%. In caso di fallimento delle Regioni, si può arrivare, dopo alcuni anni, al commissariamento. La parola passa, ancora una volta,alla società, alla cultura, alla politica. Ma, innanzitutto, all’universo scolastico.

 

Dati aggiornati di un “vecchio” problema irrisolto (Roberto Pasolini)

Condivido l’ineccepibile articolo di Cominelli: nei dati riportati e nelle possibili soluzioni chiaramente, o tra le righe, espresse. Problemi noti, dati sostanzialmente noti, situazione ben dibattuta, come ricorda, anche sulle pagine di questo giornale. Non voglio, però, cadere nella rassegnazione che ha inevitabilmente colpito molti operatori della scuola paritaria conseguentemente al sentirsi ripetere negli ultimi anni gli stessi problemi, le stesse possibili soluzioni, le stesse promesse politiche per poi trovarsi di fronte lo stallo. Nell’articolo compare un segno di speranza: la Fondazione Agnelli è tornata ad occuparsi del problema. Significa che il processo si rimette in moto? Faccio questa affermazione, poiché in un incontro, fine anni 90, con l’allora presidente, mi fu comunicato che dopo tanti anni di interesse e ricerche sulla scuola e sul rapporto pubblico privato, la fondazione cambiava obiettivo ed avrebbe dedicato attenzioni e ricerche al problema dei flussi migratori visto che ogni sollecitazione e ricerca sulla scuola sembrava sempre arenarsi o, meglio, sembrava non riuscire mai a prendere l’avvio. Come ho detto “il ritorno della Fondazione” riapre il cuore alla speranza e sarà bene che operatori ed associazioni non perdano l’occasione. Se, come afferma la maggioranza di governo in questi giorni, i prossimi tre saranno gli anni della riforma, non mettere su questo treno anche il raggiungimento della piena parità sarebbe imperdonabile.

 

dati aggiornati (Luisa Ribolzi)

Sto scrivendo un saggio sul tema dei costi della scuola pubblica e privata, e aggiungo all'impeccabile articolo di Cominelli una tabella: Costo pro capite degli alunni nella scuola statale e contributi statali alla scuola paritaria, a. 2006 Costo scuola statale: infanzia 5.828, primaria 6.525 Sec.I grado 7.232, Sec.II grado 7.147 Contributi alla paritaria, rispettivamente 584, 866, 106, 51 Risparmio, rispettivamente 5.244, 5.659, 7.124, 7.096 Senza ulteriori commenti. Resto in attesa di indicazioni su come reperire i soldi che servirebbero, in mancanza di scuole paritarie, da parte di chi inveisce contro i contributi alla scuola paritaria.

 

Da Tuttoscuola FOCUS

 

1. Scuola paritaria. Quanto risparmierebbe lo Stato se la finanziasse/1

Lo Stato risparmierebbe oltre 500 milioni di euro l'anno se aumentasse di 100 milioni i contributi alla scuola paritaria, consentendo a più famiglie di sceglierla. Avete capito bene: ogni euro investito nella scuola paritaria renderebbe allo Stato 5 euro di risparmio (che potrebbero essere in tutto o in parte reinvestiti nella scuola statale). E questo perché? Perché il costo per studente nella scuola statale è più elevato in assoluto e, ovviamente, molto più elevato per lo Stato rispetto al costo per studente che lo Stato versa alla scuola paritaria.

Per seguire il ragionamento, partiamo dai dati che Luisa Ribolzi, nota sociologa dell'educazione, autrice di numerosi studi sulla scuola non statale, in un recente intervento sul quotidiano online il sussidiario.net ha utilizzato mettendo a confronto il costo pro capite degli alunni nella scuola statale e i contributi statali alla scuola paritaria per l'anno 2006. Un calcolo spesso evidenziato anche da Tuttoscuola.

Vediamoli. Per quanto riguarda la scuola statale i costi per studente all'anno ammontano a 5.828 euro nella scuola dell'infanzia,  6.525 nella primaria, 7.232 nella secondaria di primo grado e 7.147 nella secondaria di secondo grado. I contributi alle scuole paritarie, sempre calcolati pro capite,  ammontano invece, rispettivamente a 584, 866, 106 e 51 euro. Il risparmio che lo Stato realizza per ogni alunno che si iscrive alla scuola paritaria anziché a quella statale è pertanto rispettivamente di 5.244, 5.659, 7.126, 7.096 (in media, 6.281 euro in meno per alunno). Dunque, commenta Ribolzi, non sono giustificate le proteste di chi critica i contributi che lo Stato assegna alle scuole paritarie. E non si vede, aggiunge, come lo Stato potrebbe reperire le risorse per finanziare i maggiori costi che si scaricherebbero sulla scuola statale se le scuole paritarie smettessero di funzionare (interrompendo quello che un dossier dell'Agesc definis ce un caso di "sussidiarietà all'incontrario", cioè le famiglie sussidiarie dello Stato, e che valuta in oltre 6 miliardi di euro all'anno).

 

2. Scuola paritaria. Quanto risparmierebbe lo Stato se la finanziasse/2

Proseguendo nel ragionamento, si può formulare una stima di quanto potrebbe ulteriormente risparmiare lo Stato qualora - a seguito di un aumento consistente degli attuali contributi, in ipotesi 1.000 euro pro capite - si verificasse uno spostamento delle iscrizioni dalle scuole statali a quelle paritarie. Se, per esempio e verosimilmente, si spostassero 100.000 alunni (25.000 per ciascuno dei quattro livelli di scuola considerati), il maggior costo annuo per i contributi sarebbe di 100 milioni (1.000 x 100.000), ma a fronte di questo lo Stato risparmierebbe 628,1 milioni (131,1 nella scuola dell'infanzia, 141,5 nella scuola primaria, 178,1 nella secondaria di primo grado e 177,4 nella secondaria di secondo grado): il risparmio netto sarebbe dunque di 528 milioni all'anno (costituito da oltre 9 mila cattedre in meno, da minori posti per personale non docente, minori servizi di mensa, trasporti, locali etc).

Se si considera che attualmente lo Stato destina alla scuola paritaria poco più di 500 milioni l'anno (di cui circa il 15% alle scuole comunali), un ulteriore investimento, nell'esempio di 100 milioni, accompagnato da adeguate forme di incentivazione, potrebbe dare un ritorno notevole, da reinvestire per rafforzare la scuola statale, magari con quei fondi che oggi le scuole statali sono costrette a chiedere alle famiglie. Alla fine, una grande partita di giro...

Ai minori costi per lo Stato corrisponderebbe, naturalmente, una maggiore spesa per le famiglie che opterebbero per la paritaria, variabile in media da 2.500 a 4.000 euro all'anno per alunno. Ma è verosimile che ricevendo più contributi le scuole sarebbero in grado di ridurre le rette.     

 

NORMATIVA RECENTE

 

Nota 9 aprile 2010, prot.n. 2791

Oggetto: Piano di riparto delle risorse per la Scuola in ospedale e il Servizio di Istruzione Domiciliare. ...

Nota 8 aprile 2010, Prot. MIURAOODGOS N. 2664

Oggetto: Seminario di lavoro “EXPERIMENTA!” – Roma 15-16 aprile 2010

Dipartimento ...

Nota 7 aprile 2010, MIUROODGOS Prot. n. 2603

Oggetto: I giovani e le scienze 2010. Rassegna dei progetti selezionati e Cerimonia di premiazione. Milano ...

Avviso 6 aprile 2010

Oggetto: I passi giusti della calzatura italiana: una sfida che si rinnova nel mondo! XI Bando di ...

Avviso 2 aprile 2010

Oggetto: PROROGA SCADENZA BANDO DI CONCORSO “DALLA TAVOLA ALLA CITTADINANZA”

Dipartimento ...

Avviso 1 aprile 2010

Oggetto: SIDI – anagrafe delle scuole non statali – attivazione nuove funzioni

Dipartimento ...

Nota 1 aprile 2010, MIURAOODGOS prot. n. 2532 /R.U./U

Oggetto: R.D. 4 maggio 1925, n. 653 e R.D. 21 novembre 1929, n. 2049

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione ...

Avviso 1 aprile 2010

Oggetto: Concorso “1000 tetti fotovoltaici su 1000 scuole”

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione ...

Nota 31 marzo 2010, Prot. n. 2494 MIUROODGOS

Oggetto: Concorsi Nazionali a Vico del Gargano

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione ...

Nota 31 marzo 2010, Prot. n. AOODGAI/3637

Oggetto: Cooperazione bilaterale italo-francese. Progetto di mobilita’ docenti “Scambi ...

Circolare Ministeriale 26 marzo 2010, n. 35

Oggetto: A.S. 2009/10 – primo ciclo di istruzione – candidati esterni: esami di idoneita’ ...

Nota 26 marzo 2010, Prot. N. 0002387

Oggetto: BANDO DI CONCORSO “PRIMAVERA DELL’EUROPA” – elenco vincitori

Dipartimento ...

Nota 26 marzo 2010, Prot. 0002392

Oggetto: Progetto “Giovani Domani”

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione ...

Nota 26 marzo 2010, Prot. 0002386

Oggetto: BANDO DI CONCORSO “PRIMAVERA DELL’EUROPA”

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione ...

Nota 26 marzo 2010, Prot. N. 2390

Oggetto: Progetto “L’universo della conoscenza”

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione ...

Avviso 25 marzo 2010

Oggetto: “JPIIGAMES2010 – Pellegrini di pace”

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione ...

Nota 23 marzo 2010, Prot. n. 2235

Oggetto: Concorsi Nazionali: “Penne Sconosciute” – “Video Sconosciuti” ...

Nota 22 marzo 2010, Prot. n. 0002173 R.U.

Oggetto: Piano nazionale per l’orientamento lungo tutto il corso della vita: azioni di preparazione ...

Nota 22 marzo 2010, Prot. n. AOODGPER 3088

Oggetto: Proroga delle funzioni POLIS per l’invio delle domande di mobilita’ nella scuola ...

 


 

COMUNICATI DIREZIONE REGIONALE LOMBARDIA

 

09.04.10

Cooperazione bilaterale italo-francese. Progetto di mobilità docenti "Scambi professionali". A.S. 2010/11

09.04.10

Convegno Tecnologie per la pace: i bambini soldato (Università degli Studi di Milano, 7 maggio 2010)

09.04.10

Concorso "A scuola di innovazione" (domande entro il 15 aprile 2010)

08.04.10

Formazione della delegazione studentesca per la partecipazione alle manifestazioni del XVIII anniversario della strage di Capaci (Palermo, 23 maggio 2010)

08.04.10

Manifestazione "La scienza in cucina" (Alzano Lombardo BG, dal 5 all'8 maggio 2010)

07.04.10

Giornata di Studi di Quantestorie (Milano, 22 aprile - Libreria dei ragazzi di via Tadino)

07.04.10

Sesta edizione di Quantestorie, festival del libro per bambini e ragazzi (dal 13 al 30 aprile 2010 a Milano, Brescia e Monza)

07.04.10

Approfondimento tematico sulle azioni di "Learning week"

02.04.10

Bando di concorso “Primavera dell’Europa”

02.04.10

Progetto “Giovani Domani”

02.04.10

La Provincia di Milano. 150 anni di opere e arte. I Tesori della Provincia in mostra

01.04.10

Formazione in ingresso del personale docente ed educativo a.s. 2009/2010: Formazione on line, il sistema dei crediti e altri chiarimenti

01.04.10

Istituto Sperimentale “Rinascita – A. Livi” – Bando per l’individuazione di personale docente di ruolo

31.03.10

Selezione pubblica per l’individuazione di Formatori/tutor per il Piano di formazione per lo sviluppo delle competenze linguistico - comunicative emetodologico - didattiche in lingua inglese degli insegnanti di scuola primaria scadenza 9 aprile 2010

31.03.10

Selezione pubblica per l’individuazione di Formatori/tutor per il Piano di formazione per lo sviluppo delle competenze linguistico - comunicative emetodologico - didattiche in lingua inglese degli insegnanti di scuola primaria. – scadenza 9 aprile 2010

30.03.10

“Un minuto di diritti” – Concorso in collaborazione con Unicef Italia e RAI – II edizione

30.03.10

Mostra “La Biblioteca delle Meraviglie”- 400 anni di Ambrosiana: il mondo a Milano 24 marzo – 27 giugno 2010

29.03.10

Gare nazionali per operatori della gestione aziendale e della moda

29.03.10

Corso di formazione ”ITALS - italiano lingua straniera”


26.03.10

Università degli Studi di Milano – Incontri di orientamento e Scuole estive (pdf, 22 kb) Open day Edolo (pdf, 80 kb) Professione naturalista (zip, 502 kb)

26.03.10

Meravigliosambiente - progetto didattico per le scuole primarie di Fondazione Lombardia per l’Ambiente e USR Lombardia– richiesta materiali entro 30 maggio 2010

26.03.10

Open day Scuola Militare Teuliè – Corso Italia, 58 - Milano – 30 marzo 2010 – ore 9.00-16.00

26.03.10

Iniziativa di formazione promossa dal Centre Culturel de Milan (pdf, 27 kb) Allegato (pdf,162 kb)

25.03.10

Primo bando concorso nazionale Io non abbocco – a.s. 2009/2010 (domande entro il 15 aprile 2010)

23.03.10

Concorso del British Council “Climate Generation 2010

23.03.10

”Un patto per la legalità” Concorso Miur – Fondazione “Giovanni e Francesca Falcone”

23.03.10

Concorso :“ Povertà ed esclusione sociale: i ragazzi raccontano che…” e Concorso :” Ragazzi in onda”

22.03.10

Progetto Internship. Assistenti di lingua straniera (inglese, tedesco e francese) nelle scuole lombarde

 

 

21 marzo 2010 - da Tecnica della Scuola

 

Regolamenti secondo ciclo firmati da Napolitano

di Reginaldo Palermo

 

Il Presidente ha firmato i tre Regolamenti che ora dovranno essere pubblicati nella G.U. Sindacati e opposizione protestano per il ritardo della pubblicazione, ma questa prassi ha precedenti illustri.

I tre Regolamenti sulla secondaria di secondo grado sono stati firmati dal Presidente della Repubblica il 15 marzo scorso: lo ha comunicato ufficialmente il Ministero dell’Istruzione con una breve nota inserita nella apposita sezione del sito dedicata alla riforma del secondo ciclo.

Adesso si attende ancora il parere della Corte dei Conti e poi i provvedimenti potranno essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

Formalmente, quindi, i tre decreti non sono ancora in vigore e proprio per questo da più parti si sostiene che la Riforma non può prendere avvio. In realtà se si va indietro nel tempo non mancano esempi di leggi e decreti applicati ben prima della loro pubblicazione sulla Gazzetta.

Un caso clamoroso fu per esempio quello della legge 820 del 1971 con la quale veniva dato avvio al tempo pieno nella scuola elementare: la legge venne approvava il 1° settembre ma la pubblicazione in Gazzetta arrivò solo il 14 ottobre mentre l’entrata in vigore ufficiale fu prevista per il 29 ottobre.

Ma intanto già da settembre in tutta Italia (e soprattutto nelle grandi città del nord) il tempo pieno aveva preso avvio con l’inizio dell’anno scolastico e anche gli organici, quindi, vennero assegnati alle scuole prima della entrata in vigore della legge.

Nel 1974 i cosiddetti “decreti delegati” con cui nascevano gli organi collegiali della scuola e lo stato giuridico del personale vennero approvati dal Governo il 31 maggio; la pubblicazione slittò al 13 settembre e l’entrata in vigore al 28 settembre, quando le procedure per l’elezione di consigli di istituto e quant’altro erano già state avviate.

D’altronde i tempi di pubblicazione di regolamenti e decreti delegati sono spesso molto lunghi proprio a causa del passaggio alla Corte dei Conti: lo stesso DPR 275 del 1999 (il Regolamento dell’Autonomia scolastica) impiegò la bellezza di 5 mesi per essere pubblicato (il decreto venne firmato dal Presidente l’8 marzo ma entrò in GU addirittura il 10 agosto).

E, sempre in materia di autonomia, che dire del DPR n. 352 firmato dal Presidente della Repubblica il 4 agosto 2001 con cui si stabiliva che le norme contenute nel Regolamento di contabilità delle istituzioni scolastiche si sarebbero dovute applicare a partire dal 1° settembre ? Tutto normale, si dirà: niente affatto, perché il decreto entrò in Gazzetta il 26 settembre entrando quindi formalmente in vigore l’11 ottobre !

Come si vede il vizio di applicare norme e disposizioni prima che esse siano formalmente in vigore è una prassi quasi abituale e nessun Governo si è mai salvato da questo “piccolo strappo” alla regola contenuta nell’articolo 73 della Costituzione (“Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso della legge”).

 

 

Da Disal

C’è futuro per le sezioni primavera?

Tuttoscuola – 22 marzo 2010

 

Le sezioni primavera, il servizio educativo apprezzato da famiglie e amministrazioni comunali, nato tre anni fa, rischia di non avere futuro, complice anche il prossimo rinnovo degli organi regionali per governatori e consigli.

Cosa c'entrano le regioni? C'entrano, c'entrano...Vediamo perché.

I nuovi organi regionali, dopo le elezioni di fine marzo 2010, potranno entrare nel pieno della loro attività istituzionale probabilmente alle soglie dell'estate. La Conferenza delle Regioni (costituita dai presidenti delle Regioni o loro delegati), nella nuova composizione sancita dall'esito elettorale, potrà insediarsi e deliberare, se tutto andrà bene, ad agosto. E soltanto allora, quando la Conferenza delle Regioni sarà nel pieno delle sue funzioni, potrà anche consentire il funzionamento dell'altra Conferenza, quella unificata Stato-Regioni-Autonomie locali che, per legge, deve, tra le tantissime incombenze, deliberare anche l'Accordo per il funzionamento delle sezioni primavera.

Se per il primo anno (2007) l'Accordo costruito dal nulla era arrivato alla sottoscrizione definitiva da parte della Conferenza Unificata soltanto a metà giugno, l'anno dopo era invece stato definito il 20 marzo 2008, consentendo l'avvio regolare del servizio a settembre.

L'anno scorso invece, terzo anno della sperimentazione, complici i cattivi rapporti istituzionali tra Regioni e Governo, la Conferenza Unificata ha sospeso per mesi il suo funzionamento, arrivando a definire l'Accordo per le sezioni primavera soltanto il 29 ottobre 2009, mettendo in crisi in diverse parti d'Italia il nuovo servizio.

Le Regioni, contro la proposta del ministero dell'istruzione (parte in causa nella Conferenza unificata), non hanno mai voluto che l'accordo avesse una durata superiore ad un anno, costringendo a rinnovarlo anno dopo anno (e nel 2009 con il ritardo che abbiamo visto).

Per il 2010-11 si rischia ancora una volta di avere l'accordo nazionale ad anno scolastico ampiamente avviato. E, senza accordo, non è possibile finanziare le sezioni primavera; senza soldi, il servizio rischia di non decollare.

L'ultimo accordo prevedeva anche la costituzione di una cabina di regia nazionale, composta dai rappresentanti dei ministeri, delle regioni e dei comuni. Nomine da parte delle regioni, a quanto sembra, non ne sono state fatte. Senza cabina di regia il servizio non potrà essere monitorato e valutato per svilupparne le potenzialità e farne sistema.

Insomma, le sezioni primavera sono arrivate a un punto morto. Hanno un futuro?

Le sezioni primavera, il servizio educativo apprezzato da famiglie e amministrazioni comunali, nato tre anni fa, rischia di non avere futuro, complice anche il prossimo rinnovo degli organi regionali per governatori e consigli.

Cosa c'entrano le regioni? C'entrano, c'entrano...Vediamo perché.

I nuovi organi regionali, dopo le elezioni di fine marzo 2010, potranno entrare nel pieno della loro attività istituzionale probabilmente alle soglie dell'estate. La Conferenza delle Regioni (costituita dai presidenti delle Regioni o loro delegati), nella nuova composizione sancita dall'esito elettorale, potrà insediarsi e deliberare, se tutto andrà bene, ad agosto. E soltanto allora, quando la Conferenza delle Regioni sarà nel pieno delle sue funzioni, potrà anche consentire il funzionamento dell'altra Conferenza, quella unificata Stato-Regioni-Autonomie locali che, per legge, deve, tra le tantissime incombenze, deliberare anche l'Accordo per il funzionamento delle sezioni primavera.

Se per il primo anno (2007) l'Accordo costruito dal nulla era arrivato alla sottoscrizione definitiva da parte della Conferenza Unificata soltanto a metà giugno, l'anno dopo era invece stato definito il 20 marzo 2008, consentendo l'avvio regolare del servizio a settembre.

L'anno scorso invece, terzo anno della sperimentazione, complici i cattivi rapporti istituzionali tra Regioni e Governo, la Conferenza Unificata ha sospeso per mesi il suo funzionamento, arrivando a definire l'Accordo per le sezioni primavera soltanto il 29 ottobre 2009, mettendo in crisi in diverse parti d'Italia il nuovo servizio.

Le Regioni, contro la proposta del ministero dell'istruzione (parte in causa nella Conferenza unificata), non hanno mai voluto che l'accordo avesse una durata superiore ad un anno, costringendo a rinnovarlo anno dopo anno (e nel 2009 con il ritardo che abbiamo visto).

Per il 2010-11 si rischia ancora una volta di avere l'accordo nazionale ad anno scolastico ampiamente avviato. E, senza accordo, non è possibile finanziare le sezioni primavera; senza soldi, il servizio rischia di non decollare.

L'ultimo accordo prevedeva anche la costituzione di una cabina di regia nazionale, composta dai rappresentanti dei ministeri, delle regioni e dei comuni. Nomine da parte delle regioni, a quanto sembra, non ne sono state fatte. Senza cabina di regia il servizio non potrà essere monitorato e valutato per svilupparne le potenzialità e farne sistema.

Insomma, le sezioni primavera sono arrivate a un punto morto. Hanno un futuro?

 

 

Il Sussidiario - lunedì 22 marzo 2010

 

Dalle prove Invalsi un aiuto agli studenti e un colpo all’immobilismo. Perchè screditarle?

Daniela Notarbartolo

 

L’articolo dell’ispettore Stefanoni è assolutamente condivisibile quando indica, quale scopo delle misurazioni del Sistema Nazionale di Valutazione, il miglioramento degli apprendimenti degli studenti. La finalità, richiesta esplicitamente da uno degli obiettivi strategici di Lisbona, è abbassare drasticamente le percentuali dei ragazzi con basse competenze in lettura e in matematica. Si sa che entro il 2010 sarebbe stato necessario che il tasso nei paesi europei scendesse del 20% rispetto al 2000, e che ciò non è successo, anzi la percentuale dei ragazzi con scarsa abilità di lettura è mediamente cresciuta, con punte negative in alcuni paesi fra cui l’Italia, che è passata dal 18,9% del 2000 al 24,6% del 2006. I nuovi obiettivi di Lisbona per il 2020 fissano ora il tetto massimo al 15%. L’urgenza è quindi monitorare l’andamento dei nostri ragazzi, e consentire alle scuole di attuare piani di intervento mirati.

 

Le prove INVALSI segnalano, in sintonia con le prove OCSE, in quali zone del paese si concentrano le problematicità, ma i risultati non interessano tanto questo aspetto. Uno dei vantaggi della prova nazionale è l’aderenza delle prove ai curricoli scolastici; la restituzione non è fatta solo sulla prova nella sua interezza, ma la disaggrega domanda per domanda. Siccome la prova è costruita in modo da saggiare una vasta gamma di processi e di ambiti, ogni scuola riceve una fotografia abbastanza precisa in termini di competenze e abilità dei ragazzi, cioè proprio quanto è auspicato dall’Ispettore.

 

Dal punto di osservazione dell’ex-IRRE Lombardia, dove lavoro, dalle scuole arrivano richieste di supporto precise: per esempio, che fare se i nostri ragazzi cascano sempre sulle domande che chiedono “localizzazione e integrazione delle informazioni”? Al corso per dirigenti e referenti sull’utilizzo dei dati Invalsi è stato necessario chiudere le iscrizioni per il numero eccessivo di aderenti. Certo in Lombardia c’è una buona “cultura della valutazione”, visto che fu la prima ad avere un campione regionale dei dati OCSE, grazie alla lungimiranza dell’allora direttore regionale dott. Dutto e di alcuni ricercatori IRRE.

 

L’interesse delle scuole però non è solo della Lombardia. L’anno scorso, quando la misurazione era volontaria, le scuole hanno aderito circa all’80% e si sono lamentate che la rilevazione fosse solo parziale (un campione in media di 30 per scuola), tanto che la circolare che estende quest’anno la misurazione a tutti gli alunni era addirittura attesa. Il progetto EMergenza MAtematica in Emilia Romagna l’anno scorso ha coinvolto 5000 maestri sull’uso dei dati di matematica, e quest’anno lavorerà anche sull’italiano.

 

Spiace notare che l’ispettore, che non è semplicemente un dirigente del MIUR ma il responsabile per l’Umbria proprio del SNV, instilli il vecchio timore della gogna, della classifica fra le scuole, usando argomentazioni datate come quella di innescare il tipico “addestramento al test”, o che le scuole tengano a casa i somari per alzare i livelli (sono tra i possibili rischi delle misurazioni, studiati negli USA da decenni), o il più scontato cui prodest.

 

Ha contribuito invece alla serenità degli insegnanti proprio l’aver dichiarato apertamente che non si sta facendo l’esame ai professori. Anzi, la restituzione disaggregata per domanda è un’affermazione di fiducia nei confronti degli insegnanti e della loro capacità di “ricominciare da tre”. Le scuole si aspettano di avere indicazioni concrete per un cambiamento che le sole riforme non riescono a imprimere: si procede meglio dalle evidenze empiriche che dal “dover essere”. I docenti poi aspettano solo che venga loro riconosciuto l’incalcolabile merito di tirarsi dietro i ragazzi.

 

Peraltro: magari ci fosse l’addestramento al test! Sia le prove PISA sia le prove nazionali richiedono capacità piuttosto sofisticate; innovano drasticamente rispetto alle routine che non portano l’alunno all’autonomia e all’argomentazione. Anni di proposte didattiche sull'educazione linguistica non hanno avuto l’effetto che hanno avuto certe novità delle prove INVALSI; come l’attenzione al valore semantico dei connettivi o del gerundio, alla progressione tematica da un capoverso all’altro, ai rimandi anaforici dei pronomi, alle sfumature di senso portate dai modi e dai tempi del verbo … tutti “oggetti” che nelle grammatiche finora non ci sono stati (ma presto ci saranno!), su cui gli insegnanti hanno capito che è giusto, non solo opportuno, aggiornarsi, mettendo riparo alle inadempienze dell’università.

 

Quanto al comportamento opportunistico delle scuole, nel primo anno della “quarta prova” nell’esame di Stato, di competenza del MIUR, le scuole con risultati sospetti individuate dal rapporto furono il 10% su tutto il campione nazionale, variamente distribuite. Per le prove SNV, dove l’INVALSI ha la piena responsabilità dell’operazione, nelle scuole del campione è stato mandato un osservatore esterno e, applicando la stessa metodologia usata per l’esame di Stato per ripulire i dati, non si sono riscontrati comportamenti fraudolenti. Il campione statistico è stato definito su base regionale con la consulenza dell’ISTAT, tanto che attualmente è migliore del campione individuato per le prove OCSE. Sulla base di questo campione, capace di dare certezza sui livelli nazionali e regionali, i dati restituiti alle scuole trovano un termine di paragone certo, per il quale chi pure avesse barato fra le scuole non campionate avrebbe semplicemente ingannato se stesso, non i dati. È vero che quello delle procedure di somministrazione nelle scuole non campionate resta un punto delicato, ma esso coincide con l’immaturità della singola scuola, e non con la scarsa affidabilità dei risultati.

 

A me personalmente pare che il gioco perverso sia quello di gettare discredito su un istituto che, pur con scarse risorse umane, dal suo sito mostra in modo trasparente quello che sta facendo (quadri di riferimento per la comprensione e la produzione scritta, esempi di prove, protocolli per la somministrazione, rapporti di merito, rapporti metodologici, scheda per la ricorrezione delle prove scritte, informazioni pratiche … ) in controtendenza con l’immobilismo lamentoso caratteristico di tanti ambienti. Vale la pena che gli insegnanti vadano a vederselo e vi prestino la debita attenzione: www.invalsi.it.

 

da tuttoscuola.com

 

I vescovi a sostegno delle scuole paritarie

 

Il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana Avvenire torna alla carica sulla questione dei fondi destinati alla scuola pubblica paritaria, lamentando che essi ammontino a "meno dell'1% della spesa per la scuola statale".

 

Il direttore del giornale, Marco Tarquinio, rispondendo alle lettere di due sacerdoti relative alle difficoltà economiche delle scuole paritarie, parla di "flagrante inadempienza dello Stato nei confronti della scuola paritaria", che ne sta "minando le fondamenta".

 

"Eppure questa presenza, privata nella gestione, ma pubblica nell'esercizio - continua il direttore del quotidiano della CEI - consente allo Stato risparmi enormi (l'aggettivo non è esagerato, perché si tratta di miliardi di euro, come abbiamo tante volte documentato). Per questo la cifra che dal bilancio statale oggi giunge alle scuole paritarie - meno dell'1% di quanto investito nell'istruzione statale - peraltro sempre con enorme ritardo e incerta fino all'ultimo, è più motivo di indignazione che di riconoscenza".

 

Tarquinio si dice convinto del fatto che "il ministro Gelmini intenda davvero e positivamente 'fare di più' nell'applicazione della legge e nel rispetto del principio paritario che ne discende". Ma forse sottovaluta la questione dei limiti posti dalla legge 62/2000 e dalla stessa Costituzione (il noto, ancorché discusso "senza oneri per lo Stato") al finanziamento delle scuole non statali, anche se paritarie. Per essere davvero risolta, la questione dovrebbe essere riconsidertata globalmente, negli aspetti sia legislativi che costituzionali.

 

 

Da Tutto scuola Focus

 

1. Valutazione. Tutti i trucchi per imbrogliare l'Invalsi

Per interpretare l'esito della prova nazionale assegnata nel 2009 agli alunni impegnati nell'esame di licenza media, l'Invalsi si è servito di una serie di criteri e parametri volti a depurare i risultati da quelli che lo stesso Istituto Nazionale di Valutazione ha definito "comportamenti opportunistici", attribuibili evidentemente ad una parte significativa delle scuole e degli insegnanti addetti alla vigilanza sullo svolgimento della prova.

In che cosa consistevano tali comportamenti? Li elenca in un dettagliato articolo pubblicato sul quotidiano online ilsussidiario.net Roberto Stefanoni, ispettore in servizio presso l'USR dell'Umbria: "risposte sussurrate a voce un po' troppo alta, tolleranza di occhiate furtive (ma neanche tanto), che cerchino di carpire risposte probabilmente giuste dal compagno più bravo. Addolcire il prodotto finale, intervenendo d'autorità con qualche 'correttivo' nella trascrizione sul foglio risposte delle scelte di qualche alunno, «che certamente s'è distratto un momento, perché lui questa cosa la sa benissimo!»; operazione resa possibile quest'anno dal sistema semplificato di restituzione dei risultati per tutte le rilevazioni, non solo per la prova nazionale".

E ci sono anche espedienti, non utilizzabili ovviamente per la prova inserita nell'esame di licenza, che è obbligatoria, ma impiegati - a quanto sembra - in occasione delle altre rilevazioni nazionali degli apprendimenti, come quello di "incentivare l'assenza dalla scuola nel giorno fatidico di quegli alunni un po' troppo debolucci, che potrebbero far abbassare le prestazioni medie della classe sotto il livello di guardia". Oppure quello di fare effettuare agli alunni esercizi con test simili a quelli che saranno assegnati con le prove "anche se in barba alla programmazione didattica di classe".

Trucchi ed espedienti, sui quali c'è peraltro una letteratura internazionale, che mostrano quanto sia difficile per un Paese come l'Italia acquisire non solo la cultura, ma anche l'etica della valutazione oggettiva degli apprendimenti. Ma bisogna insistere, la posta in gioco è altissima.

 

3. Le casse scolastiche sono alla frutta? No, alla carta igienica

Si racconta che l'asino di Buridano, dopo essersi abituato a mangiare sempre meno, sia morto proprio quando il suo padrone pensava di risparmiare anche quella unica manciata giornaliera di fieno con la quale l'animale aveva dovuto adattarsi per sopravvivere.

La scuola statale italiana, complice la congiuntura economica, complice l'andamento dei conti dello Stato, complice una tendenza ad incrementare il risparmio sul sistema educativo che si va consolidando da parte dei ministri dell'economia e delle finanze, sembra essersi messa sulla strada dell'asino di Buridano.

Per fortuna il "fieno" lo stanno assicurando, fin che dura, i contributi più o meno spontanei e più o meno consistenti da parte delle famiglie, ma il sistema non potrà continuare a lungo in questa emergenza finanziaria, senza che venga compromesso, con il funzionamento, anche l'autonomia delle istituzioni scolastiche.

Siamo appena al primo trimestre dell'esercizio finanziario del 2010 e già le casse scolastiche risultano vuote, in attesa di finanziamenti che, quando arrivano, sono ridotti ai minimi termini. Le stesse supplenze vengono assicurate quando si può.

Dai numerosi documenti che arrivano dalle scuole e dai dirigenti scolastici emerge una situazione davvero critica, senza considerare i crediti che gli istituti vantano nei confronti dello Stato e dei quali si fa fatica a tenere il conto e ad avere importi attendibili.

Siamo alla frutta - dicono diverse scuole che, per dimostrarlo, hanno inscenato la protesta della carte igienica, perché, a loro dire, mancano i soldi per comprare anche quella.

A Milano, Bologna e in altre città, proprio per protestare contro la riduzione dei finanziamenti, sono state messe in atto davanti agli uffici scolastici manifestazioni con rotoli di carta igienica.

Il funzionamento e l'autonomia delle scuole chiedono una diversa e concreta attenzione da parte del ministero dell'istruzione, affinché intervenga su quello dell'economia per scongiurare la fine dell'asino.  

 

4. Dove sono i regolamenti delle superiori?

Spulciando tra le attività del Capo dello Stato non vi è traccia ancora della promulgazione dei tre regolamenti di riforma delle superiori, a distanza di oltre un mese dalla stesura definitiva dei testi, ma sul sito del Miur un secco comunicato di sabato scorso, 19 marzo, anticipa (il fatto è inconsueto) l'informativa del Quirinale sulle attività del presidente Napolitano: i regolamenti sono stati firmati il 14 marzo scorso e restituiti alla Presidenza del Consiglio per il successivo inoltro alla Corte dei Conti.

Cadono in questo modo le illazioni che davano per incerto il percorso di formalizzazione dei tre regolamenti a causa di presunte criticità dei testi e accertamenti suppletivi voluti dal Ministero dell'Economia e Finanze.

Ricordiamo che i regolamenti, adottati in seconda lettura dal Consiglio dei Ministri il 4 febbraio scorso, sono stati oggetto di verifica da parte dei ministeri competenti prima di essere resi noti con pubblicazione dei testi e dei numerosi allegati il 12 febbraio.

Mancano ora la registrazione da parte della Corte dei Conti e la conseguente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ma la procedura definitiva ora dovrebbe essere in discesa.

Con le iscrizioni prossime alla scadenza fissata al 26 marzo sarebbe stato meglio per tutti disporre di situazioni definite anche formalmente, ma va detto che anche l'anno scorso, per le iscrizioni alle scuole del primo ciclo riordinate per effetto delle leggi di riforma del 2008, il regolamento era noto soltanto nel suo testo ufficioso e non aveva ancora avuto la formale definizione prevista (promulgazione del Capo dello Stato, registrazione della Corte dei Conti e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale), ma ciò non aveva impedito di portare a termine le iscrizioni e di procedere poi all'approntamento delle altre misure di accompagnamento.

 

5. Iscrizioni alle superiori: recupero dei tecnici e dei professionali?

A pochi giorni dalla chiusura delle iscrizioni alle prime classi della scuola secondaria riformata, ci si chiede se le innovazioni introdotte modificheranno gli orientamenti delle famiglie per le scelte del tipo di scuola per i loro figli.

È difficile che i cambiamenti, non pienamente noti alla maggioranza delle famiglie, li orientino verso scelte alternative a quelle programmate da tempo. Dovrebbe, quindi, essere confermata la tendenza di questi ultimi due-tre anni che hanno visto una lieve, ma costante flessione delle iscrizioni per i licei, già al centro delle scelte nei primi anni di questo ultimo decennio.

Da due-tre anni, per contro, tecnici e professionali sembrano in lieve recupero, dopo che i primi per molti anni sono andati in caduta libera (nel 1995-96 il 40% dei ragazzi usciti dalla scuola media sceglievano l'istruzione tecnica, ma dieci anni dopo quella scelta era ristretta a poco più del 33%).

Per il 2009-10 (il dato è ancora ufficioso) aveva scelto l'istruzione tecnica il 34,2%; per il nuovo anno vi potrebbe essere un ulteriore incremento portando la scelta dei nuovi tecnici verso il 35% dei ragazzi interessati.

Nei licei, sia classici che scientifici, dopo il boom iniziale dei primi anni 2000, è in atto una lieve flessione che ha portato per l'anno in corso (si tratta sempre di dati ufficiosi) al 9,5% di ragazzi che si sono iscritti al primo anno dei classici (nel 2005 aveva fatto quella scelta il 10,2%) e al 21,3% di ragazzi che hanno preferito l'iscrizione agli scientifici (dove nel 2006 si era toccata la punta massima del 22,1%).

Costanti negli ultimi anni, con lieve tendenza all'incremento, gli ex-istituti magistrali che in questo anno scolastico hanno raggiunto il massimo di gradimento con il 7,8% di ragazzi del primo anno delle superiori che hanno optato per quella tipologia di scuola ricca di sperimentazioni diverse con un'offerta formativa interessante.

 

6. Scuola & elezioni/1. Dibattito rovente

In questa campagna elettorale per le elezioni regionali, divenuta per vari aspetti un test sulla salute del governo e dell'attuale maggioranza, il confronto tra le forze politiche si sta facendo sempre più aspro e le reciproche ragioni (e contestazioni) assumono spesso il format semplificato - e a volte  semplicistico - richiesto dai mezzi di comunicazione di massa.

E' così anche per la politica scolastica (meno per quella universitaria), che viene condannata in blocco dall'opposizione come un'operazione di tipo esclusivamente economico ("solo tagli"), mentre viene difesa altrettanto in blocco dal governo e dalla maggioranza come un'operazione che migliora la qualità dell'offerta formativa.

Lo si è visto anche in occasione del dibattito sulla scuola trasmesso giovedì scorso dal GR Parlamento, con l'intervento di parlamentari della maggioranza e dell'opposizione. Dibattito al quale ha partecipato anche Tuttoscuola, che ha visto sostanzialmente eluso il suo invito a individuare un terreno di incontro, o almeno di confronto costruttivo, che vada al di là delle reciproche diffidenze e propagande.

C'è da augurarsi che dopo le elezioni, eliminate le tossine e le semplificazioni della campagna elettorale, si torni a cercare in Parlamento - la sede più adatta per un'operazione di questo genere - quei punti di ampia convergenza (esempi: valutazione, carriera, merito, formazione, innovazione, e relativi investimenti) senza i quali il Paese continuerà a non identificarsi in una scuola che considererà di parte, e non di tutti.        

 

7. Scuola & elezioni/2. Scenari del dopo elezioni

Se le prossime elezioni non avranno ripercussioni sugli attuali equilibri politici, e sempre che le complicate vicende della vita politica italiana non li rimettano in discussione, il governo dovrebbe avere ben tre anni di tempo, da oggi alle elezioni politiche del 2013, per realizzare i suoi programmi, compresi quelli riguardanti la scuola e l'università.

Non ci saranno infatti in questo periodo elezioni importanti, come le europee che si sono svolte l'anno scorso o le regionali indette per il prossimo 28 e 29 marzo, dal cui esito potrebbero scaturire conseguenze politiche; l'attuale governo dispone di un'ampia maggioranza; l'attuale opposizione, e all'interno di essa il PD, hanno bisogno di tempo per costruire una solida alternativa (un po' come accadde a Mitterrand in Francia).

Se il quadro politico resterà sufficientemente stabile, le riforme della scuola targate Gelmini avranno abbastanza tempo per radicarsi nella scuola, almeno per quanto riguarda gli aspetti strutturali, gli ordinamenti intesi come contenitori: quattro anni per il primo ciclo, tre per il secondo, cinque per il "sistema di istruzione e formazione" a guida regionale.

Tre anni anche per definire con le Regioni il complesso e delicato (sia sul piano politico che su quello istituzionale) sistema di relazioni richiesto dall'attuazione del Titolo V della Costituzione. Operazione che potrebbe andare in porto anche sulla base del buon lavoro di preparazione fatto finora.

 

8. Scuola & elezioni/3. Ma la qualità va oltre la legislatura...

Altro discorso è quello che riguarda il miglioramento dei risultati, che passa attraverso processi di più lunga durata come la ridefinizione degli obiettivi di apprendimento in termini di competenze, la formazione iniziale e in servizio dei docenti, l'assestamento dell'autonomia delle scuole, la valutazione di sistema (e anche didattica, assai antiquata), la nuova governance delle scuole, l'impatto delle nuove tecnologie sul rapporto insegnamento/apprendimento, una carriera per i docenti più articolata e motivante, politiche efficaci di riequilibrio dei gravi gap territoriali e per tipologia di scuola frequentata che emergono dalle indagini internazionali e nazionali, piena integrazione degli alunni stranieri.

Temi sui quali esistono ricerche e proposte, in molti casi convergenti: dal 1° Rapporto sulla qualità nella scuola di Tuttoscuola al Quaderno bianco MPI-MAE del governo Prodi, dai contributi di Treellle fino al recentissimo rapporto sulla scuola della Fondazione Agnelli.

Su un punto sembra esserci una piena e convinta condivisione di tutti: il miglioramento della qualità e dell'equità della nostra scuola dipende assai più dallo sviluppo positivo dei processi di medio-lungo periodo che dalla riforma dei contenitori. E sulla definizione e implementazione di questi processi, destinati ad interessare più legislature e governi, andrebbe cercata la massima condivisione sul piano politico e scientifico.


 

Roma, 23 marzo 2010

 

Scuola, nuovi licei: al via sul web consultazione

su Indicazioni nazionali

 

Come già sperimentato in occasione della revisione del regolamento sui licei, inizia oggi una vasta consultazione che coinvolgerà associazioni professionali e disciplinari, esperti, accademici, sindacati, insegnanti, forum degli studenti e la pubblica opinione.

 

Sul sito http://nuovilicei.indire.it è possibile, fino al 23 aprile, commentare le Indicazioni nazionali sugli obiettivi specifici di apprendimento dei licei. La bozza del testo è consultabile sia per ogni singola disciplina che per ogni tipo di liceo.

 

I risultati del dibattito saranno valutati da una Commissione appositamente nominata che avrà altresì il compito di procedere all'armonizzazione delle Indicazioni nazionali del primo ciclo dell'Istruzione.

 

 

da ilsussidiario.net

 

La Gelmini "riforma" Invalsi e Ansas, ma con massicce dosi di statalismo

Onorato Grassi

 

martedì 23 marzo 2010

 

In gran parte dei paesi europei, così come anche in altri continenti, esistono organismi ed enti preposti alla valutazione e al sostegno del sistema scolastico. Tali istituzioni operano, generalmente, senza grandi clamori, svolgendosi le loro attività in tempi relativamente lunghi e producendo effetti impercettibili alla vista e alle orecchie dell’opinione pubblica, spesso soggetta alle rigide esigenze del newsmaking e alle sollecitazione di polemiche artatamente create. Tuttavia, la loro funzione è particolarmente preziosa nella governance della scuola e per coloro che vi insegnano e studiano, specialmente in tempi, come quelli attuali, di trasformazione e di passaggio da consuetudini consolidate a strutture e condizioni “riformate” sulla base di progetti sia nazionali sia internazionali.

 

In ciascun paese tali organismi seguono le politiche di sviluppo della scuola, non necessariamente coincidenti con quelle governative, le quali, di solito, coprono un lasso di tempo limitato e sono soggette a condizionamenti estranei al mondo dell’istruzione. Può così accadere che, in paesi ove vige un forte centralismo, la loro azione sia volta al decentramento e alla costruzione di reti partecipative, mentre, in situazioni di spiccata autonomia, acquisti maggiore importanza la loro capacità di costruire elementi comuni e di stabilire regole condivise.

 

In Italia esistono due istituti di questo genere: uno, noto anche alla cronaca per i test somministrati in questi ultimi anni agli alunni di molte scuole italiane, è l’Invalsi, le cui attività, prima indirizzate alla valutazione del sistema scolastico italiano, si sono, da qualche anno, concentrate sulla valutazione degli apprendimenti; l’altro, o, per meglio dire, gli altri, sono 18 istituti regionali (Irre) e un Istituto nazionale (Indire), che il legislatore ha voluto riunire, con la Legge finanziaria del 2007, in un unico ente o Agenzia (Ansas). Le attività di questo secondo organismo riguardano la ricerca educativa, la formazione degli insegnanti, la documentazione, il sostegno alle scuole per l’attuazione dell’autonomia scolastica.

 

Sul futuro di questi due organismi, sulla loro natura, funzione e consistenza si sta da tempo discutendo e si discute tuttora, giacché le opinioni non sono concordi né sono state date, da parte dei ministri che si sono succeduti alla guida del ministero dell’Istruzione, indicazioni sempre chiare e univoche.

 

Tralasciando, per ora, le questioni specifiche di ciascun organismo, si possono distinguere due fondamentali posizioni alternative, spesso in conflitto fra di loro nei momenti in cui si è trattato di definire la fisionomia culturale, istituzionale e politica dei due enti in questione.

 

(1) Secondo i sostenitori della prima posizione, i due enti - che dovrebbero essere entrambi “Istituti” e non “Agenzie”, con compiti puramente operativi e esecutivi - dovrebbero avere autonomia gestionale e progettuale, fondata su sicure basi scientifiche e ad esse conformi nell’esercizio delle proprie attività. Se l’esigenza si giustifica ampiamente per un ente di valutazione, la cui indipendenza dal potere politico e ministeriale, nonché dai committenti in genere, è condizione necessaria, anche se non sufficiente, della correttezza del proprio operare, tale prerogativa risulta ugualmente valida anche per un istituto di ricerca che intenda seguire, sostenere e operare in favore della scuola reale quale suo interlocutore non burocratico-amministrativo, ma culturale e scientifico.

 

Apparterebbero a questa posizione - sebbene l’implicazione meriterebbe di essere dimostrata, in altra occasione - l’idea che la valutazione degli apprendimenti scolatici è in funzione della libertà di scelta da parte di studenti, genitori e, anche, di insegnanti, e la convinzione che la fisionomia della scuola deve essere definita nel rispetto del pluralismo culturale e didattico, attuato grazie alla partecipazione attiva di scuole, anche aggregate, e di associazioni di insegnanti, studenti e genitori. Di qui, anche, una forte attenzione al territorio e allo sviluppo di attività nell’ambito regionale.

 

(2) Per i sostenitori della seconda posizione, invece, i due enti devono rientrare nel sistema scolastico governato dal Ministero ed essere direttamente funzionali alla sua azione. In tal modo essi verrebbero a coprire lacune ormai evidenti nelle strutture ministeriali o ad esse collegate, garantirebbero, o si impegnerebbero a garantire, il raggiungimento di obiettivi stabiliti in sede governativa, contribuirebbero a rinsaldare le cosiddette “azioni di sistema”, impiegando le risorse, umane e finanziarie messe a disposizione centralmente, in azioni a breve o medio periodo, soprattutto in ambiti di rilevanza sull’opinione pubblica. In questa prospettiva diviene gioco forza attribuire all’Invalsi compiti di controllo e monitoraggio, in vista degli interventi o correzioni da effettuare per migliorare il sistema, e all’altro ente - la cui figura giuridica e istituzionale, a questo punto, non può essere che quella di una Agenzia, con compiti esclusivamente operativi ed esecutivi - il compito di sostenere interventi individuati dalla direzioni ministeriali, campagne di formazione e di informazione, attività di promozione e sostegno alle innovazioni tecnologiche finanziate dal Ministero.

 

Sebbene le due posizioni possano presentare, su punti particolari, affinità e convergenze, risulta chiara la differenza di fondo e il diverso futuro che, seguendo l’una o l’altra strada, l’Invalsi e l’Agenzia potranno avere.

 

Per un Governo che si definisce “liberale” e “federalista” sembrerebbe coerente, nonché fondata, la scelta della prima posizione. Tuttavia contingenze storiche e condizionamenti di varia natura possono portare verso la direzione opposta. Le scelte dell’attuale ministro dell’Istruzione di emanare un regolamento per l’Agenzia, confermando così quanto varato dal predecessore e conferendo ad essa un ruolo di pura operatività funzionale, la forte dipendenza dal Ministero, ossia da settori di esso, che viene progressivamente richiesta ai due enti, la nomina di una Commissione sulla valutazione, che affianchi l’Invalsi, fino a condizionarne lo sviluppo, vanno in questa direzione. E ciò, per questi enti e per la stessa scuola italiana, non è un buon segno.

 

da LASTAMPA.it

 

Come nasce la classifica delle scuole

 

La graduatoria finale delle scuole riflette in modo oggettivo i risultati conseguiti nel primo anno di università dai diplomati di ciascun istituto iscritti agli atenei del Piemonte. Si considerano il profitto (media dei voti agli esami) e la velocità (numero di crediti conseguiti rispetto a quelli dichiarati come impegno annuale). I risultati sono ponderati per tenere conto delle differenze fra gli atenei e le facoltà: vi sono indirizzi più facili o più difficili, e atenei più o meno generosi nelle votazioni. Nella graduatoria entrano in gioco diversi fattori (effetto scuola, caratteristiche individuali degli studenti, effetti territoriali e composizione socio-culturale della scuola), che abbiamo provato a distinguere e articolare.

 

Effetto scuola

L'effetto scuola è la bontà del lavoro svolto da ciascuna scuola per preparare i propri diplomati agli studi universitari, grazie all’organizzazione scolastica, alla qualità dell’offerta formativa e degli insegnanti, alla capacità di orientamento. Dovrebbe essere uno dei fattori più importanti nella scelta di una scuola da parte delle famiglie, come pure nella valutazione da parte dell’amministrazione scolastica.

 

Effetto studenti

Questo parametro considera alcune caratteristiche individuali degli studenti che possono influenzare il rendimento accademico (il genere, il talento scolastico espresso attraverso un voto di maturità «standardizzato», l’eventuale ritardo di iscrizione all’università, l’annata di appartenenza).

 

Effetto territorio

Il contesto territoriale può influenzare i comportamenti e i risultati universitari. Città e provincia sono molto diverse fra loro per condizioni economiche e offerta formativa, ma anche per modelli culturali e controllo sociale. L'abbondanza di opportunità lavorative subito dopo il diploma in una determinata area può spingere solo gli studenti davvero motivati a intraprendere gli studi universitari; al contrario, la difficoltà a trovare lavoro subito può spingere a scegliere l'università come temporaneo «parcheggio». Inoltre, l’investimento per chi studia «fuorisede» è molto più oneroso di quello di chi ha la facoltà sotto casa e questo può riflettersi nell'impegno profuso negli studi universitari.

 

Effetto indirizzi

Nella scuola secondaria superiore italiana, i diversi indirizzi (licei, tecnici, professionali) sono fortemente differenziati in base alle condizioni socio-economiche di chi li sceglie e frequenta. Ad esempio, i figli delle famiglie più benestanti e colte si concentrano tipicamente nei licei classici. La concentrazione in una data scuola di studenti di origine socio-culturale simile può innescare effetti di gruppo (peer effects) positivi o negativi, che possono moltiplicare le capacità o i limiti di apprendimento individuali.

 

Tasso di prosecuzione negli atenei piemontesi

Per ogni scuola indichiamo il numero di diplomati che proseguono in atenei piemontesi e sono oggetto della nostra analisi. Nel grafico la presenza di un solo «omino» indica una percentuale inferiore o uguale al 20 per cento, quella di cinque «omini» una percentuale superiore all’80 per cento.

 

 

Da Disal

mercoledì 24 marzo 2010

 

Nuova Commissione per i Licei

Nel prendere atto della nuova commissione nominata dal Ministro per la stesura definitiva delle Indicazioni Nazionali per i Licei, non possiamo che constatare per l’ennesima volta la prassi ministeriale di escludere ogni rapporto e collaborazione con le Associazioni professionali dei dirigenti e docenti e (con l’unica eccezione di alcune iniziative della Direzione dell’Istruzioone Tecnica e Professionale), il solito metodo di non coinvolgere le voci della scuola reale, con le conseguenze che abbiamo già visto e che subiremo negli sviluppi del Riordino delle superiori. Ancor più ci preoccupa la presenza di alcuni docenti universitari che non hanno perso occasione in passato di manifestare pubblicamente opinioni di scarsa stima al mondo della scuola e delle sue professioni in genere (cioè senza eccezioni). (DiSAL)

 

22 esperti per la redazione finale delle Indicazioni dei Licei

Commissione nominata dalla Gelmini per vagliare le proposte on-line

Tuttoscuola – 23 marzo 2010

Con decreto ministeriale n. 26 dell'11 marzo scorso è stata costituita la Commissione di studio per definire le Indicazioni nazionali per i nuovi Licei, anche alla luce del contributo di associazioni, sindacati, docenti e dirigenti.

Dopo aver raccolto e vagliato i contributi emersi dal dibattito (che potranno arrivare via on-line fino a tutto il 23 aprile prossimo sul sito Ansas/Indire), la Commissione passerà alla redazione finale dei testi.

Successivamente la Commissione procederà al coordinamento delle Indicazioni dei Licei con quelle del primo ciclo di istruzione per le quali da quest'anno le scuole primarie e secondarie di I grado sono in fase di approfondimento e sperimentazione.

La Commissione ministeriale di studio è così composta:

Prof. Sergio BELARDINELLI Docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi -Dipartimento di Sociologia- Università degli Studi di Bologna.

Prof. Carlo Maria BERTONI Presidente della Conferenza Nazionale dei Presidi di Scienze e Tecnologie - Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

Prof. Emanuele BESCHI Docente presso il Conservatorio di Milano.

Dott. Giovanni BIONDI Capo Dipartimento per la Programmazione e la gestione delle risorse umane e strumentali.

Prof. Giorgio BOLONDI Docente di geometria - Facoltà di Economia e Commercio - università degli Studi di Bologna.

Dott. Max BRUSCHI Consigliere del Ministro - Coordinatore.

Prof. Marco BUSSETTI Dirigente tecnico USR Lombardia - Milano.

Prof. Giorgio CHIOSSO Docente di Storia dell'Educazione - Facoltà di Scienze della Formazione - Università degli Studi di Torino.

Dott. Mario Giacomo DUTTO Direttore Generale per gli Ordinamenti scolastici e per l'autonomia scolastica.

Prof. Paolo FERRATINI Esperto - Docente di lettere nei licei - USR Emilia Romagna.

Prof. Elio FRANZINI Presidente della Conferenza Nazionale dei Presidi di Lettere e Filosofia - Università degli Studi di Milano.

Prof. Giorgio ISRAEL Professore di Storia della Matematica - Università degli Studi di Roma "La Sapienza" - Roma.

Prof.ssa Silvia KANIZSA Docente di Pedagogia generale Università degli Studi Bicocca - Milano.

Prof.ssa Gisella LANGE' Dirigente tecnico USR Lombardia - Milano.

Prof.ssa Nicoletta MARASCHIO Presidente Accademia della Crusca - Firenze.

Prof. Antonio PAOLUCCI Direttore Musei Vaticani Roma.

Prof. Andrea RAGAZZINI Docente storia dell'arte - USR Toscana - Firenze.

Prof. Alessandro SCHIESARO Docente di letteratura latina - Università degli Studi "La Sapienza"di Roma.

Prof. Luca SERIANNI Docente di Storia della lingua italiana - Università degli Studi "La Sapienza" di Roma.

Prof. Nicola VITTORIO Docente di astronomia e astrofisica - Dipartimento di Fisica - Università degli Studi di Tor Vergata - Roma.

Prof. Elena UGOLINI Membro Comitato Indirizzo Invalsi - Bologna.

Dott. Elisabetta MUGHINI Ansas - Firenze.

Come già avvenuto per la Cabina di regia che ha elaborato la bozza delle Indicazioni, coordinatore della Commissione sarà il consigliere del ministro, Max Bruschi.

 

Nuove classi di concorso: pronte le aggregazioni

 

Un professore per tutte le stagioni

ItaliaOggi – 24 marzo 2010

di Antimo Di Geronimo

La ricetta del ministro per fronteggiare i tagli alle superiori. Pronte le nuove classi di concorso

I docenti delle superiori che perderanno ore di lezione per effetto della riforma potranno essere ricollocati in insegnamenti affini. Per il momento si partirà solo dalle prime classi e poi si passerà gradualmente, di anno in anno, anche alle classi successive, fino a quando la riforma andrà a regime su tutte le classi. In ogni caso, entro fine mese, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, il ministro dell'istruzione, Mariastella Gelmini, emanerà una circolare con la quale spiegherà agli uffici periferici quali saranno le classi di concorso sui cui incideranno e i tagli e in quale misura. Nel frattempo sono già pronti i prospetti delle prime classi, con le indicazioni circa la confluenza delle vecchie classi di concorso nei nuovi insegnamenti. In buona sostanza, dunque, il criterio che l'amministrazione centrale intende seguire è quello della fungibilità delle abilitazioni dello stesso ceppo disciplinare, eliminando dove possibile gli steccati che impedivano l'utilizzo intercambiabile di docenti in possesso di abilitazioni riguardanti materie affini.

 

Licei

Nei licei, per esempio, i docenti di filosofia e storia della classe di concorso A037 potranno essere utilizzati insieme ai docenti di filosofia della classe di concorso A036. Fatta eccezione per il liceo classico, dove tutto resterà più o meno come prima . E dunque, la storia e la filosofia continueranno ad essere insegnate solo da docenti in possesso dell'abilitazione per la classe A037. Idem per lettere, che continuerà ad essere affidata ai docenti in possesso dell'abilitazione in italiano e latino (classe A051) o latino e greco (A052). Il tutto con l'ulteriore limite del greco, che continuerà ad essere insegnato solo dai docenti titolari dell'abilitazione per la classe A052. Una maggiore flessibilità nell'utilizzo delle classi di concorso del gruppo lettere si registrerà, invece nei licei artistici, dove queste discipline potranno essere insegnate sia dai docenti in possesso dell'abilitazione nella classe A050, che A051. Gli insegnanti di lettere faranno concorrenza anche ai docenti di storia. Questa disciplina, infatti, potrà essere insegnata non solo dai docenti in possesso dell'abilitazione specifica, ma anche dai docenti di lettere. Più rigido, invece, sarà l'impiego dei docenti di matematica che in quasi tutti gli indirizzi del liceo dovranno essere in possesso dell'abilitazione per insegnare anche la fisica (A049). Con la sola eccezione dello scientifico dovrà potranno essere utilizzati anche docenti in possesso del'abilitazione sulla classe A047. La fungibilità sarà massima, invece per le classi di concorso tecniche del liceo artistico, i cui docenti saranno impiegati con molta elasticità.

 

Professionali

Negli istituti professionali, nel ceppo di discipline comuni, la fungibilità riguarderà la matematica, che potrà essere assegnata indistintamente ai docenti in possesso dell'abilitazione nelle classi A047, A048 e A049.Le altre discipline comuni, invece, rimarranno saldamente ancorate alle classi di concorso specifiche. I docenti di matematica della classe A049 faranno concorrenza anche ai docenti di informatica (A042). Le ore di questa materia infatti potranno essere assegnate, indistintamente, sia ai docenti di informatica propriamente detti che a quelli di matematica (sempre della A049). Per contro, è prevista la massima fungibilità tra i docenti di chimica della classe A012 e della classe A013, che saranno praticamente intercambiabili. Massima fungibilità anche per gli insegnanti tecnico pratici delle classi di concorso individuate con la lettera «C».

 

Tecnici

Nei tecnici la fungibilità delle classi di concorso, oltre alla matematica riguarderà anche la chimica, tramite l'utilizzo intercambiabile dei docenti delle classi A012, A013 e A038. I docenti di informatica, invece, subiranno la concorrenza dei docenti della classe A075 e della classe A034. Nell'indirizzo «informatica e telecomunicazioni» i docenti di informatica faranno concorrenza, invece, ai docenti di elettronica ed elettrotecnica delle classi A034 e A035.

 

Da Disal

giovedì 25 marzo 2010

 

Alla fine del biennio quali competenze certificare?

La certificazione delle competenze: problemi aperti

ScuolaOggi – 19 marzo 2010

di Pasquale D’Avolio

Come è noto a partire da quest’anno al termine del biennio dell’obbligo le Scuole dovranno rilasciare la certificazione delle competenze secondo il modello certificativo predisposto dal Ministero e approvato dalla Conferenza Stato-Regioni del dicembre scorso. “I consigli di classe,” così recita il Decreto” al termine delle operazioni di scrutinio finale, per ogni studente che ha assolto l’obbligo di istruzione della durata di 10 anni, compilano una scheda, secondo quanto riportato nella seconda pagina del modello di certificato di cui al comma 1 L’obbligo della certificazione risale al Decreto 22 agosto 2007 “Linee guida per l’assolvimento dell’obbligo” e si aggiunge a quello già previsto per l’Esame di Stato del I ciclo secondo quanto prescrive l’art. 3 della l. 189/2008 il quale recita: “L'esito dell'esame conclusivo del primo ciclo è espresso con valutazione complessiva in decimi e illustrato con una certificazione analitica dei traguardi di competenza (sott. mia) e del livello globale di maturazione raggiunti dall'alunno”.  

A distanza di due anni gli studenti si ritroveranno a essere certificati la prima volta sui “traguardi di competenza” e una seconda al termine del biennio delle superiori (su questo vedi dopo). A dire il vero la certificazione delle competenze è prevista anche nella scuola primaria, ma essa si identifica  nella valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti. Sempre l’art. 3 della 169 al comma 1 prevede infatti che “La valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite sono effettuate mediante (sott. mia) l'attribuzione di voti espressi in decimi e illustrate con giudizio analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall'alunno”. Vale a dire che i voti e le competenze finiscono per identificarsi (!), laddove nella scuola media la votazione complessiva in decimi viene “ illustrata” con la certificazione dei traguardi di competenza. Non basta: il Decreto per l’obbligo prevede che “ “Le schede riportano l’attribuzione dei livelli raggiunti, da individuare sulla base della valutazione finale degli apprendimenti che, per quanto riguarda il sistema scolastico, è espressa in decimi ai sensi del decreto del Presidente della repubblica n.122 del 22 giugno 2009  Da una parte quindi la valutazione degli apprendimenti viene “illustrata” con la certificazione, dall’altra i livelli di competenza si individuano “sulla base” della valutazione numerica e infine nella primaria la certificazione avviene “mediante” i voti. Cosa si debba intendere per “illustrare” o “sulla base” (il mediante, riconosciamolo, è più chiaro) è quanto cercherò di trattare successivamente. Attendiamo infine che sia elaborato il modello certificativo delle competenze al termine dell’Esame di Stato del II ciclo, previsto DPR n.323/98 (Regolamento sul Nuovo Esame di Stato) Legge 425/97 e mai prodotto. Come verrà compilato?

Mi scuso per questi continui rimandi ai testi legislativi, ma lo scopo era quello di dimostrare come nei palazzi di viale Trastevere regni una certa confusione o almeno manchi una regia unitaria complessiva su cosa si debba intendere per “certificazione delle competenze” ai vari livelli di istruzione, effetto anche del sovrapporsi di norma lontane fra loro nel tempo, anche se .. vicine nello spazio.

 

PROBLEMI APERTI

Il decreto solleva inoltre altre questioni non meno importanti quali:

A)               VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI E CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE

Il primo nodo da sciogliere, a mio parere e non solo, è il rapporto tra valutazione degli apprendimenti e certificazione delle competenze: quale è il nesso che si stabilisce tra i due documenti? Se si vogliono evitare difformità o sovrapposizioni tra i due tipi di giudizio,occorre scegliere. Nel primo caso infatti si rischia di mettere in crisi gli studenti e i genitori, ma soprattutto gli insegnanti (qual è il giudizio “vero”?), nel secondo caso l’operazione risulta pleonastica.  Di quali “apprendimenti” si tratta nel primo caso? L’equivoco sta ancora più a monte e risiede nel separare conoscenze, abilità e competenze, come se queste ultime fossero qualcosa di diverso e di aggiuntivo rispetto alle conoscenze e alle abilità. Purtroppo è un equivoco risale agli stessi documenti europei i quali continuano a usare la “triade”, laddove dovrebbe essere ormai acquisito che se “Le “Competenze” indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio “ (si noti la ripetizione del termine “capacità” in due accezioni differenti) come si definiscono nel “Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli” non dovrebbero esserci due modelli da utilizzare, ma semplicemente quello delle competenze. La cosa non è semplice, me ne rendo conto, perché è lo stesso sistema di valutazione ( e di insegnamento come dirò dopo) ad essere messo in discussione. Per il momento quindi occorre tenersi la duplice valutazione, quella degli apprendimenti e quella delle competenze, con tutti i problemi, di ordine eminentemente pratico e giuridico, a ciò connessi

 

B)                QUANDO CERTIFICARE?

La scheda certificativa, dice il Decreto, dovrà essere compilata “per ogni studente che ha assolto l’obbligo di istruzione della durata di 10 anni” anche se lo studente non la richiede e ad esempio prosegua negli studi (cosa che oggi avviene nel 75% dei casi). Ma l’obbligo decennale non comporta necessariamente che lo studente si trovi alla fine del biennio. L’obbligo decennale è stato sempre associato a un percorso che giunge ala fine del biennio delle superiori, il che non è vero in non pochi casi, ben più di quel 25% che non arriva al diploma. Alla fine dei 10 anni “obbligatori”, vale a dire a 16 anni, molti studenti hanno appena concluso il primo anno delle superiori, o addirittura sono in terza media (basta ripetere un anno e non è proprio una sparuta minoranza). Lo studente che alla fine del I anno delle superiori (o addirittura alla fine della III media) non ha più il vincolo dell’obbligo, qualora decida di non proseguire, potrà richiedere la “certificazione delle competenze”: a chi? Un bel rebus!

 

C)                LA QUESTIONE DEGLI STANDARD

Il modello certificativo è unico e vale per tutti i tipi di scuola. Si presuppone quindi che i livelli di competenza disciplinari debbano valere sia per il ragazzo che frequenta il Liceo classico che per chi frequenta i corsi di formazione: esistono degli standard definiti? Non mi risulta. Così può avvenire e indubbiamente avverrà che un livello “base” nella competenza linguistica di uno studente liceale (considerato che essi vanno individuati “sulla base della valutazione finale degli apprendimenti” come si diceva prima) risulterà equivalente se non superiore a quello “elevato” di uno studente delle professionali. Mi si risponderà che le Linee guida sull’obbligo prevedono l’”equivalenza formativa” di tutti i percorsi. Belle parole! Ma i “risultati di apprendimento”  attesi, come è noto, variano a seconda del tipo di scuola superiore, e non può essere altrimenti. Si dovrebbero stabilire dei “livelli” in rapporto alle singole competenze o meglio degli standard finali uguali per tutti, cosa che non mi pare sia chiarita nel modello di scheda.

 

D)               QUALE RAPPORTO TRA “COMPETENZE CHIAVE” E “COMPETENZE DISCIPLINARI”?

Il modello proposto evita bellamente il problema, anche perché la questione non è stata ancora chiarita neanche a livello scientifico e pedagogico-didattico . Cosa dice infatti il modello a tal proposito? “Le competenze di base relative agli assi culturali sopra richiamati sono state acquisite dallo studente con riferimento alle competenze chiave di cittadinanza di cui all’allegato 2 del regolamento citato in premessa”e passa quindi ad elencarle (le famose otto voci delle Linee guida). Vista la situazione anche a livello europeo, poco chiara su questo punto, meglio non infierire. D’altronde nelle Linee guida del 2007 c’è un passo molto indicativo del problema ed è laddove si afferma che gli Assi costituiscono “il tessuto” per la costruzione di percorsi di apprendimento orientati all’acquisizione delle competenze chiave. Bel problema indubbiamente, direi oltre che impegnativo molto “affascinante”; salvo che richiedere ai docenti di risolverlo è davvero improbo

 

CERTIFICAZIONE GLOBALE E ANALTICA.  Scheda anni 80

E)                CURRICOLI-COMPETENZE

Infine mi piace accennare al problema di fondo e che sta a monte (mi si passi l’ossimoro lessicale) di tutto il problema, vale a dire il nesso Curricoli-competenze.  I due termini sono legati tra di loro: è possibile “certificare” competenze senza aver costruito un curricolo per competenze? A che punto siamo in questo ambito? Le sperimentazioni avviate già da due anni (in quante scuole?) hanno prodotto qualcosa di valido che si possa socializzare? Sarebbe questa la domanda da porre non solo al MIUR. In sostanza le due domande finali potrebbero essere : Una volta identificate le competenze richieste, come svilupparle mediante l’azione  didattica? Come si dimostra il possesso delle competenze richieste? Solo al termine del processo di insegnamento-apprendimento si sarebbe in grado di valutare-certificare le competenze. Ma così non è!

 

CONCLUSIONI

Da parte di molti Collegi Docenti si esprimono dubbi e perplessità circa l’”obbligo” di rilasciare le schede al termine di quest’anno scolastico. Ritengo che non ci si possa sottrarre a tale impegno, previsto da un Decreto, anche se la questione posta al punto B meriterebbe una chiarificazione da parte del MIUR. Quanto alle altre questioni ritengo siano comunque risolvibili con “buon senso”, che non vuol dire fare le cose “all’italiana”. In particolare per il problema della “doppia valutazione” (punto A) lo sforzo dovrebbe essere quello di tenere distinta la valutazione numerica in pagella, che rappresenta il risultato finale del percorso scolastico annuale, comprendente prove di verifica e altri elementi che concorrono al voto ai sensi della normativa vigente (impegno, partecipazione, progressione negli apprendimenti), dalla certificazione delle competenze, non necessariamente legata alla “valutazione numerica” Qualora ci fossero difformità tra voti e livelli occorrerà spiegare l’origine e le motivazioni di tale differenziazione e la cosa non mi sembra di difficile  soluzione. Resta l’impegno a superare  negli anni futuri la discrasia tra “valutazione delle competenze” e “programmazione per competenze”, che è il vero cuore del problema..

Pasquale D’Avolio, D.S. in quiescenza

giovedì 25 marzo 2010

Formazione iniziale docenti: bozza e parere Consiglio di Stato

Nella seduta del giorno 19 marzo 2010 Il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole riguardo lo schema di regolamento dal titolo “Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado”. In allegato lo Schema di regolamento spedito dal Ministero al Consiglio di Stato, e il Parere dello stesso.

 


 

 Schema di regolamento e parere Consiglio di Stato

 

Schema di regolamento per la formazione per Consiglio di Stato

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Parere Consiglio di Stato - Regolamento formazione nsegnanti

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da ItaliaOggi

 

Tecnici, figli di un dio minore

di Alessandra Ricciardi

 

Il 26 marzo prossimo scade il termine per le iscrizioni: i genitori devono decidere al buio

 

Anche questa volta ultimi. Gli studenti di terza media che il prossimo anno si iscriveranno agli istituti tecnici riformati (c'è tempo fino a venerdì prossimo 26 marzo), stesso discorso vale per i professionali, e gli insegnanti che lavorano in questo stesso livello di istruzione, e che devono fare la scelta dei nuovi libri di testo da far adottare, navigano al buio. A differenza di quanto succede nei licei, per loro di programmi neanche a parlarne. Le indicazioni nazionali che delineano i nuovi saperi della scuola superiore targata Gelmini, e pubblicati dalla scorsa settimana sul sito dell'Indire, valgono infatti solo per i percorsi liceali. Si tratta di indicazioni importanti, perché definiscono il nucleo di saperi e la loro scansione temporale da cui scaturiranno le conoscenze fondamentali che gli studenti dovranno possedere al termine del percorso di studi. Eppure la commissione preposta alla definizione dei programmi per i tecnici aveva iniziato il suo lavoro prima di quella che poi si è insediata sui licei. Ma pare, raccontano fonti vicine al ministero, che a intralciare il cammino della commissione sia sta un cambio in corso d'opera dell'impostazione. Che ha costretto a rifare dall'inizio il lavoro di semplificazione e razionalizzazione delle discipline, per renderlo più simile alla logica che presiede all'impostazione dei programmi dei licei: un profilo generale che comprende una descrizione delle competenze chiave e prosegue con la descrizione degli obiettivi specifici di apprendimento, articolati per nuclei disciplinari relativi ai due bienni e al quinto anno. E gli istituti partono svantaggiati nella mole di lavoro: molte di più le discipline, soprattutto quelle inerenti ai laboratori, ovvero quelle professionalizzanti. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, i programmi dei tecnici non saranno pronti prima di un paio di settimane. Anche per loro dovrebbe essere previsto un periodo di consultazione con insegnanti, genitori e studenti, così come per i licei, e sempre sul sito dell'Indire. Dove per fino a ieri l'apposita sezione per le indicazioni liceali non era ancora attiva. Insomma, i programmi portano un po' di ritardo. Ma presso il ministero sono tranquilli: firmati dal presidente della repubblica i regolamenti sulle nuove superiori, ora si attende solo il parere della Corte dei conti perché la riforma sia ufficialmente definita e possa partire con le carte in regola dal prossimo settembre. I programmi, a questo punto, diventano secondari. Anche perché, grazie all'autonomia didattica dei docenti, non c'è bisogno di essere per niente prescrittivi.

 


da Tecnica della Scuola

 

Ricorso al TAR contro la CM 17 sulle iscrizioni

di R.P.

 

Lo propone il Comitato per la scuola della Repubblica. La circolare prevede l'avvio della riforma mentre i Regolamenti non sono ancora formalmente entrati in vigore. Iniziative legali precedenti non hanno dato esiti significativi.

“Basta con le illegalità”: con questo slogan il Comitato per la scuola della Repubblica lancia in questi giorni una nuova iniziativa tesa a contrastare l’applicazione della “Riforma Gelmini”.

Ad essere presa di mira, questa volta, è la circolare n.17/2010 sulle iscrizioni per la scuola secondaria di II grado che il Comitato intende impugnare davanti al Tar.

La Ministra Gelmini - sostiene il Comitato - ripete quest’anno per la scuola superiore di II grado il percorso illegale che ha sperimentato l’anno scorso per la scuola per l’infanzia e del I ciclo; anche quest’anno ha disposto le iscrizioni sulla base del riordino dell’istruzione secondaria di II grado che però ancora giuridicamente non esiste”.

“Per questo Governo le regole non hanno importanza - è l’accusa - anche quest’anno la Ministra, stravolgendo le regole, dispone le iscrizioni non solo a prescindere dal POF, ma sulla base di un riordino che ancora non c’è e quindi ignorando l’ordinamento attualmente vigente”.

Ma il Comitato non risparmia critiche anche all’opposizione: “A fronte del caos che il comportamento della Ministra ha creato c’era da aspettarsi una mobilitazione di massa e soprattutto una forte iniziativa della Provincia e della Regioni. Purtroppo tutti lamentano il caos ed i ritardi, ma nello stesso tempo stanno ad aspettare”.

In realtà le precedenti iniziative giudiziarie finalizzate a bloccare qualche “pezzo” di riforma sono andate sostanzialmente a vuoto e spesso non hanno raccolto neppure molte adesioni; per esempio il ricorso al TAR proposto lo scorso anno dallo stesso Comitato per la Scuola della Repubblica raccolse 2mila adesioni, un numero tutto sommato modesto se si pensa al forte dissenso che aveva suscitato un anno fa il “taglio” sugli organici della scuola primaria e della secondaria di primo grado.

Il Comitato, comunque, si augura che questa volta “tutte le organizzazioni del mondo della scuola e le istituzioni democratiche possano superare le divisioni e tutte insieme impegnarsi per bloccare questo caotico riordino che penalizza la scuola statale”.

 

 

da ilsussidiario.net

 

Rembado (Anp): attenzione, troppo enciclopedismo non farà un buon liceo

Giorgio Rembado

 

mercoledì 24 marzo 2010

 

La recente diffusione della prima stesura delle Indicazioni nazionali per i licei offre agli “addetti ai lavori” l’opportunità di verificare la rispondenza tra gli ordinamenti rinnovati e gli strumenti operativi per la loro attuazione. Ma fino a che punto le scelte metodologiche e culturali delle Indicazioni sono coerenti con le finalità innovative del Regolamento per i licei? Se, inoltre, il Regolamento disciplina i percorsi liceali per il raggiungimento del Profilo educativo e culturale dello studente, entro che limiti le Indicazioni si rivelano all’altezza di questo scopo?

 

La sfida sottesa alla ratio del Regolamento di riordino dei Licei è finalizzata a introdurre un vero e proprio ripensamento del rapporto tra i processi di apprendimento e di insegnamento. In realtà, però, le Indicazioni non recepiscono ancora del tutto questa sfida, poiché in esse si rileva una esplicita insistenza su ciò che lo studente dovrà sapere e saper fare, dunque sulla prescrittività dei contenuti.

 

Nonostante il fatto che nel dibattito attuale si registri l’urgenza di definire gli standard formativi di riferimento per la valutazione e la certificazione delle competenze (basti pensare al documento relativo all’Obbligo di istruzione, in cui, a partire dalle competenze, vengono declinate le abilità/capacità e le conoscenze), le Indicazioni per i licei affrontano diversamente la questione, in quanto mescolano abilità/capacità, conoscenze e competenze. Un caso a sé è rappresentato dal testo relativo alle Lingue Comunitarie, che si differenzia in virtù di un “illustre precedente”, in quanto fa esplicito riferimento alla struttura del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue.

 

Occorre a questo punto ricordare che, secondo il Regolamento, le Indicazioni nazionali dovrebbero raggiungere un duplice scopo: da un lato, declinare i risultati di apprendimento in conoscenze, abilità e competenze in modo coerente con le linee di tendenza in Europa; dall’altro lato, assicurare il riordino dei percorsi liceali con la piena attuazione dell’autonomia.

 

Ma l’introduzione del Coordinatore della Commissione ministeriale, che ha elaborato le Indicazioni, rimanda a dichiarazioni programmatiche che, pur trovando ormai da tempo un significativo consenso, vengono in parte disattese: l’enciclopedismo tipico dei vecchi Programmi lascia ancora delle tracce evidenti e i quadri di riferimento adottati dalle rilevazioni nazionali e dalle indagini internazionali sugli apprendimenti degli studenti non sono ancora pienamente assunti. Si privilegiano, infatti, elenchi di contenuti che ci riconducono alla vecchia tradizione dei Programmi ministeriali e che tradiscono non solo il nomen, ma anche l’assunto delle Indicazioni nazionali, che dovrebbero consistere nella determinazione degli obiettivi da lasciare poi alla autonoma programmazione dell’attività delle scuole.

 

Molto, allora, resta da fare per rendere le Indicazioni nazionali uno strumento vero di attuazione del Regolamento, in modo particolare in merito ai seguenti aspetti: una declinazione delle competenze, delle abilità/capacità e delle conoscenze non a scopo prescrittivo, ma con funzione di indirizzo all’azione delle istituzioni scolastiche, specialmente mirata alla loro valutazione e certificazione; la coerenza dell’impianto concettuale del primo biennio con gli assi culturali dell’Obbligo di istruzione e con le competenze chiave di cittadinanza; la sottolineatura della valenza formativa riconosciuta alla didattica laboratoriale per tutte le discipline; l’insistenza sulla multidisciplinarità dei percorsi formativi finalizzati alla costruzione delle competenze, proprio in quanto strutture complesse.

 

Si eviterebbe così il rischio di affidare alle scuole medesime il compito di ricavare i descrittori delle competenze dal testo delle Indicazioni così come oggi è strutturato e di riprodurre il fenomeno dell’autoreferenzialità, dell’incertezza e della mancata trasferibilità e riconoscibilità dei crediti formativi anche al di fuori dell’ambito nazionale.

 

Ma tutto questo ci auguriamo possa essere affidato ad una revisione del testo che tenga conto del dibattito che sicuramente la bozza attuale provocherà. La coerenza tra intenti programmatici fondativi del Regolamento e Indicazioni nazionali è, a nostro avviso, la principale garanzia per la riuscita del riordino dei licei e per il loro significativo ammodernamento, dentro al solco della migliore tradizione culturale della nostra scuola.

 

 

26 marzo - da Tecnica della Scuola

 

E' legale chiedere contributi alle famiglie

di Reginaldo Palermo

 

Lo stabilisce il Regolamento dell'Atuonomia del 1999 che aveva espressamente abrogato due disposizioni del vecchio Testo Unico che vietavano di chiedere contributi al momento dell'iscrizione.

“Non chiedete soldi alle famiglie”: il monito del ministro Gelmini indirizzato ai dirigenti scolastici sta facendo molto discutere e in molti si stanno chiedendo se sia lecito, nella scuola dell’obbligo, chiedere contributi alle famiglie (“la scuola pubblica deve essere gratuita”, ha sottolineato il Ministro nel corso della sua intervista al Messaggero).

Ma come stanno le cose, sotto l’aspetto normativo ?

Il secondo comma dell’articolo 143 del TU n. 297 del 1994 conteneva una disposizione molto chiara: “Per l'iscrizione alla scuola elementare non si possono imporre tasse o richiedere contributi di qualsiasi genere”.

Analogamente il terzo comma dell’articolo 176 relativo alla scuola media inferiore recita: “Per l'iscrizione e la frequenza alla scuola media non si possono imporre tasse o richiedere contributi di qualsiasi genere”.

Le due disposizioni, però, sono state successivamente cancellate dal DPR 275 del 1999 (il cosiddetto Regolamento dell’autonomia scolastica), il cui articolo 17 contiene l’elenco di tutte le precedenti norme abrogate.

E, fra le abrogazioni esplicite, ci sono proprio il secondo comma dell’articolo 143 e il terzo comma dell’articolo 176.

Insomma, a norma di legge, chiedere un contributo al momento dell’iscrizione non è solo una prassi ormai diffusa e sostanzialmente obbligata per le scuole, vista la scarsità di fondi provenienti dallo Stato, ma è anche consentito dalla legge e precisamente dal Regolamento dell’autonomia.

Neppure una circolare ministeriale potrebbe dunque mettere fine a questa prassi; per vietare la richiesta di contributi alle famiglie sarebbe necessario modificare il DPR 275 ripristinando le due norme contenute nel TU del 1994.

Ma, francamente, un ritorno al TU appare al momento piuttosto improbabile.

 

 

da Il Giornale

 

La sfida di Formigoni: «Bonus merito» per i prof

di Redazione

 

Il governatore: «Potenzieremo il sistema di valutazione degli insegnanti». Premi economici ai più preparati

 

Milano

«Puntiamo sul merito per non scivolare nella mediocrità». È lo slogan elettorale di Roberto Formigoni per affrontare scuola ed educazione e cercare di coniugare il diritto di tutti a essere istruiti con il diritto dei meritevoli a poter esprimere al meglio i propri talenti.

Nel concreto dei provvedimenti, significa mettere insieme «dote scuola» e «dote merito», opportunità per tutti ma adeguate a ciascuno. La Dote Scuola è un buono che aiuta le famiglie a scegliere con maggiore libertà che tipo di istruzione si vuole per i propri figli e in quale istituto iscriverli. La Dote Merito è un assegno tra i 300 e i 1.000 euro per gli studenti che si sono distinti per bravura.

Il problema dell’attualità riguarda sia la formazione che la selezione di quella che un tempo si chiamava classe dirigente e oggi con un certo disprezzo «casta», ma nel senso migliore sono (dovrebbero essere) persone che hanno voglia di percorrere un cursus honorum spesso faticoso e prendersi onori e oneri dei lavori impegnativi e difficili.

Non sempre si nasce nella famiglia giusta, così il compito di motivare può essere esercitato dallo Stato come supplente o aiutante dei genitori. Formigoni spiega così la filosofia di ciò che è stato fatto in Lombardia. E promette misure più consistenti: «Abbiamo già introdotto la dote merito e un riconoscimento istituzionale a tutti gli studenti meritevoli. Nella prossima legislatura aumenteremo le iniziative rivolte agli studenti eccellenti lombardi, sostenendoli nell’intraprendere un percorso formativo universitario di alto livello, anche all’estero».

La novità più controversa e difficile da ammortizzare è che il discorso riguarda non solo coloro che imparano ma anche coloro che insegnano. Insomma, la Lombardia vuole introdurre la «Dote» anche per i professori. Spiega Formigoni: «Vogliamo valorizzare il merito degli insegnanti attraverso il sostegno alla specializzazione, alla ricerca, alle esperienze internazionali, anche attraverso premialità economiche». Le difficoltà non mancano, in passato è bastato molto meno per scatenare le reazioni risentite dei sindacati della scuola. Il governatore ammette che si tratti di un percorso a ostacoli: «Certo, per fare ciò bisogna che aumenti la cultura della valutazione, del “rendere conto”, peraltro già molto sviluppata nelle scuole lombarde».

Il progetto prevede una collaborazione con il ministro Mariastella Gelmini e con l’Invalsi, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione del ministero: «Potenzieremo il sistema di valutazione dei risultati degli istituti scolastici, in modo da aumentare la consapevolezza delle eccellenze, ma anche delle situazioni di difficoltà su cui intervenire».

Nei piani della Regione la valorizzazione del contratto di apprendistato anche per i ragazzi minorenni. La prima sperimentazione partirà nel settore dell’artigianato: «L’obiettivo è consentire ai giovani di conseguire un diploma o una qualifica non solo a scuola, ma anche attraverso il lavoro. L’apprendistato è un contratto di lavoro importante perché ha una valenza formativa e consente di portare la scuola in impresa e l’impresa nella scuola». C’è poi il capitolo dell’edilizia scolastica, ovvero come risolvere il problema di aule a volte fatiscenti. La promessa è di intervenire anche attraverso l’aiuto dell’ecologia e con l’ambizione di realizzare «strutture modello» per il Paese: «Insieme a Province e Comuni lavoreremo per la completa messa a norma e sistemazione di tutti gli oltre seimila edifici scolastici della Regione. Sarà anche l’occasione per introdurre innovazioni di risparmio energetico nelle scuole per elettricità e riscaldamento; si possono raggiungere risparmi anche di oltre il 60 per cento».

 

 

da Tecnica della Scuola

 

Esami di idoneità e di Stato primo ciclo di istruzione: la circolare del Miur

di Lara La Gatta

 

È stata appena pubblicata sul sito del Miur la C.M. n. 35 del 26 marzo 2010, con la quale vengono fornite istruzioni in merito agli esami di idoneità e di Stato del primo ciclo di istruzione per candidati esterni, nonché indicazioni in materia di trasferimenti ad altra scuola in corso d’anno scolastico.

Le domande di iscrizione per i candidati esterni, sia agli esami di idoneità, sia agli esami di Stato del primo ciclo dovranno essere redatte in carta semplice e corredate dal programma dell’attività svolta. Dovranno essere indirizzate al dirigente scolastico della scuola scelta nel comune di residenza della famiglia oppure della scuola nella quale si insegni la seconda lingua studiata (per gli esami di idoneità limitatamente a quelli per le classi seconda e terza della scuola secondaria di primo grado).

I termini per la presentazione delle domande sono:

 

- 10 aprile 2010 per gli esami di Stato;

- 30 aprile 2010 per gli esami di idoneità.

 

La domanda può essere presentata esclusivamente ad una scuola statale o paritaria.

Nella domanda il genitore, o chi ne fa le veci, deve indicare per quale classe viene richiesto l’esame di idoneità o richiedere l’ammissione all’esame di Stato, ed allegare una dichiarazione sostitutiva di certificazione.

La circolare chiarisce anche le modalità per i trasferimenti in corso d’anno scolastico, da una scuola ad un’altra. La richiesta, adeguatamente motivata, deve essere presentata sia al dirigente scolastico della scuola di prima iscrizione sia a quello della scuola di destinazione. Condizione inderogabile per l’accoglimento e la validità della domanda è l’acquisizione, da parte del dirigente della scuola di destinazione, del nulla osta rilasciato dalla scuola di provenienza. Il dirigente della scuola di prima iscrizione dovrà, altresì, inviare alla scuola di destinazione una dichiarazione relativa alla parte di programma già svolta ed i documenti scolastici dell'alunno (in copia autenticata).

La domanda dovrà essere inviata ad entrambe le scuole anche nel caso in cui l’alunno si sia ritirato da quella inizialmente frequentata. Anche in tale caso è necessario il nulla osta della scuola di provenienza.

Infine, il Miur, nel ricordare che si è concluso il 20 marzo scorso il periodo utile per la registrazione, sul sito dell’Invalsi, di quanto necessario per la gestione della prova nazionale nelle scuole statali e paritarie sedi di esame di Stato, precisa che i dati relativi ad eventuali ulteriori candidati privatisti dovranno essere comunicati, entro e non oltre il 30 aprile 2010, all’Invalsi (che provvederà ad acquisirli a sistema) con fax al numero: 06/94185279, ovvero con e-mail all’indirizzo: esameprimociclo@invalsi.it.

 

 

27 marzo -da LASTAMPA.it

 

Come leggono i ragazzi oggi

Cosa interessa di più e attraverso quali supporti

 

ROMA

A quanti stimoli comunicativi contemporanei sono sottoposti oggi i giovani oltre a leggere? In base alla rielaborazione dell’ufficio studi Aie sul technoday dell’Osservatorio permanente contenuti digitali, sembra che i libri continuino a far parte della modernità delle nuove generazioni: usano più Internet, Facebook, iPod, consumano e si scambiano musica, cinema, hanno un’intensa attività nel tempo libero, ma leggono comunque di più dei loro genitori. I libri fanno parte del loro mondo, magari non più disposti in bell’ordine sulla scrivania. E fanno parte del loro mondo anche perché gli editori hanno investito molto in “innovazione di prodotto”: esplorazione di nuove fasce di età, generi, linguaggi, formati editoriali, materiali, autori, illustratori, personaggi.

 

E’ un mondo sempre connesso quello dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni, la generazione “always on”: hanno una dieta mediatica sempre più articolata e complessa, nella quale i media tradizionali non sono abbandonati ma vengono fruiti in sovrapposizione ai device innovativi, sempre più mobile. L’accesso ai contenuti è pertanto mobile, smaterializzato, frammentato e simultaneo. E’ possibile fruire dei diversi contenuti culturali mentre si è in movimento e fuori casa; per esempio ascoltare musica, vedere un film o leggere un libro su uno o più dispositivi che permettono di avere tutti questi contenuti insieme e a portata di mano, sempre ed ovunque. Si può parlare così di fruizione nomade, sia relativamente a diversi contenuti culturali sia per quanto riguarda la lettura, che non è più sequenziale ma al contrario frammentata, ed effettuata su differenti dispositivi (iPhone, Pc, libro, giornale).

 

Non a caso il 12% leggerebbe “sicuramente” libri di narrativa, saggistica, svago, direttamente da uno schermo (pc e/o e-book), rispetto al 5% della media della popolazione; un altro 17% (rispetto al 15% della media della popolazione) è per il “probabilmente sì”.

 

Dove si legge? Oltre che tra gli spostamenti da un luogo all’altro, lo spazio privilegiato per la lettura rimane la casa, che per quanto riguarda i giovani d’oggi può essere definita come una postazione techno, corrispondente alla loro camera, che trova il fulcro nel tavolo-scrivania personale (dove alloggiano gli strumenti quotidiani: computer, cellulare, qualche quaderno di appunti, dispensa, libro). Accanto al tavolo-scrivania trova spazio ciò che può essere utile per il lavoro-studio: stampante, fax, libreria.

 

Usa Internet “tutti i giorni”, con frequenza doppia rispetto ai loro genitori / adulti, il 44,2% dei 15-17nni e il 46,8% dei 18-19nni. Si accentua infatti la vocazione tecnologica in questi giovani: il 94% dei 14-19nni ascolta musica (rispetto all’80% media popolazione); il 56% “scaricandola da Internet” (rispetto al 24% media popolazione). Il 49,0% la ascolta dal cellulare (rispetto al 16% della media popolazione), il 48% è abituato a trasferirla da pc a cellulare (rispetto al 16% della media popolazione), il 49% invia / riceve musica dal proprio cellulare e quello di altri (rispetto al 15% della media popolazione); il 37% (rispetto all’11% media popolazione) la scambia attraverso e-mail o altri sistemi disponibili su Internet. Il 38% ha guardato film al cinema (vs 21% media popolazione ), il 68% in tv (canali analogici, rispetto al 62% della media popolazione), il 26% su canali Pay (rispetto al 15% di media della popolazione), il 30% da Dvd (rispetto al 24% di media della popolazione), il 21% dal computer (rispetto all’11% di media della popolazione).

 

Il 62% usa skype o messenger tutti i giorni per comunicare (il doppio rispetto al 30% della media della popolazione – e su questo le ragazze sono imbattibili!) o i siti di social network (anche qui è sostanzialmente il doppio rispetto alla media della popolazione: 44% rispetto al 27%) o ancora le chat (sono il 39% dei 14-19nni rispetto al 17% della media della popolazione). Le “chiacchiere” e le relazioni sono femminili (anche su internet…) - Le ragazze, in particolare, hanno il primato in fatto di messaggistica (skype e messenger) e utilizzo dei motori di ricerca, ma anche in chat e siti di social network.

 

E i più piccini? Secondo i dati dell’Osservatorio permanente contenuti digitali, la dieta mediatica dei ragazzi italiani under 14 (4-13 anni) è così suddivisa: passano 1 h e 45 min a guardare la tv, 1 h a guardare i dvd, 37 min a leggere libri non scolastici, 33 min ad ascoltare musica, 40 a giocare ai videogiochi, 23 min ad usare il pc senza web e 19 min ad usare internet.

 

In America le cose non sono tanto diverse: in base all’indagine Kaiser Family Foundation sugli 8 -18nni i ragazzi americani under 18 (8-18) passano 4h e 29 a guardare la tv, 38 min a leggere, 2h e 31 min ad ascoltare musica, 1 h 13 min a giocare ai videogiochi.

 

Una curiosità in più, sempre dall’indagine americana: lettura e tv sono inversamente proporzionali: i ragazzi che hanno la tv in camera leggono meno, 34’ contro i 46’ di che invece non ce l’ha.

 

29 marzo - da LASTAMPA.it

 

Maturità, doppia tassa

Dagli esami di Stato alla pagella, dai corsi di recupero fino alle lettere: tutto quello che le scuole chiedono alle famiglie di pagare

 

FLAVIA AMABILE

 

Una doppia tassa sulla maturità finora non si era ancora sentita, ma nelle scuole ormai ci si è abituati a tutto. Non è più come anni fa, quando per frequentare un istituto pubblico bastava pagare il bollettino dell'iscrizione di qualche decina di euro, quello della mensa più o meno analogo, e non molto di più per un anno intero.

 

Ora a scuola si va con il tariffario. Consulti una delle pagine dei siti e sembra di guardare il link ad un albergo o un centro benessere: tutto (o quasi) si paga, dal ritiro del diploma alle lettere ricevute a casa, dai corsi di recupero all’esame di maturità per i privatisti per il quale i prezzi possono aumentare anche di dieci volte rispetto a quelli praticati agli alunni interni.

 

E' la crisi, è l’effetto dei tagli di Tremonti, e di un miliardo di euro tra supplenze e fondi per il funzionamento ordinario che le scuole hanno anticipato e che ora il ministero fa finta di non dover restituire alle scuole, spiegano i sindacati e politici dell’opposizione. «Da quest’anno non solo le scuole corrono il rischio di avere trasferimenti inadeguati, ma anche di vedere cancellata qualsiasi possibilità di recuperare i propri crediti», avverte Mariangela Bastico del Pd. Mentre Manuela Ghizzoni, sempre del Pd, sulla vicenda ha presentato un’interrogazione parlamentare chiedendo l’intervento del ministero che nonostante le denunce non aveva ancora assunto una posizione ufficiale.

 

Manca un miliardo nelle scuole, insomma. E’ una cifra di tutto rispetto: i dirigenti scolastici, sono costretti a inventare di tutto pur di far quadrare conti che in queste condizioni sembra impossibile far quadrare. Anche raddoppiare le tasse. Finora esisteva una sola tassa per la maturità, da versare allo Stato, di 12,03 euro. Quest’anno almeno una scuola su due ha chiesto agli studenti dell’ultimo anno una doppia tassa: quella regolare con bollettino intestato all’Agenzia delle Entrate, e la seconda invece con bollettino intestato alle scuole, a volte addirittura agli stessi dirigenti scolastici come accade all’Itc Cesare Beccaria di Carbonia.

 

Alcuni studenti e genitori hanno pagato senza protestare. Altri invece non hanno mandato giù la seconda tassa. All'istituto Piaget di Roma, ad esempio dove una decina di ragazzi si sono rifiutati di pagare. Anche perché la richiesta era di 100 euro, piuttosto cara rispetto alla media. Sono state minacciate ritorsioni da parte della dirigenza ma i ragazzi non intendono fare marcia indietro. La maggior parte degli istituti infatti si limita a chiedere un contributo di una ventina di euro. «Per le fotocopie, e le spese di segreteria. E’ solo doveroso nella condizione in cui sono costrette a andare avanti le scuole», spiega Antonio Gaeta dirigente scolastico del Polo Didattico di Passo Corese, in provincia di Rieti.

 

E in genere i genitori accettano il pagamento, a meno che le spese non risultino particolarmente elevate come al Piaget di Roma, oppure in Puglia a Ceglie Messapica, all'Istituto tecnico Agostinelli dove il tariffario prevede una «tassa per la maturità» di 50 euro o al liceo scientifico «De Sanctis» di Salerno dove se ne pagano 90. E’ a quel punto che qualcuno inizia a chiedersi se la seconda tassa è davvero una tassa o soltanto un contributo, e quindi se esista l’obbligo di pagarla oppure no.

 

Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini lo ha finalmente chiarito pochi giorni fa, ricordando ai dirigenti scolastici che non hanno alcun diritto di chiedere soldi alle famiglie. Alcuni dirigenti però la pensano diversamente come Marco Bevilacqua, a capo dell’istituto Ambrosoli di Roma, che di fronte alle proteste per aver chiesto 200 euro per frequentare l’istituto ricorda l’esistenza di un Patto educativo di corresponsabilità sottoscritto da genitori al momento dell’iscrizione che prevede l’obbligatorietà dei contributi decisi dalle scuole.

 

Insomma, pagare si deve sostengono alcuni dirigenti. E quindi nascono le voci più varie. Doppie tasse sulla maturità, doppie tasse di iscrizione, ma anche molto altro. All’Istituto d’Arte Licini di Ascoli Piceno si chiede ogni anno una seconda tassa di iscrizione per la scuola di 90 euro obbligatoria anche per le famiglie che per legge sarebbero esentate dal pagamento della tassa imposta dallo Stato. E poi 10 euro per le «spese postali per comunicazioni alle famiglie e gestione informatizzata delle assenze», e ancora 1 euro per l’acquisto della pagella scolastica. Situazione simile al professionale Datini di Prato dove la seconda tassa sulla maturità è di 51 euro (i privatisti pagano il doppio), le doppie iscrizioni ai vari indirizzi sono tutte di oltre 100 euro a seconda dei vari indirizzi, ma comunque si chiede 1 euro a tutti per un non meglio identificato «fondo di solidarietà».

 

I prezzi non appaiono sui tariffari ufficiali ma spesso le scuole si fanno pagare anche i corsi di recupero organizzati per aiutare a metà anno gli studenti in difficoltà. Secondo un sondaggio del sito Skuola.net più di una scuola su 10 chiede una cifra in cambio del corso.

 

Un capitolo a parte sono i privatisti, da sempre territorio di caccia di fondi da parte di presidi di ogni epoca. Quest’anno all’Istituto Comprensivo Statale di Oppido Mamertina per la maturità gli interni pagano una tassa di 30 euro, i privatisti di 80, quasi tre volte di più. Ancora nulla rispetto al professionale Einaudi di Ferrara, dove gli interni pagano 25,82 euro e i privatisti 206,58, quasi nove volte di più. E’ l’autonomia scolastica: in tempo di crisi somiglia terribilmente a un suq, in cui ognuno fa come gli pare.

 

 

Da Tuttoscuola FOCUS

 

 

3. L'A.Ge chiede chiarezza nei dati sulla scuola italiana

In un documento intitolato "10 milioni o un miliardo?", l'A.Ge (Associazione Genitori) fa il punto polemicamente sulla questione dei contributi dei genitori al funzionamento delle scuole.

Già nello scorso mese di febbraio l'A.Ge. aveva lamentato che i contributi volontari dei genitori, da destinarsi esclusivamente all'ampliamento e qualificazione dell'offerta formativa, fossero utilizzati invece "per la sussistenza quotidiana", e che la realtà delle scuole fosse quella di alunni suddivisi nelle varie classi, in assenza di supplenti, in una situazione "che rischia di deteriorarsi, anche per il clima di precarietà, di incertezza e abbandono che si vive...".

Ora l'A.Ge torna a chiedere "chiarezza e dati, perché si esca dal dibattito e si giunga alle proposte: se fonti ministeriali ci dicono che, nel complesso e mediamente, l'insieme delle scuole italiane avrebbe una cassa in attivo di ben 600 milioni di euro, perché molte dichiarano una pesante sofferenza?"

I genitori, scrive l'A.Ge, sono disposti a sostenere le scuole con i loro contributi volontari, e sono in generale favorevoli a forme di corresponsabilità, anche economica, ma chiedono maggiore trasparenza nell'utilizzo dei contributi, valutati in oltre un miliardo di euro, e in generale maggiori informazioni e chiarezza sui dati relativi alla spesa e ai bilanci della scuola.

In particolare si sollecita lo "scorporo dei dati forniti dal Ministero fra scuole dell'infanzia, scuole dell'obbligo e scuole secondarie superiori, a loro volta distinte fra licei, istituti tecnici e professionali; quadri di riepilogo dei finanziamenti erogati alle scuole negli ultimi anni relativamente a voci quali 'supplenze temporanee', 'supporto all'handicap', 'innovazione tecnologica', 'corsi di recupero', etc. e, da parte delle scuole, rendicontazione dell'utilizzo di questi finanziamenti".

La via maestra, secondo l'A.Ge, "è quella della corresponsabilità, della valutazione d'istituto, della diffusione di buone pratiche gestionali, di trasparenza e rendicontazione", sapendo che "i genitori, riconosciuti e posti in condizioni reali di collaborazione, saranno una risorsa insostituibile".

 

4. Secondaria/1. Ma le Indicazioni dei licei sono "indicative"?

La bozza di Indicazioni nazionali per i licei pubblicata sul sito del Miur, e positivamente sottoposta al dibattito pubblico (pratica diffusa in altri Paesi, ma inconsueta in Italia), sta suscitando consensi per il metodo seguito, ma anche alcune perplessità per il merito.

Tre sono i propositi perseguiti dagli estensori della bozza, come si legge nel sito: "superare l'astratto enciclopedismo", "tutelare la libertà di insegnamento", e "garantire allo studente una preparazione solida e fondata sulla consapevolezza critica".

Si può dire che tali propositi trovino riscontro nei documenti prodotti? E' perplesso il presidente dell'ANP, Giorgio Rembado, secondo il quale "l'enciclopedismo tipico dei vecchi Programmi lascia ancora delle tracce evidenti", perché "si privilegiano elenchi di contenuti che ci riconducono alla vecchia tradizione dei Programmi ministeriali", mentre le Indicazioni nazionali "dovrebbero consistere nella determinazione degli obiettivi da lasciare poi alla autonoma programmazione dell'attività delle scuole".

Si ripresenta qui, ancora una volta, una antica querelle, molto dibattuta anche in seno alla commissione Brocca vent'anni fa, tra i sostenitori di una modalità di scrittura dei programmi disciplinari (ed eventualmente interdisciplinari) centrata sugli obiettivi di apprendimento (pochi, chiari, riferiti alle prestazioni degli studenti, valutabili) e i fautori di programmi fondati sulla individuazione di contenuti prescrittivi, variamente definiti ("fondamentali", "essenziali", "irrinunciabili").

Allora la controversia si risolse con un compromesso, che fece comunque qualche apertura, in nome dell'autonomia delle scuole, alla prima posizione. La bozza ministeriale, nella sua veste attuale, sembra invece di fatto più vicina al secondo modello.

 

5. Secondaria/2. Le Indicazioni dei licei e il parere del Parlamento

Uno dei pochi punti sui quali le Commissioni parlamentari hanno espresso un parere convergente, è stata la richiesta di inserire nei tre Regolamenti (licei, istituti tecnici, istituti professionali) un riferimento alla comune finalità del primo biennio, "volta a garantire il raggiungimento di una soglia equivalente di conoscenze, abilità e competenze al termine dell'obbligo di istruzione nell'intero sistema formativo" (la formulazione è quella contenuta nel Regolamento dei licei, ma si ritrova con espressioni simili anche negli altri due).

In mancanza delle Indicazioni nazionali per gli istituti tecnici e professionali non è possibile verificare, e comparare, le soluzioni date a questa importante linea di indirizzo, contenuta nei tre Regolamenti. Va detto però che nelle Indicazioni dei licei, almeno in questa prima bozza, non si trovano espliciti riferimenti a quella finalità. Anzi, vengono sottolineate le caratteristiche peculiari dell'ambiente e della modalità di apprendimento "liceale". E ci sembra difficile che nelle Indicazioni dei tecnici e dei professionali si possano riprodurre sic et simpliciter gli obiettivi specifici di apprendimento contenuti nell'attuale versione delle Indicazioni dei licei.

 

6. Elezioni: quanto pesa il voto della scuola?

Queste elezioni regionali, assai più di analoghe consultazioni amministrative svoltesi in passato, hanno registrato un crescendo di polemiche di carattere politico generale che hanno finito per oscurare il confronto sui programmi e sulle proposte riguardanti i diversi settori di interesse regionale, con la parziale eccezione della sanità e della scuola.

Ma anche per quanto riguarda questi due settori, man mano che ci si avvicinava al giorno delle elezioni, il dibattito ha finito per svolgersi in termini generali, e quindi sulle politiche nazionali. I temi della politica scolastica, in particolare, sono entrati nella campagna elettorale e nelle parole d'ordine dei candidati dei due principali schieramenti sotto forma di slogan pro o contro le riforme Gelmini, presentate da una parte come una salutare cura di razionalizzazione della spesa e ammodernamento dei programmi e dall'altra come una indiscriminata operazione di "tagli" alle risorse per l'istruzione pubblica e di restaurazione della scuola tradizionale.

Quanto può aver pesato questo tipo di confronto ipersemplificato sul voto degli elettori? L'opposizione, con l'appoggio di buona parte dei sindacati, ha puntato le sue carte sulle inquietudini del personale della scuola, dai precari ai non docenti ai dirigenti alle prese con bilanci sempre più magri, mentre il governo e la maggioranza hanno dato l'impressione di guardare soprattutto al voto dei genitori, alla loro esigenza di avere una scuola più moderna e più sicura.

L'esito delle elezioni, e le indagini che le seguiranno sul comportamento degli elettori, ci diranno quale delle due strategie sarà stata premiata.

 

 


da LASTAMPA.it

 

Le iscrizioni nelle scuole dopo la riforma

A CURA DI FLAVIA AMABILE

 

ROMA

Il 26 marzo si sono chiuse le iscrizioni per le scuole superiori. Quanto ha pesato la riforma sulle scelte per il prossimo anno?

Per il momento quasi nulla. I cambiamenti non sono ancora del tutto noti alla maggioranza delle famiglie. E quindi ci si dovrebbe orientare ancora almeno per i prossimi due anni seguendo le linee di tendenza attuali.

Vale a dire?

Si sta assistendo ad una lieve ma costante flessione delle iscrizioni per i licei. Sembrano invece in lieve recupero tecnici e professionali, indirizzi che in una fase erano poco amati dalle famiglie. Nel 1995-96 il 40 per cento dei ragazzi usciti dalla scuola media sceglieva l’istruzione tecnica ma dieci anni la scelta era ristretta a poco più del 33%. I dati non sono ufficiali ma nell’ultimo anno scolastico ha scelto l’istruzione tecnica il 34,2% degli studenti e il sito Tuttoscuola prevede che «dovrebbe esservi un ulteriore incremento portando la scelta dei nuovi tecnici verso il 35% dei ragazzi interessati».

E negli altri tipi di scuola?

Nei licei c’è stato un boom nei primi anni del Duemila. Ora ci troviamo di fronte a un leggero calo. Nel 2009/10 sono stati il 9,5 per cento i ragazzi che si sono iscritti al primo anno dei classici, più di un punto in meno rispetto a quattro anni prima. E sarebbero stati il 21,3 per cento i ragazzi che hanno scelto i licei scientifici contro il 22,1 per cento del 2006. Più o meno in leggera crescita invece per gli ex istituti magistrali che hanno toccato quest’anno il massimo con il 7,8 per cento di ragazzi che li hanno scelti. Anzi, di ragazze, visto che da sempre le donne sono la maggioranza degli iscritti in questa scuola. L’ultimo dato ufficiale conferma che su dieci alunni delle magistrali più di otto sono donne.

E nei licei?

Anche nei licei le donne stanno conquistando la maggioranza. In particolare al liceo classico dove rappresentano il 69 per cento, percentuale in aumento nel tempo. Il liceo scientifico, invece, è l’unico tipo di scuola in cui ci si trova in una situazione di quasi parità.

Chi prevale nei tecnici e nei professionali?

Da sempre sono istituti frequentati in maggioranza da maschi. Nei tecnici superano le ragazze con un 3 a 2, sono infatti il 64,5 per cento degli iscritti e addirittura il 66 per cento se si vanno a considerare le iscrizioni dei primi due anni. Negli istituti professionali il distacco è inferiore: sono il 56 per cento degli iscritti, e il 58 per cento se si considerano i ragazzi che frequentano i primi due anni.

Secondo un sondaggio di Skuola.net il 20 per cento ha aspettato l’ultima settimana per iscriversi. La riforma ha disorientato le famiglie?

Quasi due milioni di studenti si sono iscritti automaticamente alle classi seconde, terze, quarte e quinte, ma erano circa 600 mila a dover optare fra le diverse scelte delle superiori, una decisione molto difficile perché gli indirizzi non sono ancora adesso del tutto definiti. La data ultima della scadenza per le iscrizioni è stata posticipata dal Miur per due volte ed alcuni sindacati - in articolare quelli di base, ma anche la Flc-Cgil e la Gilda - continuano a chiedere il posticipo della riforma al 2011. Anche perché ad oggi l’iter di approvazione della riforma della scuola superiore, approvata in seconda lettura dal Cdm ad inizio febbraio, non è stato ancora completato.

La riforma partirà nel 2010/11 in tutta Italia?

La provincia autonoma di Bolzano ha già annunciato di voler chiedere il rinvio di un anno perché «c’è stato poco tempo» per preparare le famiglie alle novità. E anche in Sicilia l’opposizione ha avanzato una richiesta simile.

Il ministero ha pubblicato una «guida» per aiutare ragazzi e famiglie.

Per i parlamentari dell’opposizione quella guida è «un vero scandalo». Lo hanno sostenuto due esponenti della Commissione Cultura di Montecitorio, Rosa De Pasquale e Manuela Ghizzoni che hanno sottolineato che «la diffusione di questo documento il giorno prima della scadenza delle iscrizioni lo rende del tutto inutile, cioè a dire carta straccia, e di fatto nulla di più di uno spot elettorale. Del resto - aggiungono le due parlamentari - questa amara verità è ammessa dallo stesso ministero che scrive: «Il testo di questa guida è una versione divulgativa e potrebbe subire variazioni. Per le notizie definitive leggete il sito». E, in tempi di crisi e tagli ai fondi alle scuole le due parlamentari hanno chiesto al ministro Gelmini di spiegare ai genitori costretti a pagare «tasse occulte per garantire ai figli comunque un’istruzione» la scelta «di usare soldi pubblici per spot elettorali».

 

 

 

Roma, 30 marzo 2010

 

Scuola, Miur: Non ridimensionato studio della Resistenza

 

Le indiscrezioni apparse oggi su un organo di informazione secondo le quali nei programmi scolastici sarebbe stato ridimensionato lo studio della Resistenza sono destituite di qualsiasi fondamento. Lo studio della Resistenza è importante ed è previsto dalle nuove Indicazioni nazionali, nell’ambito della storia della seconda guerra mondiale e della nascita della Repubblica.

La Resistenza dunque continuerà ad essere affrontata dagli studenti come momento significativo della storia d’Italia.

 

 

30 marzo - da Il Giornale

 

Libera scuola in libero Stato: a lezione da Einaudi e Valitutti

di Carlo Lottieri

 

Gli scritti controcorrente dei due politici dimostrano che l’istruzione pubblica è ideologica. Ma abolire il valore legale del titolo di studio è ancora un tabù

Sotto vari punti di vista, quella della scuola è davvero una questione cruciale, in ragione del degrado della qualità del sistema educativo (a ogni livello) e delle conseguenze che ne derivano alla società nel suo insieme. Con ogni probabilità le radici più profonde del declino in atto sono di carattere generale, e quindi non riconducibili in senso stretto al mondo dell’istruzione, ma è pur vero che il modo in cui scuole e università sono organizzate non aiuta a fronteggiare l’emergenza di nuove generazioni sempre meno preparate e motivate.

Per questo è da apprezzarsi la pubblicazione, a cura di Giancristiano Desiderio, di un volume (La libertà della scuola, edito da Liberilibri e in vendita a 16 euro) che riunisce alcuni scritti controcorrente di due eminenti liberali italiani del secolo scorso, Luigi Einaudi e Salvatore Valitutti. Benché abbiano occupato posizioni istituzionali importanti (Einaudi fu il primo presidente dell’Italia repubblicana, mentre Valitutti divenne ministro dell’Istruzione), entrambi hanno interpretato posizioni minoritarie, ed è anche a causa della marginalizzazione delle loro idee che il sistema scolastico si trova oggi in una situazione tanto drammatica.

Gli scritti ruotano attorno all’esigenza di dare più libertà all’istruzione: abolendo il valore legale del titolo di studio. La nota proposta di Einaudi emerge qui in tutta la sua forza, perché è evidente come al fondo della certificazione statale dei diplomi vi sia quel processo di sclerosi della società che è caratteristico del ventesimo secolo. La questione del valore legale s’impone in un mondo che vede lo Stato dilatare la propria presenza nell’economia e in cui un numero crescente di lavoratori passa nel settore pubblico. È la logica dei concorsi di Stato (e di ordini professionali di carattere corporativo) che porta alla costruzione di una produzione nazionale di titoli cartacei da appendere in studio. Per Valitutti, al contrario, la scuola nasce dalla società e serve la società: non è insomma un «affare di Stato», o quanto meno non dovrebbe esserlo.

I due autori evidenziano come lo statalismo uccida la libertà di educazione. Il valore legale del titolo di studio comporta programmi ministeriali e quindi implica il controllo politico sulla formazione dei giovani. Qualcuno, a Roma, stabilisce cosa deve essere insegnato e studiato. Come rileva Desiderio nell’Introduzione, «l’espressione “religione di Stato” ci fa inorridire, mentre la definizione “scuola di Stato” ci appare naturale». L’accostamento è corretto, dato che la statizzazione del sistema educativo fu un passo fondamentale del Kulturkampf condotto dallo Stato moderno contro le culture religiose tradizionali: il che significa, nel contesto italiano, contro il cattolicesimo.

Nei testi si sottolinea anche come l’abrogazione del valore legale favorirebbe, insieme alla libertà di pensiero, una maggiore competizione sul piano della qualità. Senza diplomi riconosciuti dallo Stato, ogni scuola dovrebbe contare solo sulla propria immagine: e quindi fare il possibile per acquisire una credibilità di mercato. Quanto già avviene per le professioni più esposte alla concorrenza (per quanti si occupano di ricerca del personale, una laurea in Cattolica o alla Bocconi non equivale a una laurea ottenuta in un’università minore) si estenderebbe in ogni direzione.

Anche se la questione del finanziamento degli istituti non è al centro del volume, è chiaro che Einaudi e Valitutti vedono proprio nella questione del superamento del valore legale la premessa a un maggiore pluralismo, che permetta una convivenza tra istituti statali e privati. Strumenti come il credito d’imposta o il buono-scuola potrebbero opportunamente intervenire, a quel punto, affinché possano «sbocciare mille fiori» e le logiche della competizione portino beneficio anche in tale ambito.

È però curioso come perfino i pensatori più liberali, quando si parla di scuola, raramente se la sentano di riconoscere quella che in altri ambiti è un’ovvietà: e cioè che lo Stato non dovrebbe assolutamente intervenire. Mentre molti ricordano con orrore il periodo in cui esisteva un panettone di Stato, meno inquietante - quando invece dovrebbe essere vero l’opposto - appare l’idea di un’educazione di Stato, e quindi di uno Stato educatore. Le stesse giustificazioni portate a sostegno della statizzazione ottocentesca dell’istruzione appaiono contraddittorie con le tesi professate in materia di libertà d’insegnamento, tanto più che allora si usò la forza per togliere i minori dal controllo familiare al fine di farne buoni cittadini, fedeli soldati e, infine, contribuenti rassegnati.

C’è poi un’evidente continuità tra la costruzione post-risorgimentale del sistema educativo e il lavaggio del cervello praticato dai regimi totalitari. È la retorica del libro Cuore di De Amicis che prepara i disastri novecenteschi e soltanto la costruzione di un’educazione libera, autofinanziata, alternativa al settore pubblico e totalmente sganciata dal potere potrebbe offrire la speranza d’invertire la tendenza in atto. Forse è solo riflettendo su tali questioni che oggi è possibile restare fedeli alle buone ragioni di Einaudi e Valitutti.

 

 

Roma, 31 marzo 2010

 

Scuola, Miur: Polemica priva di fondamento.

Resistenza era implicita anche con Moratti e Fioroni.

 

Le Indicazioni sullo studio della Storia sono nate da un confronto su una bozza iniziale che ha coinvolto moltissimi docenti (e alcuni noti storici) di tutte le provenienze culturali e politiche.

Le Indicazioni sono state in seguito sottoposte al confronto con le associazioni del mondo della scuola e sono state commentate da numerosi esperti. Durante questo iter, nessuno ha sollevato un problema relativo allo studio della Resistenza, considerata ovviamente un tema assolutamente imprescindibile nello studio della storia italiana, implicito tanto nella trattazione della Seconda Guerra Mondiale, quanto in quella della costruzione dell'Italia repubblicana.

 

Del resto, neppure le Indicazioni dei ministri precedenti contenevano un riferimento esplicito alla Resistenza. Le Indicazioni nazionali del ministro Moratti per le scuole secondarie di I grado indicavano come obiettivi di apprendimento: la Seconda Guerra Mondiale, la nascita della Repubblica italiana, la “società del benessere” e la crisi degli anni Settanta, il crollo del comunismo nei Paesi dell'Est europeo, l'integrazione europea.

Le indicazioni per il curricolo per il primo ciclo promulgate dal Ministro Fioroni non facevano alcuna menzione specifica della Resistenza, neppure nella premessa (“l’analisi del mondo contemporaneo reclama uno spazio educativo preciso: le guerre mondiali, il fascismo, il comunismo, la liberaldemocrazia…”), ritenendola compresa nella seguente indicazione: “L’alunno […] conosce i momenti fondamentali della Storia italiana, dalle forme di insediamento e di potere medioevali alla formazione dello stato unitario, alla formazione della Repubblica”.

Nessun tentativo censorio dunque, che sarebbe quantomeno stolto e appartenente a una cultura lontanissima da tutti coloro che si sono occupati, a vario titolo, delle Indicazioni.

 

Il forum, dove le indicazioni sono presentate, non a caso, in bozza, serve comunque anche a evidenziare eventuali criticità. Proprio per questo motivo, e per evitare che il dibattito si areni in una polemica non voluta, negli Obiettivi specifici di apprendimento del quinto anno è stato reso esplicito il riferimento alla Lotta di liberazione, con la formula: “L’Italia dal Fascismo alla Resistenza e le tappe di costruzione della democrazia repubblicana”.

 

 

da ItaliaOggi

 

La Gelmini cancella la Resistenza

Di Alessandra Ricciardi

 

Il consigliere del ministro, Max Bruschi: non è una scelta politica, possiamo precisarlo

 

Semplicemente non c'è. Nei nuovi programmi di storia che si studieranno dal prossimo anno nei licei non si parla di Resistenza. Così come antifascismo e Liberazione non sono neanche citati. Il buco è al quinto anno, dedicato allo studio dell'epoca contemporanea, dall'analisi delle premesse della I guerra mondiale fino ai nostri giorni. La nuova articolazione, spiegano dal dicastero di viale Trastevere, è stata dettata dalla necessità di evitare che succedesse, come spesso è successo, che non si arrivasse neanche a fare la II guerra mondiale. Troppo poco, ecco perché la commissione per la storia, presieduta da Sergio Belardinelli, ha deciso di assegnare un intero anno di studi al Novecento. Nella formulazione dei temi fondamentali, le indicazioni nazionali precisano che «non potranno essere tralasciati i seguenti nuclei tematici»: l'inizio della società di massa...«il nazismo, la shoah e gli altri genocidi del XX secolo, la seconda guerra mondiale, la guerra fredda (il confronto ideologico tra democrazia e comunismo), l'aspirazione alla costruzione di un sistema mondiale pacifico (l'Onu), la formazione e le tappe dell'Italia repubblicana».

 

Si passa poi alla formazione dell'Unione europea e agli Usa, «potenza egemone, tra keynesismo e neoliberismo», senza tralasciare «il rapporto tra intellettuali e potere politico», da affrontare in modo interdisciplinare. A differenza dei vecchi programmi, parole come antifascismo, Resistenza, Liberazione sono sparite. «Nessuna operazione di rimozione», dice a ItaliaOggi Max Bruschi, consigliere del ministro dell'istruzione, Mariastella Gelmini, e presidente della cabina di regia sulle indicazioni nazionali dei licei. «I programmi hanno individuato alcuni nuclei fondamentali lasciando grande libertà alle scuole, ai docenti. Quando parliamo di seconda guerra mondiale e della costruzione dell'Italia repubblicana per noi è evidente che è inclusa la Resistenza». Eppure sulla Shoah, per esempio, si precisa che lo studio deve ricomprendere anche gli altri genocidi, una precisazione che manifesta una sensibilità storica e politica sui cui non si è disposti ad affidarsi all'autonomia e alla bravura dei docenti. «La Shoah è un unicum, poi ci sono altri genocidi su cui non si può far finta di niente. Ciò non toglie, sull'altro fronte, che la Resistenza è un valore imprescindibile, mai pensato di declassarla». Il punto è che un elenco di fatti significativi di un periodo può facilmente essere accusato di parzialità se non li cita tutti. «Il nostro non è un elenco esaustivo e prescrittivo, abbiamo solo indicato macrotemi», dice Bruschi. Che nega che possa esserci il rischio che la Liberazione finisca per essere liquidata in due righe e la lotta partigiana magari in una nota. «Che esagerazione, non c'è nessun rischio di questo tipo. Ma se il fatto che nei programmi non c'è la parola Resistenza è un problema, allora... possiamo sempre reinserirla», ribatte.

 

I programmi infatti non sono ancora definitivi. Genitori, insegnanti e associazioni possono dire la loro alla Gelmini sul forum dell'Indire. C'è tempo fino al 22 di aprile.

 

 

da Tecnica della Scuola

 

Il Miur rinnova il portale internet

di A.G.

 

Rispetto al ‘vecchio’, divenuto col tempo un po’ caotico per l’overload di materiali a disposizione, il nuovo sito propone a studenti, famiglie, docenti e addetti ai lavori un design più pratico: meno curato nelle forma, ma più intuitivo e utile a soddisfare in breve tempo le varie necessità informative. Al momento manca però il motore di ricerca.

Grafica semplificata, contenuti essenziali e approfondibili attraverso link interni, facilità di ricerca: sono le caratteristiche che contraddistinguono il rinnovato sito internet del ministero dell'Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Rispetto al ‘vecchio’ portale, ricchissimo di informazioni ma divenuto nel contempo un po’ caotico per l’overload di materiali a disposizione, il nuovo punto di riferimento per studenti, famiglie, docenti e addetti ai lavori nel comparto scuola, si propone con un design decisamente pratico: meno curato nelle forma, ma sicuramente più intuitivo e utile a soddisfare in breve tempo le varie necessità informative (anche se al momento non è ancora stato attivato il prezioso motore di ricerca digitale).

Le informazioni generali sono suddivise per comparti (istruzione, università e ricerca raggiungibili attraverso distinti link che conducono alle rispettive pagine interne), mentre le ultime notizie sono garantite attraverso le sezioni ‘news’ ed ‘in evidenza’. Sempre dall’home page, sono stati messi a disposizione diversi materiali – regolamenti, schede di lettura, orari, sintesi delle novità, ecc. – sulla ormai imminente riforma della scuola secondaria di secondo grado. Molto utile si presenta, infine, l’Indice, dal quale poter accedere agli argomenti in maniera ragionata e diretta senza passare per ricerche non sempre felici. Per un giudizio completo bisognerà però attendere qualche settimana, quando materiali e servizi saranno probabilmente ultimati.

 

da ilsussidiario.net

 

Sapere o saper fare? Senza competenze non si impara nulla

Tiziana Pedrizzi

 

giovedì 1 aprile 2010

 

Il Regolamento dei Licei ha il pregio di una ragionevole ristrutturazione degli indirizzi esistenti e della riduzione dello sventagliamento di materie. Su ciò si è appuntata l’attenzione, mentre meno riconosciuto è il pregio di introdurre modalità aggiornate di determinazione dei contenuti della scuola. Presente nella identica formulazione in tutti i Regolamenti, anche per i Licei l’art 10 infatti così recita “…i risultati di apprendimento sono declinati in conoscenze, abilità e competenze in relazione alle Raccomandazioni del Parlamento Europeo… sulla costituzione del Quadro Europeo delle Qualifiche per l’Apprendimento Permanente (EQF)…”.

 

E’ un’indicazione per certi versi preziosa, per altri obbligata. Ma intenderla in senso meramente strumentale sembra poco accorto. E’ vero che la ragione fondante di EQF è quella di permettere il riconoscimento reciproco fra i paesi europei dei loro titoli di studio e perciò la mobilità delle persone. L’Unione Europea non ha le competenze istituzionali per proporre una nuova pedagogia. Ma sembra difficile pensare a dichiarazioni trasparenti di competenza, senza una corrispondenza con ciò che è stato fatto nelle aule.

 

E se non è previsto un indirizzo istituzionale ragionevolmente omogeneo intorno alle competenze da raggiungere, ma solo intorno alle conoscenze su cui basarle, come sarà possibile fare dichiarazioni che non siano “aria fritta”? Se il passaggio dalle conoscenze alle competenze avverrà solo a carico della singola scuola, del singolo docente o addirittura del singolo studente come evitare che non se ne faccia nulla? Oppure che, nel migliore dei casi, ognuno vada per la sua strada?

 

C’è anche da dire che i bisogni della struttura economica, di cui si fa interprete in questo caso il EQF, sono singolarmente convergenti con le riflessioni pedagogiche e didattiche degli ultimi tempi, nella valorizzazione del concetto di competenza. Che per certi versi riscoprono l’ovvio, cioè che si studia con un fine formativo; diversamente non si studia e non si impara. Che è ciò che sta avvenendo anche nei nostri Licei (vogliamo fare una indagine sull’apprendimento del latino?).

 

Sarebbe ardito affermare che l’abbassamento dei livelli di apprendimento dei liceali – che sono poi quelli che non sanno scrivere le tesi, perché gli studenti che escono dai professionali e dai tecnici arrivano decimati alla meta della tesi - sia dovuto ad un dilagare della “pedagogia delle competenze”. Si tratta invece evidentemente di uno scadimento della impostazione esclusivamente per conoscenze, che non ha più gli strumenti sociali per essere convincente. Punto di partenza comune dovrebbe essere, per evitare la guerra fra guelfi e ghibellini, la convinzione che se, da un lato, non si danno competenze, se non in riferimento ad abilità e conoscenze, dall’altro solo l’acquisizione della competenza costituisce il vero oggetto dei processi di apprendimento.

 

Perciò da dove bisogna partire: dalle conoscenze o dalle competenze? Domanda importante, che cela un problema tutt’altro che risolto. Innanzi tutto – si è detto sopra - sarebbe utile accettare che i due capi del filo debbano ambedue essere definiti, per permettere un avanti-indietro efficace. Ma le aree disciplinari debbono essere necessariamente proposte secondo i loro statuti interni di carattere logico o addirittura cronologico oppure si potrebbe sceglierne la parti da trattare, in relazione alla loro utilità nel fondare le diverse competenze, che a questo punto costituirebbero le scelte prioritarie?

 

Sembra un’ipotesi lontana dalle storicistiche aule italiane, ma che non porterebbe necessariamente all’annichilimento delle conoscenze, anzi forse ne potrebbe costituire la palingenesi. Ricordiamo che in altri Paesi europei, come la Francia, la trattazione per problemi da sempre praticata non sembra avere abbassato il livello degli apprendimenti. In un momento in cui dilaga il discorso sui “nativi digitali” un’impostazione di questo genere sarebbe forse più vicina a modalità di apprendimento possibili. Non può costituire un ostacolo il fatto che la generazione che oggi si trova a prendere decisioni in proposito sia stata personalmente formata secondo parametri rigidamente sequenziali.

Le Indicazioni proposte per i Licei proposte sembrano impegnarsi in un’embrionale delineazione di finalità formative solo in sede di definizione dei profili. Sembra mancare invece, nei testi relativi alle diverse partizioni temporali, il ponte di una definizione di competenze reali, mentre è molto frequente trovarsi di fronte un mero e discutibile - anche perché molto datato - elenco di argomenti. Va dato per scontato che la dimensione ridotta, che tutti hanno apprezzato insieme al linguaggio non iniziatico, non poteva consentire una reale applicazione dell’art 10 sopra citato. Ci si aspetta però che un impasto delle tre categorie dell’EQF faccia da punto di riferimento ad ulteriori necessari sviluppi.

 

Il lavoro da farsi per applicare davvero l’art 10 è tutt’altro che semplice, come dimostra l’esperienza di chi ha già percorso questa strada. Si licet magna componere parvis (sic), un’esperienza anticipatoria è stata quella relativa alla determinazione degli Obiettivi Specifici di Apprendimento dei percorsi triennali di Istruzione e Formazione Professionale lombardi, deliberati nell’aprile 2007. Con un significativo anticipo rispetto agli Assi Culturali all’Obbligo del Ministro Fioroni e degli attuali Regolamenti, era stato scelto come modello, all’interno del quale collocare gli esiti formativi attesi, proprio quello stesso dell’EQF, allora ancora in attesa di approvazione definitiva.

 

Oggi, dal punto di vista normativo, quegli OSA sono stati in parte superati dall’assunzione di Standard Minimi Nazionali, ma rimangono come un primo esempio metodologico. Questa elaborazione è stata effettuata in Lombardia da Gruppi di lavoro aggregati per aree disciplinari, che hanno lavorato per parecchi mesi. Un lavoro lungo e problematico, da cui trarre alcune riflessioni altrettanto problematiche sui nodi essenziali.

 

Definire per le diverse aree disciplinari delle competenze non generiche e non fumose, ma al contempo non troppo limitatamente operative, richiede un equilibrio difficile. Soprattutto il problema è quello di non scrivere libri dei sogni: elenchi interminabili e non controllabili con realistici strumenti di valutazione. Scegliere le conoscenze richiede una dolorosa capacità di rinuncia, oltre che un minimo di aggiornamento scientifico. Le scelte non dovrebbero avere come unico punto di riferimento i canoni interni delle discipline, ma anche le capacità formative dei diversi temi. E’ il caso di sottolineare che non si tratta solo di riprodurre passivamente le conoscenze stesse, ma anche di farne il materiale per l’esercizio delle abilità in relazione alle loro caratteristiche.

 

Le abilità equivalgono sostanzialmente a quelli che a livello internazionale vengono definiti come skills ed hanno forti assonanze con le abilità trasversali o le competenze di cittadinanza. Qui il problema è quello di individuare il corretto legame con le conoscenze da sviluppare e considerarle anche in parte come una articolazione ed una premessa alle competenze. Un rapporto flessibile di interrelazione deve comprendere varie combinazioni reciproche tra abilità e conoscenze e tra queste e la competenza da attendersi. Ad esempio ci sono conoscenze che si prestano al consolidarsi di alcune competenze ed abilità.

 

Il lavoro in particolare è reso difficile dalla grave carenza di riflessioni teoriche concrete in proposito, oltre che di rielaborazioni interessanti di esperienze operative in questo campo.

 

 

da ilsussidiario.net

 

Le Indicazioni “parlano” finalmente una lingua diversa, ora i prof sapranno usarla?

Feliciana Cicardi

 

venerdì 2 aprile 2010

 

Sulla scia dei Regolamenti arrivano al grande pubblico e agli addetti ai lavori le “Indicazioni” per i nuovi licei. La bozza - perché di ciò si tratta - è suddivisa nelle Indicazioni relative alle varie discipline. Le quali Indicazioni constano di due/tre cartelle relative ad ogni singola disciplina. Nessuna pletora quindi, ma una presentazione sintetica di un profilo generale e delle relative competenze disciplinari.

 

Prendendo in esame il testo relativo alla lingua e letteratura italiana si scopre che in un piccolo spazio testuale si possono rinvenire interessanti e necessari punti di attenzione afferenti alle conoscenze/competenze che strutturano la generale competenza linguistica.

 

Una prima gradita novità è costituita dalle due sezioni in cui è presentata la disciplina: “lingua” e “letteratura”. Ma sono molti gli elementi di positività incontrabili nel documento. Innanzitutto si intravede una continuità con le Indicazioni del 2007 relative al 1° ciclo di istruzione, una continuità rinvenibile nella correttezza con cui è disegnata la lingua e nella evidenziazione delle competenze linguistiche. Infatti, al di là delle modalità testuali di presentazione, si riscontra nelle Indicazioni per il 1° ciclo ed in quelle per i licei una griglia strutturata su conoscenze, abilità e competenze riscontrabili in entrambi i documenti. Ciò ovviamente non deve far pensare che nei vari segmenti scolastici si debbano proporre gli stessi contenuti e le stesse conoscenze, solo un po’ più approfondite.

 

Si sa per quanto tempo il segmento della scuola secondaria di 2° grado abbia lanciato i suoi “J’accuse” ai segmenti scolastici precedenti lamentando che il primo compito della scuola secondaria superiore fosse quello di colmare e recuperare le lacune presenti nei saperi degli studenti. La questione va guardata da un’altra ottica. Le conoscenze e i saperi non vanno riproposti ciclicamente nei vari segmenti scolastici, cerchi concentrici che allargano il loro raggio nello svolgersi del tempo scolastico: esiste una progressione nell’analisi degli “oggetti” disciplinari ed un incremento di processi e strategie cognitive perché si produca negli studenti un apprendimento significativo, cioè fatto proprio e rigiocato in situazioni varie. Va da sé che le competenze, che per definizione sono in fieri, vanno potenziate ed irrobustite via via che si sale nell’età scolare (un piccolo suggerimento. Sarebbe utile esplicitare nel documento le competenze essenziali che costituiscono la competenza linguistica generale: competenza testuale, competenza pragmatica, ecc.).

 

La continuità tra il 1° ciclo e i licei è data anche dagli elementi con cui è presentato e proposto l’oggetto “lingua”. La lingua è descritta a tutto tondo nei suoi elementi costitutivi. Non solo le sue strutture e le sue regole sono oggetto di analisi e conoscenza (la tanto vituperata grammatica) ma i meccanismi che governano la lingua proposti come oggetto di conoscenza ma anche come competenza d’uso della lingua stessa. Si intravedono in filigrana elementi offerti dalla sociolinguistica, dalla pragmatica, dalla storia della lingua e dalla testualità. Si fa ricorso a quelle che fino a non molto tempo fa venivano definite le abilità linguistiche sul versante della fruizione e della produzione: ascoltare, leggere, parlare, scrivere). Sia nel parlato che nello scritto si sottolinea che lo studente “nella produzione personale dovrà saper variare l’uso della lingua a seconda dei diversi contesti e scopi comunicativi, compiendo anche le adeguate scelte retoriche pragmatiche e ampliando contestualmente il proprio lessico” (Indicazioni).

 

In una società in cui la lingua in generale, ma ancor più nei giovani, è stereotipata, usata in contesti comunicativi monotipo che non sono primariamente quelli scolastici - anzi ben distanti dall’articolazione testuale usata nella scuola - è importante il suggerimento che la scuola presenti situazioni e prodotti linguistici che superino lo “scolastichese”, attraverso l’analisi dei vari fenomeni linguistici ma, anche e soprattutto, attraverso l’uso reale della lingua in contesti diversificati, pena una nuova “grammatica” pesante fatta di “nozioni” sui fenomeni linguistici. Lo studente deve presentarsi come produttore consapevole di lingua quale strumento per comunicare, per relazionarsi, per conoscere gli altri e per conoscere sé. Non a caso tra gli obiettivi specifici di apprendimento del primo biennio si trova l’indicazione secondo cui “nell’ambito della produzione orale si darà rilievo al rispetto dei turni verbali, all’ordine dei turni e alla concisione ed efficacia espressiva” (Indicazioni).

 

Viene auspicato anche lo sviluppo della competenza testuale attiva e passiva attraverso la proposta di esercitazioni che esplicitino tale competenza: “riassumere, titolare, parafrasare, variare i registri e i punti di vista”. Tenendo presente che negli ultimi decenni il “testo” nel 1° ciclo è stato proposto come oggetto linguistico di analisi quasi autoptica, soffocando con l’eccesso di analiticità il piacere di incontrare un testo e in misura ahinoi molto minore la capacità di fare propri e quindi usarli i meccanismi linguistici per comprendere e produrre testi comunicativamente efficaci e ben confezionati. La storia insegna. Non si deve ripetere l’errore di proporre sotto nuove vesti un nozionismo linguistico, anziché sviluppare negli studenti il piacere di usare la lingua come strumento principe per conoscere il mondo e porsi nel mondo.

 

In nome dell’autonomia viene lasciata alle singole scuole e ai singoli docenti la scelta di una didattica adeguata ed efficace perché i ragazzi raggiungano obiettivi e competenze proposte dalle Indicazioni. Il Prof. Giorgio Chiosso su queste pagine richiama che il rispetto dell’autonomia «assegna agli insegnanti una grande responsabilità culturale ed educativa. Spetta a loro compiere le scelte più idonee per far crescere gli alunni sul piano culturale, nel senso critico, aiutandoli a diventare persone capaci di capire e non solo di ripetere. C’è bisogno dunque non solo di docenti “tecnici esperti”, ma anche docenti capaci di stimolare le capacità personali e promuovere cultura».

 

Ciò comporta che i docenti individuino metodologie e prassi didattiche adeguate allo scopo formativo e culturale della scuola e della singola disciplina. In fondo si richiede una revisione della professionalità dei docenti. Chi insegna agli insegnanti a promuovere apprendimento? All’uscita dei Nuovi Programmi per la scuola elementare del 1985 fu attivato dal ministero un Piano Pluriennale di aggiornamento per i Nuovi Programmi. Durò cinque anni, tanti quante erano le aree disciplinari di cui erano composti i programmi, ed ogni insegnante ebbe modo di rivisitare teoria e pratica delle singole discipline. I tempi sono mutati, nel frattempo è stato introdotto il criterio dell’autonomia, oggi si parla di “indicazioni”. Ma il bisogno di rivedere le conoscenze e le azioni didattiche relative ad una disciplina resta.

 

Il primo elemento, le conoscenze disciplinari derivanti dalle nuove teorie e ricerche, dovrebbe essere appannaggio delle università. La metodologia e la didattica disciplinare può essere messa in discussione, rivista ed attualizzata nell’efficacia in luoghi che consentano un confronto. Il primo di questi luoghi può essere il dipartimento disciplinare presente nei singoli istituti scolastici che magari si strutturano in rete. Altre sedi possono essere le associazioni disciplinari ed altro ancora. Si tratta di far uscire dalla autoreferenzialità strutture culturali ed associative perché si pongano come obiettivo una rivisitata competenza metodologica e didattica dei docenti, di primo pelo o di lungo corso.

 

Sono solo alcune idee. Chi ha stilato le Indicazioni dovrebbe anche pensare di creare le condizioni perché queste non rimangano lettera morta sulla carta, ma reale occasione per rendere la scuola luogo di cultura e di crescita di sé per i ragazzi e, perché no, luogo in cui il docente possa trovare soddisfazione nell’efficacia culturale e formativa del suo agire professionale.

 

 

Da Aninsei

 

Associazione Nazionale Istituti Non Statali di Educazione e di Istruzione

 

 62° ASSEMBLEA NAZIONALE

Roma, 23 e 24 aprile 2010

 

Venerdì 23 aprile

 

Convegno

Sala delle Colonne

Palazzo Marini (Camera dei Deputati)

Roma, in Via Poli 19

 

“Libertà di formazione dei docenti”

 

 Programma

Venerdì 23 aprile 2010

Sala delle Colonne

Palazzo Marini (Camera dei Deputati)

Roma, in Via Poli 19

14.30 Registrazione partecipanti (richiesto documento di identità per registrazione accesso Camera dei Deputati)

15.00 Saluti

15.30 I Relazione prof. Giorgio Israel, Università Sapienza - Roma

16.00 II Relazione prof. Bruno Bordignon, Università Salesiana - Roma

16.30 III Relazione prof. Michele Tiraboschi, Università Modena e Reggio Emilia

17.00 Interventi programmati

18.00 Conclusioni on. Valentina Aprea, Presidente VII Commissione

Coordina gli interventi il dott. Luigi Illiano, giornalista de IlSole24Ore

21.00 Cena di gala

Sabato 24 aprile 2010

Comitato ANINSEI Lazio

Complesso scolastico Seraphicum

Roma, in Via del Serafico, 3

09.30 Workshop (POSTI LIMITATI)

- Gestione del personale

- La sicurezza nella scuola

- Privacy

- Asili nido e scuole dell'infanzia

- Riforma dei licei

- Riforma Istituti Tecnici

 

 

 

 3 aprile - da Milano - Repubblica.it

 

Stop all'orario corto dei prof i sindacati sul piede di guerra

 

La Direzione regionale: le due-tre ore risparmiate andranno usate per recuperi e supplenze

di FRANCO VANNI

 

Gli insegnanti non potranno più lavorare solo 15 o 16 ore a settimana anziché 18, come prevede il contratto. Una circolare della direzione scolastica abolisce infatti l'"orario corto", formula prevista nelle scuole con numerosi studenti pendolari: per consentire ai ragazzi di non perdere il treno, infatti, molti istituti (soprattutto tecnici e professionali) accorciano le ore di lezione da 60 a 50 minuti anticipando l'uscita da scuola. Con il risultato che, a conti fatti, i professori alla fine della settimana hanno lavorato per 2 o 3 ore in meno.

 

Da oggi quelle ore vanno recuperate: "Ogni preside - dispone la circolare - definirà l'eventuale recupero del tempo scuola per gli alunni e del tempo lavoro per i dipendenti, tenendo presente che l'orario di lavoro del personale docente va prestato a favore dell'intera scuola". Traduzione: i professori usino quelle due o tre ore per fare supplenze e corsi di recupero ai ragazzi. Se fra gli studenti la prospettiva di dover tornare a scuola per un paio d'ore in più provocherà al massimo qualche mugugno (tanto più che la riforma Gelmini ha ridotto il numero delle ore di lezione settimanali), gli insegnanti sono sul piede di guerra. E già si sono rivolti ai sindacati.

 

Attilio Paparazzo, segretario provinciale di Flc-Cgil, spiega: "Il nostro contratto dice chiaramente che in caso l'orario sia ridotto per ragioni di "forza maggiore", ad esempio avere un alto numero di studenti pendolari, quelle ore di lavoro non vanno recuperate". E invita le scuole "a non tenere conto della nuova indicazione, dal momento che è in conflitto con il contratto". La circolare precisa però che "il pendolarismo studentesco è tutt'altro che eccezionale e imprevedibile", quindi verrebbe meno il presupposto della "forza maggiore". E precisa che, se è legittimo accorciare l'orario alla prima e all'ultima ora, non lo è nel resto della mattinata.

 

La disputa, seppur giocata sull'interpretazione di norme antiche e complesse circolari ministeriali, riguarda però la sostanza dell'organizzazione del lavoro in centinaia di scuole. Se saranno i docenti di ruolo a dover sostituire i colleghi assenti e fare corsi di recupero, il ministero risparmierà i soldi necessari a chiamare insegnanti supplenti. Dall'altro lato, però, il rischio è che non vengano più chiamati a lavorare, almeno per quelle ore, i docenti precari che attendono di essere stabilizzati.

 

da Repubblica

 

Il nuovo fronte del Carroccio "Graduatorie regionali per i prof"

I neogovernatori leghisti promettono: "Cambieremo la normativa nazionale Al Senato è già pronto un disegno di legge"

 

ROBERTO BIANCHIN

 

MILANO - Non solo mogli e buoi dei paesi tuoi. Anche maestri e professori. È la scuola una delle nuove frontiere della «rivoluzione» leghista, che vuole stabilire «graduatorie regionali» per i docenti, alle quali accedere con il semplice certificato di residenza. Il Carroccio, sfruttando il peso maggiore che ha adesso nella coalizione, intende proporre al governo di «rivedere in senso federalista» la normativa nazionale sulle graduatorie degli insegnanti, per favorire i docenti locali. In sostanza, per impedire agli insegnanti del Sud di «venire a rubare il posto di lavoro» a quelli del Nord.

A fare da apripista, la Lega del Friuli-Venezia Giulia, molto attiva in questi giorni con il suo rifiuto delle celebrazioni dell´unità d´Italia e la proposta di un nuovo marchio, «Friulano tipicamente Padano», per i vini e i prosciutti della regione. I leghisti sono riusciti a far passare in consiglio regionale, coi voti favorevoli del centrodestra, una mozione che impegna la giunta a sensibilizzare governo e parlamento affinché le graduatorie per l´accesso al ruolo degli insegnanti «siano stilate su base regionale». E «non si verifichino più situazioni che pregiudicano gli insegnanti presenti da anni nelle graduatorie della nostra regione».

La Lega in realtà voleva di più. Voleva riscrivere da subito il sistema di stesura delle graduatorie in modo che non si basasse solo sui titoli «favorendo gli insegnanti del Sud», ma anche sulla residenza e «sulla conoscenza della cultura locale». Perché «ci sono insegnanti che non sanno nemmeno cosa sia la polenta». Ma questa mozione è stata bocciata anche dal Pdl. Perché «non c´è alcuna disposizione legislativa che la supporti», dice l´assessore all´istruzione Roberto Molinaro dell´Udc.

I neo-governatori leghisti del Nord, il veneto Luca Zaia e il piemontese Roberto Cota, sono consapevoli che «le Regioni non possono intervenire su una materia nazionale», come dice Zaia, anche se Cota lascia qualche spiraglio al Friuli «che forse può farlo perché è una regione a statuto speciale». Ma non per questo demordono. Anzi. Zaia dice che «la materia entrerà a far parte della piattaforma nazionale», e Cota, che pure assicura che il Piemonte «si atterrà alla legge nazionale», annuncia che «la Lega ha chiesto di cambiarla proprio in quel senso», attraverso un disegno di legge già presentato al Senato.

Il problema, sostengono i leghisti, non è solo quello, pur rilevante, della conoscenza del territorio, della sua storia, dei dialetti e della polenta. È anche quello che con le graduatorie fatte per titoli, c´è il rischio che gli insegnanti del Sud superino di gran lunga quelli del Nord, «visto che i parametri di giudizio sono molto più severi nel Settentrione». E questa eccessiva «mobilità territoriale» creerebbe non pochi problemi, a cominciare da una deprecabile «interruzione dell´attività didattica». Nel senso che molti docenti del Sud prima vanno al Nord a «rubare il posto» ai locali, e poi dopo breve tempo fanno domanda di rientro al Sud, a casa propria, lasciando scoperte le cattedre appena occupate.

Ma questa tesi non trova riscontro nei fatti. Secondo uno studio della «Fondazione Agnelli», in questo anno scolastico le domande di trasferimento in Meridione di docenti del Sud che insegnano nelle scuole del Nord, sono state appena 691.

 

 

6 aprile - da tuttoscuola.com

 

Autismo, per saperne di più

 

Si è celebrata il 2 aprile la Giornata mondiale dell'Autismo proclamata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Autismo? Cos'è?

 

L'autismo è un disturbo di cui si conosce ancora troppo poco e per questo, oggi, in occasione della Giornata mondiale dell'autismo, si tengono in molte città d'Italia convegni, workshop, manifestazioni.

 

Dustin Hoffman nel celebre film "Rain man", l'uomo della pioggia, fornisce una eccezionale interpretazione di una persona affetta da autismo.

 

"La cosa che impressiona di più è l'inaccessibilità..., il suo distacco..." con queste parole nel 1943-44 due studiosi, Kanner e Asperger, diedero una prima descrizione di un soggetto affetto da autismo.

 

L'autismo è un disturbo pervasivo dello sviluppo e come tale è caratterizzato da una grave compromissione generalizzata in diverse aree dello sviluppo (capacità di interazione sociale, di comunicazione, presenza di comportamenti, interessi ed attività stereotipate).

 

Sul web vi sono diverse associazioni che si occupano di autismo e delle sue problematiche di recupero anche in ambito scolastico. Tra queste segnaliamo i sit: www.fantasiautismo.org

www.angsaonlus.org www.autismotv.it www.genitoricontroautismo.org.

 

L'Ufficio scolastico regionale dell'Emilia Romagna da alcuni anni dedica particolare attenzione all'autismo, attraverso ricerche, convegni e monitoraggi in ambito scolastico.

 

Da una delle ultime rilevazioni condotte nelle scuole statali e paritarie dell'Emilia Romagna è risultato nella popolazione scolastica frequentante le scuole dall'infanzia alla secondaria di II grado (559.033 studenti), le certificazioni dello spettro autistico rappresentano lo 0,16 per cento, mentre sono il 7,36% di tutte le certificazioni di handicap.

 

 

8 aprile - da Tecnica della Scuola

 

Nel bresciano negata la mensa ai figli delle famiglie morose

di A.G.

 

Dopo il caso di Montecchio Maggiore, anche il Comune leghista di Adro perde la pazienza. Una mamma parla di un’imprudenza che ha portato all’umiliazione della figlia. Ed anche la legge non sembra dare ragione alla Giunta lombarda: il tempo mensa è scuola a tutti gli effetti.

Se quella di Montecchio Maggiore poteva sembrare una storia d’altri tempi, con gli alunni che per volere del Comune sono stati invitati a mangiare solo un panino perché le famiglie non pagano le rette per i pasti, ad Adro, in provincia di Brescia, si è andati oltre: stavolta la giunta, sempre leghista, ha deciso di punire la morosità delle famiglie estromettendo direttamente i figli dalla mensa. Una decisione che, norme alla mano, sembrerebbe non rispettare l'obbligo di frequenza del tempo dedicato al pranzo, previsto dall’art.1 della Legge n. 176 del 2007, attraverso cui si stabilisce infatti che“le classi funzionanti a tempo pieno” devono operare “con un orario settimanale di quaranta ore, comprensivo del tempo dedicato alla mensa”.

L’esclusione adottata nel Comune lombardo non riguarda, tuttavia, solamente alunni appartenenti a famiglie straniere; ma anche iscritti appartenenti a nuclei italiani in difficoltà. Come la signora, mamma di una bambina, che urtata dalla decisione ha inviato una lettera al sindaco di Adro, Oscar Lancini, oltre che al dirigente scolastico dell’istituto lombardo (il quale non sembrerebbe aver fatto molto per opporsi alla delibera comunale): la donna sostiene di aver "pagato le rette di febbraio e marzo con un leggero ritardo. Quand'anche il Comune fosse sull'orlo della bancarotta – continua la signora - mi sarei aspettata più attenzione, prudenza e rispetto prima di umiliare una bambina di 10 anni davanti ai suoi insegnanti e ai suoi compagni".

Anche gli amministratori dei Comuni, dal canto loro, sembrano avere ragioni da vendere: se una percentuale delle famiglie degli alunni, tutt’altro che irrisoria, dovesse continuare imperterrita a non pagare le poche decine di euro al mese richieste per ogni alunno, chi farà fronte ai debiti accumulati con i fornitori del servizio mensa? Evidentemente in tempi di “magra” i Comuni non se la sentono più di anticipare soldi che difficilmente riusciranno ad ottenere. Meglio, allora, attuare le maniere “forti”. Peccato che colpiscano chi non c’entra nulla con la diatriba Comune-famiglia: i bambini.

 

Da Disal

giovedì 8 aprile 2010

 

Inglese alla primaria: l'assurdo carosello degli specialisti

 

 Primaria, specializzandi in inglese in cattedra dopo appena 50 ore di corso

La Tecnica della Scuola – 6 marzo 2010  -  di Alessandro Giuliani

Il piano formativo predisposto dal Miur ne prevede 340 in tre anni, ma a settembre i maestri saranno già “abili e arruolati” grazie al sostegno di un collega-tutor. Critici i sindacati: la Flc-Cgil parla di evidente forzatura per fare ‘cassa’ attraverso gli organici; la Cisl chiede che vengano attuate precise condizioni.

 

Non hanno tardato ad arrivare le critiche dei sindacati per la decisione presa dal ministero dell’Istruzione, attraverso il Decreto n. 75

firmato dal direttore generale Massimo Radiciotti, di colmare il vuoto che lasceranno oltre 10.000 insegnanti di inglese della primaria, prossimi a tornare in cattedra per effetto della riduzione delle numero di classi affidate, attraverso delle vere e proprie full immersion specializzanti. L’operazione prevede che vi saranno inizialmente coinvolti 2.000 docenti di ruolo: il piano predisposto dal Miur indica, in particolare, che dopo aver superato la selezione e frequentato, a partire da maggio, le prime 50 ore di formazione integrata (30 in presenza e 20 on line), questi docenti a settembre saranno in pratica già “abili e arruolati” per insegnare l'inglese nel biennio iniziale. Ed in attesa di completare il percorso di formazione (340 ore totali in tre anni), potranno comunque fare affidamento ad un collega “tutor” già specializzato.

La soluzione non soddisfa minimamente le organizzazioni sindacali, informate della novità durante l’incontro sugli organici del 31 marzo. La Flc-Cgil ritiene la scelta ministeriale "una evidente forzatura" legata alla politica dei tagli e che andrà ancora una volta"a scapito della qualità della formazione, e dunque dell’insegnamento della lingua inglese, solo per risparmiare qualche migliaio di posti di specialista – concludono dall’organizzazione condotta da Domenico Pantaleo - rispetto a quelli attualmente necessari per coprire questo insegnamento in tutte le classi".

Non è da meno la Cisl Scuola, per la quale il progetto predisposto dal Miur potrebbe indurre "un abbassamento dei livelli di qualità dell'insegnamento, qualora non siano assicurate alcune precise condizioni. In termini più chiari – continua il sindacato - non basta che il possesso di un livello A1 di competenza sia indicato come requisito di priorità nell'accesso al contingente dei duemila corsisti ‘accelerati’: questo deve essere indicato come requisito essenziale e imprescindibile".

Per il sindacato confederale sarebbe inoltre opportuno che vengano "puntualmente e rigorosamente rispettati gli impegni che l'Amministrazione ha dichiarato di voler assumere: formazione in esonero dal servizio; presenza di figure di supporto; opportunità di formazione all'estero. L'efficacia e la qualità della didattica – conclude l’organizzazione capitanata da Francesco Scrima - non possono continuare ad essere l'ultima preoccupazione di chi governa la nostra scuola pubblica".

 

Tuttoscuola -  2mila maestri specializzati per insegnare l'inglese

Nel corso dell'incontro sugli organici al Miur, si è parlato anche di formazione e specializzazione di docenti per l'insegnamento dell'inglese nella scuola primaria.

Secondo le previsioni della manovra di razionalizzazione, è previsto il rientro in cattedra di oltre 11 mila docenti specialisti di inglese che insegnano attualmente soltanto questa disciplina in varie classi (mediamente 6-7), ma che in prospettiva potranno insegnare al massimo su un paio di classi.

Il rientro in classe come insegnanti generalisti comporta, quindi, la contestuale specializzazione di molti altri insegnanti che dovranno assicurare l'insegnamento dell'inglese in tutte le classi. A regime dovranno essere specializzati circa 22 mila docenti.

Per l'anno prossimo saranno già operativi 2mila docenti quasi-specializzati (la loro formazione inizierà a breve) che saranno utilizzati sulle prime e sulle seconde classi, senza avere completato la formazione prevista, seguiti dai loro formatori.

Per la Cgil-scuola, questo impiego dei 2mila docenti in via di specializzazione costituisce "una evidente forzatura a scapito della qualità della formazione". 

 

8 aprile – La Stampa

 

La cultura salverà la lingua

 

MARCO ZATTERIN

 

L’ufficio del personale Ue, Espo per farla breve, non la spunterà. I Trattati affermano insindacabilmente che l’Unione ha l’obbligo di parlare agli europei in ognuno dei ventitré idiomi ufficiali della Comunità. L’aver offerto 323 posti da «amministratore» con un concorso affrontabile solo in tre lingue è una chiara violazione della politica linguistica fondata sul regolamento n. 1 del Consiglio (1958). Se Roma, dove l’assenza dell’italiano ha toccato un nervo scoperto, deciderà di ricorrere alla Corte di Giustizia, avrà certamente partita vinta. Ma sarà una magra consolazione.

 

L’Espo è stato maldestro. Ora potrà tentare di discolparsi invocando la consuetudine della Commissione esecutiva, dove le riunioni di lavoro sono trilingue per prassi interna, si fanno in inglese, francese e tedesco. Oppure aggrapparsi ai problemi di bilancio, visto che la manutenzione del multilinguismo succhia oltre 1,1 miliardi l’anno dai forzieri dell’Ue. Potrebbero provare a dire che ventitré lingue per un esame costano una fortuna. Sarebbe inutile. Nei Trattati c’è scolpito che nessuno può essere escluso.

 

Sebbene siano tutte ufficiali e d’uguale statuto, le lingue in Europa si stanno asciugando per praticità. Gli ambasciatori che preparano le riunioni del Consiglio dei ministri discutono in inglese o francese, con una evidente prevalenza della prima lingua sulla seconda. Fa eccezione talvolta il rappresentante della République, generalmente per dispetto ai britannici. In Commissione qualunque manager ha teorico diritto all’interprete nelle riunioni ufficiali, però se il greco sceglie di esprimersi come il padre gli ha insegnato viene considerato uno sgarbo mirato a complicare le cose. Pertanto è un’occorrenza molto rara.

 

E’ facile prevedere che l’inglese alla fine avrà la meglio e che passo dopo passo si elimineranno parecchi vocabolari. Il francese dovrebbe salvarsi e la Germania si spenderà per difendere il tedesco.

 

L’italiano ha un piede fuori della porta, eppure a Roma nessuno può scandalizzarsi o lamentarsi se, quando si stringe la rosa, noi siamo fuori. Al di là delle parole e delle impennate di governi di ogni colore, i finanziamenti per la politica di promozione della lingua sono magri da anni. Basta chiedere agli istituti di cultura. Fondi tagliati. Iniziative azzerate. Risultati affidati al talento e all’estro dei singoli.

 

La lingua si protegge diffondendo la cultura. Francesi, tedeschi, britannici e spagnoli hanno scuole e centri di promozione in tutte le capitali. L’ambasciata francese a Bruxelles offre corsi di perfezionamento gratuiti ai giornalisti, cosa che fanno anche i fiamminghi del Belgio. Un paese, questo, dove nonostante le circa 300 mila presenze nazionali, l’Italia ha chiuso da quasi quarant’anni lo straccio di scuola che aveva e si è affidata alla Scuola Europea, dove però oggi hanno accesso solo i figli degli eurocrati. Per non parlare della folle voglia di tagliare la lingua straniera nelle classi della penisola.

 

In tempi recenti il ministero della Cultura ha asciugato i contributi per il cinema nella capitale europea, mentre sono miseri anche gli sforzi per la traduzione della letteratura nostrana che, invece, sarebbe il cavallo di Troia per una lingua a cui esperti vedono potenzialmente come la numero tre. Senza l’arte della parola, la lingua muore. Così, magari, un ricorso contro l’Espo salverebbe la faccia e l’onore. Poi, però, serviranno i soldi e la volontà politica del sistema intero, ché i primi senza la seconda non servono. Non c’è a Bruxelles un complotto italiano. Ci sono lingue e stati determinati nel difenderle. C’è la debolezza di un paese, il nostro, in cui le imprese vogliono andare all’estero senza sapere leggere un bando in inglese. Abbagliate magari da un politica che, legislatura dopo legislatura, ai fatti ha preferito le parole. Meglio se non straniere.

 

da Tecnica della Scuola

 

Docenti e dirigenti dipenderanno dalla Regione

di Reginaldo Palermo

 

E' la proposta della Lega che ha deciso di rompere gli indugi presentando un disegno di legge che entra in aperta concorrenza con quello di Valentina Aprea, fermo da un anno in Commissione.

A poche ore dal risultato elettorale, la Lega passa al contrattacco e decide di presentare un proprio disegno di legge in materia organi collegiali e stato giuridico del personale docente, in netta concorrenza con il progetto di Valentina Aprea fermo ormai da un anno in Commissione Cultura.

Il primo punto fermo della proposta leghista riguarda le modalità di assunzione: non solo il reclutamento dovrà avvenire su base regionale, ma anche i ruoli saranno regionali; in altre parole i docenti non sarebbero più dipendenti statali ma entrerebbero a far parte dei ruoli regionali.

Di conseguenza sparirebbe anche la contrattazione nazionale sostituita da tanti contratti quante sono le Regioni italiane.

Per insegnare in una determinata regione sarà necessario essere inseriti nell’albo regionale, essere residenti nella regione stessa ed impegnarsi a non chiedere trasferimento per almeno 5 anni.

Inoltre nei programmi di concorso sarà prevista anche una prova relativa alla cultura locale.

In realtà il disegno di legge Goisis riguarda non solo il personale docente ma anche gli Ata e i dirigenti scolastici che diventerebbero anch’essi dipendenti regionali.

Con la proposta dell’onorevole Paola Goisis cambia anche la governance delle istituzioni scolastica.

Gli organi sarebbero tre: Consiglio dell'istituzione, collegio dei docenti, dirigente scolastico. Le scuole saranno dotate di autonomia statutaria e saranno finanziate direttamente dalle Regioni, ferma restando la possibilità di ricevere contributi anche dalle famiglie, da enti pubblici, privati e soggetti esterni.

Non manca infine un richiamo ai programmi di studio: "Le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado - si legge nella proposta Goisis - utilizzano una parte del curricolo obbligatorio per la costruzione di percorsi interdisciplinari dedicati alla conoscenza del territorio di appartenenza, dal punto di vista storico, culturale, ambientale, urbanistico, economico, sportivo".

Il ddl è stato depositato presso l’ufficio di presidenza della Camera il 30 marzo e nei prossimi giorni dovranno esserne definite le modalità di esame.

Se la Lega dovesse “puntare i piedi” il provvedimento potrebbe andare in Commissione già prima della pausa estiva.

 

da Il Sole 24 ORE

 

Più che sapere, saper imparare

di Andrea Casalegno

 

La scuola dell'obbligo deve insegnare "conoscenze" o "competenze"? La domanda apparentemente è astratta, ma dalla risposta discendono conseguenze concrete, perché ne dipendono i contenuti e i metodi dell'insegnamento. Fino a pochi decenni or sono era considerato ovvio che la scuola dovesse impartire nozioni. Ma oggi il mondo è cambiato. Si constata sempre più spesso che le conoscenze non servono a chi non è in grado di usarle per risolvere problemi nuovi. E sono soprattutto le imprese a insistere sulla svolta.

 

«Oggi le imprese non sono più disposte a insegnare il mestiere per anni, si aspettano piena efficienza sin dal primo giorno di lavoro. E i lavori cambiano: non sono più uno o due nell'arco della vita ma 10-15, e saranno sempre di più. Non serve "sapere" ma "saper imparare"». Chi parla è Charles Fadel, responsabile Global Education della Cisco, autore del best seller XXI Century Skills e cofondatore del P21 (Partnership for XXI Century Skills): un gruppo che comprende 40 fra grandi aziende e altri enti, e che ha convinto 14 stati Usa, tra cui il Massachusetts, ad adottare il proprio progetto educativo. Il presidente Obama ha proclamato che «nel XXI secolo le abilità fondamentali saranno il pensiero critico, l'intraprendenza e la creatività». Per svilupparle la scuola dovrà insegnare in modo nuovo.

 

La produttività degli individui dipenderà sempre più dalla capacità di adattarsi, innovare, lavorare in gruppo, pensare in modo critico. «Se un dottore di ricerca cinese costa cinque volte meno di un europeo o un americano – continua Fadel – quest'ultimo dovrà essere cinque volte più produttivo, o finirà fuori mercato». È questa la premessa della svolta pedagogica «dalle conoscenze alle competenze», cioè a un sapere conquistato in modo attivo attraverso la soluzione di problemi tratti dalla vita reale. «Attenzione però – sottolinea Fadel –: non bisogna contrapporre conoscenze a competenze, bensì sviluppare le seconde dalle prime». L'insegnamento di base non va abbandonato, va potenziato. Restano validi gli obiettivi tradizionali: ridurre l'abbandono scolastico, accrescere il numero dei laureati, rafforzare le conoscenze nelle lingue, in matematica, scienze, storia, educazione civica.

 

A questi temi è dedicato il seminario che si tiene oggi a Roma alla Luiss, organizzato dalla Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo e da Treellle. «Oggi gli studenti – conclude Fadel – vogliono "imparare facendo". Già Confucio diceva, 500 anni prima di Cristo: se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio comprendo». È ora che la scuola italiana lo ascolti

 

 

da tuttoscuola.com

 

Aprea (Pdl) e Bachelet (Pd): dialogare si può

"Per noi la discussione in Commissione parlamentare sul ddl Aprea può riprendere in qualsiasi momento".

 

E' quanto ha affermato Giovanni Bachelet, presidente del Forum Istruzione del Partito democratico, durante il seminario internazionale 'La scuola dell'obbligo tra conoscenze e competenze' promosso dalla associazione TreeLLLe e svoltosi a Roma presso l'Università Luiss.

 

La disponibilità dell'opposizione a riprendere i lavori sul progetto di legge che revisiona lo stato giuridico dei docenti arriva nella stessa giornata in cui la Lega Nord ha reso pubblica, attraverso l'on. Paola Goisis, l'avvenuta presentazione di un ddl alternativo e più marcatamente regionalista, rilanciato in Lombardia dal capogruppo della Lega nella giunta regionale Boni.

 

Secondo Bachelet, che non ha citato il progetto della Lega, bisogna "riprendere la discussione da dove si era interrotta in estate, quando saltò e sui giornali si parlò solo del dialetto a scuola richiesto dalla Lega dimenticando quanto di buono si era fatto sino a quel momento per migliorare il testo".

 

 

Il Sussidiario

 

Poggi: ora impariamo dagli Usa e definiamo le "competenze" degli insegnanti

 

Annamaria Poggi

 

giovedì 8 aprile 2010

 

Il tema della giornata è cruciale ed è all’ordine del giorno del dibattito internazionale, europeo ed italiano. È infatti in corso un profondo cambiamento culturale. L’apprendimento è diventato prioritario rispetto all’insegnamento ed è in crisi l’organizzazione del sapere scolastico secondo un esclusivo approccio disciplinare. In una società in continuo e rapido cambiamento risulta centrale formare persone capaci di “navigare” la complessità e si sta affermando sempre più, anche se non in modo unanime, una pedagogia per competenze. Il profilo in uscita dello studente non è solo più la riproduzione di contenuti disciplinari ma anche la capacità di affrontare e risolvere situazioni complesse. Mutano allora i riferimenti teorici, la concezione del lavoro, il ruolo dell’insegnante, le modalità di apprendimento degli studenti anche connesse alla diffusione delle tecnologie.

 

Da tempo ci si interroga quindi su quali siano e su come valutare le competenze fondamentali, intese come insieme di conoscenze, capacità e attitudini che favoriscono la realizzazione personale, l’esercizio della cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. È da oltre un decennio che in Europa si lavora in questa direzione. Prima il Consiglio Europeo di Lisbona nel 2000, poi di Barcellona nel 2002. Più recentemente (lo scorso 3 marzo 2010) la Commissione europea ha evidenziato che per uscire dalla crisi l’Europa deve puntare ad una “smart, sustainable and inclusive growth”, ritenendo imprescindibile il ruolo giocato dall’istruzione, dalla formazione e dall’apprendimento lungo tutto il corso della vita.

 

Molto è stato fatto a livello europeo per definire e implementare le competenze chiave per la società della conoscenza. Si parla di saper comunicare nella propria lingua d’origine e attraverso altre lingue; di avere competenze matematiche e scientifiche; di possedere competenze digitali; di imparare ad apprendere; di avere competenze civiche e sociali; di avere spirito imprenditoriale e iniziativa personale; di possedere una solida formazione culturale.

 

In molti Paesi, poi, numerosi e riusciti con soddisfazione sono i tentativi di implementare le competenze chiave nei curricola secondo un approccio transdisciplinare, grazie anche a insegnanti preparati, che sperimentano innovazione e che sono supportati da dirigenti disponibili.

 

Una delle sfide più attuali riguarda la valutazione e certificazione delle competenze anche secondo la direzione indicata dal Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF). Le indagini PISA, TIMMS, IEA hanno consentito di individuare alcuni indicatori ma ovviamente c’è ancora molto da fare (sia a livello europeo che a livello nazionale) se si vuole costruire un sistema di valutazione strutturato e articolato.

 

In questa direzione gli Stati Uniti hanno sviluppato esperienze di grande interesse. Il Dipartimento dell’Educazione degli Usa si è dotato di una “guida” (Forum Guide to Education Indicators), in cui sono raccolti 98 indicatori in materia di educazione tra quelli più frequentemente utilizzati (2005). Il sistema di indicatori selezionati è di tipo, potremmo dire, “multidimensionale” in quanto considera sia la performance - ad esempio il raggiungimento dei risultati di apprendimento, il successo raggiunto ultimata la scuola - sia il contesto - cioè gli input (spese, caratteristiche degli studenti, background familiare, offerta formativa, personale, …) e i processi (la scelta dei corsi, i servizi di supporto, …) che possono aiutare a spiegare gli indicatori di performance. Il valore di un indicatore per avere senso ha necessità di essere letto e interpretato alla luce del contesto in cui si inserisce. La dispersione scolastica in Veneto o in Campania è riconducibile a interpretazioni differenti, fortemente condizionate da variabili di tipo socio-economico.

 

Un simile strumento, anche se non può rispondere a tutte le domande, è importante per i decisori politici, per i dirigenti e i docenti, per le famiglie sia per verificare se la scuola sta realizzando gli obiettivi dichiarati ma anche per sviluppare un maggior senso di “accountability”.

 

Costruire un sistema di indicatori rilevanti, validi, replicabili (qualità), tempestivi (tempo), efficaci (“costi”) è un’operazione complessa. Sovente gli indicatori che si utilizzano sono poco chiari, definiti in modo talmente diversificato da non consentirne la comparabilità, difficilmente interpretabili. Come si diceva il Dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti ne ha resi disponibili 98, ciascuno dei quali descritto puntualmente secondo un framework preciso: il nome dell’indicatore, alcune definizioni alternative del medesimo indicatore comunemente utilizzate, alcuni suggerimenti per il suo impiego, le domande a cui intende rispondere, i rischi di una errata interpretazione dell’indicatore, il collegamento con altri indicatori, i dati da aggregare per formare l’indicatore, la formula di calcolo, ecc. Ovviamente l’adozione degli indicatori richiede di “scendere a compromessi” con il contesto specifico, selezionando quelli ritenuti più utili e meno onerosi.

 

Sempre negli Stati Uniti, sul tema degli standard, a luglio del 2009 è stata pubblicata un’indagine riguardante la professionalità docente e le abilità di insegnamento, realizzata dal Regional Educationa Laboratory at WestEd (REL) per l’Institute of Educational Sciences (IES) del Dipartimento per l’Educazione, su 6 stati: California, Florida, Illinois, North Carolina, Ohio e Texas. Alcuni elementi possono rivelarsi di particolare utilità per una riflessione più generale sui criteri per la definizione di standard di riferimento per valutare l’insegnamento.

 

Innanzitutto la precisazione del target di riferimento che determina la definizione di standard univoca per l’intera popolazione docente oppure differenziata a seconda delle diverse caratteristiche dei docenti (insegnanti appena entrati in servizio, docenti esperti, secondo i livelli di carriera). In secondo luogo l’individuazione dei temi prioritari (insegnamento a soggetti con bisogni speciali, uso delle tecnologie, utilizzo degli standard di apprendimento degli studenti). Infine le modalità di intervento attivate per affrontare i temi prioritari (per studenti con bisogni speciali la personalizzazione e il supporto alla diversità; per l’uso delle tecnologie l’integrazione nel curricolo).

 

In Italia è in corso per la scuola secondaria di secondo grado, recentemente riformata, la definizione delle Indicazioni nazionali sugli obiettivi specifici di apprendimento (OSA) a partire dal Sistema dei Licei, che si sono ovviamente ispirate al Processo di Lisbona e ai successivi documenti e hanno cercato soprattutto per gli OSA del biennio uno stretto confronto con il Sistema degli istituti tecnici e professionali per le discipline di area comune.

 

Due le scelte culturali di fondo che hanno animato il lavoro della Commissione di studio incaricata dal Ministro: da un lato redigere le Indicazioni con la finalità di renderle fruibili e comprensibili al più elevato numero di soggetti, comprese le famiglie. Quindi per ogni disciplina è stato definito un profilo generale che descrive le competenze non secondo una logica tassonomica ma evidenziando in modo descrittivo i risultati che ci si attende lo studente raggiunga al termine del percorso disciplinare. Dall’altro ciascuna competenza è stata declinata secondo i nuclei fondamentali della disciplina e gli OSA sono articolati per bienni ed eventuale ultimo anno.

 

Con una simile articolazione gli estensori delle Indicazioni intendono raggiungere tre finalità fondamentali. La prima è l’assolvimento dell’obbligo scolastico, evidenziato ulteriormente anche attraverso il richiamo alle possibili connessioni tra discipline. La seconda è la riduzione delle carenze riscontrate nell’accesso agli studi superiori.

 

Al riguardo è da considerare centrale la valutazione periodica del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento affidata all’INVALSI. Occupandosi anche di individuare le zone più problematiche di implementazione, le analisi dell’INVALSI consentiranno di valutare l’opportunità di un aggiornamento periodico del profilo educativo, culturale e professionale dello studente anche in relazione ai cambiamenti culturali connessi al mondo del lavoro e degli studi superiori.

 

La terza finalità è la tutela e valorizzazione dell’autonomia delle scuole. Infatti definiti gli obiettivi specifici di apprendimento è agli insegnanti e alle scuole che sono affidati l’arricchimento e la piegatura degli OSA ai singoli percorsi liceali.

 

In questa direzione essendo la qualità dell’insegnamento e le doti di leadership del dirigente scolastico fattori determinanti e non trascurabili che incidono sulle performance degli studenti (come segnala l’indagine TALIS dell’OCSE), potrebbe essere interessante, in prospettiva, riflettere sugli standard di qualità dell’insegnamento, come anche l’esperienza statunitense suggerisce.

 

A complemento sulla’argomento:

 

Gentili (Confindustria): i licei ancora al bivio tra passato e finte riforme, di C. Gentili

 

Serianni: per insegnare con libertà e autonomia ci vogliono ancora Dante e Manzoni, di L. Serianni

 

 


Polemiche in vista all'interno della maggioranza?

da Tecnica della Scuola

 

Aprea rilancia il suo ddl: nuova governance e addio varianze di risultato

di A.G.

 

L’intervento durante un seminario TreeLLLe svolto alla Luiss: il futuro è fatto di docenti in grado di gestire e scoprire l’innovazione. E mentre Giovanni Bachelet (Pd) gli tende la mano, il concetto viene confermato dagli esperti non italiani: largo alle certificazioni standard con i descrittori di competenze.

“Continuare a trasmettere conoscenze (saperi) o sviluppare competenze (capacità, atteggiamenti, saper fare)? E’ questa la domanda ricorrente attorno a cui si è sviluppato l’8 aprile a Roma, presso l'Università Luiss per volontà dell'associazione TreeLLLe, il seminario internazionale “La scuola dell'obbligo tra conoscenze e competenze”. Dal dibattito, a cui hanno partecipato diversi studiosi, molti dei quali provenienti da fuori Italia, è emerso chiaramente che conoscenze e competenze non sono dei requisiti in antitesi, ma risultano entrambi altamente preziosi.

Claude Thélot, già presidente del Comitato nazionale sull’Avvenire della scuola francese, ha detto che “le conoscenze sono fondamentali ma non più sufficienti, da sole, per inserirsi nella vita adulta”. A tal proposito, ha illustrato la legge francese del 2006 sul “socle commun”, introdotta proprio per puntare trasmettere tutto quello che i giovani d’oggi non possono non sapere. “Si tratta di sette pilastri, un insieme di ‘conoscenze’ (lingua francese, straniera, matematica e cultura scientifica, scienze umane) e di competenze(nuove tecnologie, competenze sociali e civiche, autonomia e spirito imprenditivo. Il problema – ha sottolineato – è che la scuola sa bene come insegnare e valutare le prime, ma non è ancora attrezzata per le seconde”.

Charles Fadel (della Cisco System, Usa) ha spiegato che alla luce di questa convinzione è importante che si adottino “profonde innovazioni, sia nell’organizzazione degli ambienti scolastici sia nelle metodologie didattiche degli insegnanti”. Per quanto riguarda i docenti, gli esperti condividono la necessità di abbandonare la tradizionale lezione frontale per fare sempre più spazio al lavoro di gruppo, interdisciplinare e progettuale.

Anders Hingel, della Commissione europea, direzione generale sull’Education, si è invece soffermato sugli sviluppi del quadro europeo sul tema: “l’obiettivo dell’Ue – ha spiegato – è rendere sempre più confrontabili le certificazioni, attraverso i descrittori di competenze, in modo da consentire una reale libertà di movimento dei lavoratori. È quindi indispensabile – ha concluso Hingel – che tutti i sistemi scolastici si organizzino per svilupparle, misurarle e certificarle”.

Quest’ultimo punto, l’uniformità di offerta formativa, è stato uno dei punti più dibattuti nel pomeriggio, moderato da Andrea Casalegno, quando il seminario si è concentrato sugli orizzonti politico-riformatori. “Come si fa - ha detto Valentina Aprea (Pdl), presidente della commissione Cultura alla Camera - a resistere alla gestione regionalista, ancorchè con abilitazioni di carattere nazionale, di fronte a certe varianze di risultato scolastico presenti a livello non di Nord e Sud ma addirittura di istituti vicini".

La Aprea ha spiegato che, proprio alla luce della inequivocabile tendenza formativa internazionale, “non è più tollerabile accettare che il destino di un giovane possa essere deciso dalla casualità cui il genitore va incontro – ha detto con tono perentorio – quando lo iscrive ad un istituto piuttosto che ad un altro, magari situato nello stesso quartiere e a pochi isolati di distanza”.

A proposito della necessità di rivedere la formazione dei docenti, uno dei passaggi centrali del suo ddl, l’esponente del Pdl ha aggiunto che è sempre più necessario ed urgente introdurre “una competenza ‘generativa’, utile a migliorare le risposte dei discenti soprattutto attraverso l’uso dell’innovazione. Serve – ha concluso – un approfondimento veloce e sempre meno scontato, che favorisca la scoperta di ciò che non è noto senza soffermarsi troppo su risposte già note”.

L'ex viceministro dell'Istruzione ha quindi ripercorso tutti i punti salienti del suo progetto di legge arenatosi in estate a seguito delle ingerenze della Lega che chiedeva di adottare dei test selettivi sulle conoscenze territoriali: "Il mio programma - ha dichiarato Aprea - intende introdurre prima di tutto una nuova governance basata sulla cancellazione dell'autoreferenzialità degli istituti, l'inserimento nelle scuole di soggetti esterni e la possibilità per gli istituti di partecipare a fondazioni". Aprea ha anche specificato che il suo disegno di legge intende rivedere la "carriera dei docenti attraverso l'instaurazione di albi regionali ed un reclutamento regionale sussidiario".

Nessun riferimento è stato invece fatto nei confronti del progetto di legge presentato dalla Lega Nord, attraverso l'onorevole Paola Goisis, che intende contrapporsi proprio al suo ddl. Parole di apertura nei confronti del suo progetto di legge sono invece giunte da Giovanni Bachelet, presidente Forum Istruzione del Partito democratico: "Per noi - ha detto - la discussione in Commissione parlamentare sul ddl Aprea può riprendere in qualsiasi momento: occorre riprenderla da dove si era interrotta in estate, quando saltò e sui giornali si parlò solo del dialetto a scuola richiesto dalla Lega dimenticando quanto di buono si era fatto sino a quel momento". Parole che alla platea sono sembrate un mezzo assenso per una regionalizzazione del sistema scolastico da introdurre nel modo più “morbido” possibile.

 

da tuttoscuola.com

 

Iscrizioni alle superiori, una panoramica sui primi dati

 

Sono ancora a macchia di leopardo e del tutto parziali i dati che arrivano dagli uffici scolastici regionali circa le iscrizioni alle "nuove" superiori disegnate dalla riforma Gelmini.

 

Dopo il breve flash fornito su Roma, si registrano l'ottima performance degli istituti tecnici e professionali in Lombardia, un debutto promettente per i licei musicali e la ''tenuta'' di classico e scientifico.

 

Dopo le medie gli studenti lombardi continuano a preferire la strada della formazione professionale o tecnica che viene imboccata dal 56,83% dei ragazzi. Si iscrive invece al sistema liceale il 43,13% degli studenti della regione. I dati dell'Ufficio scolastico lombardo sono quasi definitivi, in quanto si riferiscono a un campione di 86.509 iscritti sui 90.730 totali, pari al 95,34%. Tra le tipologie di scuole stravincono le scuole statali con 69.137 iscrizioni (il 79,93%), seguite dai centri di formazione professionale regionali con 11.850 (13,7%) e dalle paritarie con 5.484 iscrizioni (6,34%).

 

In Trentino Alto Adige si registra un boom di iscritti alle scuole superiori in lingua ladina: +14% di studenti. Rispetto allo scorso anno, infatti, i ragazzi iscritti risultano essere 51 in più su un totale di 417 iscritti che frequenteranno gli istituti tecnici di Ortisei e La Villa e la scuola d'arte di Ortisei.

 

La new entry della riforma Gelmini, il liceo musicale, sembra piacere parecchio in Toscana dove gli iscritti alle superiori quest'anno sono 30.000 (9.300 a Firenze). Ad Arezzo, dove gia' esisteva in via sperimentale un liceo musicale-coreutico, i ragazzi sedotti da spartiti e balletti sono aumentati: da 44 iscritti al primo anno del 2009-2010 sono arrivati a quota 57. Stessa situazione a Lucca dove si è passati da 30 a 40. A Firenze, nella nuova sezione musicale istituita presso il liceo classico Dante gli iscritti oscillano fra 40 e 50. In totale il classico del Dante ha 130 iscrizioni (+30 rispetto al 2009) mentre nell'altro classico storico fiorentino, il Michelangelo, le iscrizioni sono state 205 (-25). All'istituto Leonardo Da Vinci si sono avute 110 iscrizioni ai tecnici e 270 ai professionali, dati stabili rispetto allo scorso anno.

 

Sostanziale tenuta dei licei scientifici rispetto all'anno scolastico in corso, aumento del liceo delle scienze umane (ex magistrale), calo del ginnasio e dei licei artistici (ex

 

istituti d'arte) e moderata diminuzione degli istituti tecnici e professionali: è il quadro delle iscrizioni alle prime classi degli istituti secondari statali che emerge in Umbria per l'anno scolastico 2010-2011.

 

In Campania la direzione scolastica regionale non dispone ancora di dati riassuntivi. Certo è però che al liceo classico Umberto, frequentato anche dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano, le iscrizioni hanno coperto tutti i posti liberi.

 

In base ai dati finora disponibili, a Palermo gli istituti superiori registrano la stessa quantità di iscrizioni dell'anno scorso. Al liceo classico Giovanni Meli, sono arrivate 350 domande, il 10% in meno rispetto al 2009 ''ma bisogna considerare - dice la vicepreside dell'istituto Giuseppina Buscemi - che aspettiamo ancora i dati di tutte le scuole medie della provincia''.

 

Stessa situazione anche al liceo scientifico Cannizzaro: ''abbiamo ricevuto 380 domande di preiscrizione - dice il preside Leonardo Saguto - confermando il trend dell'anno scorso. Bisogna considerare, inoltre, che sono dati provvisori che potrebbero aumentare visto che aspettiamo le richieste delle scuole di alcuni comuni della provincia''. Al liceo Margherita, oltre ai tre corsi linguistico, economico-sociale, psicopedagogico, è attivo l'unico indirizzo musicale della Sicilia occidentale (l'altro si trova a Modica in provincia di Ragusa) dove si sono iscritti circa 50 studenti.

 

9 aprile - da Tecnica della Scuola

 

La scuola è ormai una scatola vuota

di R.P.

 

Grido d'allarme della Flc-Cgil che lancia una serie di iniziative a difesa della scuola. Assemblea nazionale dei precari il 15 maggio e settembre gli Stati generali della conoscenza.

“La scuola è ormai una scatola vuota !”: è questo il grido d’allarme lanciato dalla Flc-Cgil all’indomani del confronto fra sindacati e Ministero in materia di organici.

“Non si è mai visto - accusa il sindacato di Mimmo Pantaleo - un Ministro della Repubblica procedere a testa bassa, lasciando che la scuola statale vada in malora, incurante dei diritti dell’utenza, del dissenso degli Enti Locali, Regioni, delle Associazioni Professionali e dei sindacati. La pervicacia del Ministro Gelmini nel cancellare posti di lavoro e sguarnire le scuole come presidi culturali non ha eguali nella storia della repubblica”.

I tagli previsti per il 2010/2011 sono in effetti pesanti, per tutti gli ordini di scuole; a soffrirne maggiormente saranno soprattutto le realtà più periferiche nelle quali la diminuzione dei posti di collaboratori scolastici creerà disfunzioni e difficoltà elevate.

Dalla primaria alle superiori si perderanno quasi 26mila cattedre sia perché saranno ritoccati i tetti minimi per la formazione delle classi sia per l’applicazione delle nuove disposizioni regolamentari.

Secondo Flc, per migliorale la situazione basterebbero “poche e semplici cose”, come per esempio rispettare le scelte delle famiglie sul tempo scuola, rispettare il Ccnl sulle prestazioni di lavoro di docenti e Ata, assumere a tempo indeterminato i precari docenti e Ata su tutti i posti liberi e finanziare i bilanci delle scuole.

“Ma - sottolinea il segretario nazionale Pantaleo - fino a quando il Ministro non rivedrà queste scelte di politica scolastica la scuola statale sarà in pericolo”.

A partire dai prossimi giorni la Flc promuoverà una serie di iniziative per richiamare l’attenzione della politica e della società civile sui problemi della scuola.

A fine mese ci saranno sit-in delle strutture regionali di fronte alle sedi degli uffici ministeriali, mentre il 15 maggio verrà organizzata una assemblea nazionale del personale precario.

Il 28 ci sarà una iniziativa nazionale sul tema delle risorse finanziarie alle scuole mentre per il prossimo settembre sono previsti gli Stati generali della conoscenza.

 

 

10 aprile - da Tecnica della Scuola

 

Finlandia, ecco perché hanno l’istruzione d’eccellenza

di Alessandro Giuliani

 

Uno speciale dell’Espresso ha messo in risalto i punti salienti che hanno portato il Paese nordico a svettare nei test Ocse-Pisa: insegnanti bravi, selezionati, ben pagati e sempre pronti a cambiare. Spiccano poi l’alta autonomia degli istituti e la delega del personale ai Comuni. La chicca finale? Tenere aperte le porte delle scuole tutti i giorni fino alle 9 di sera.

Avere buoni insegnanti, vincitori di concorsi dai quali il 90% dei candidati rimane a bocca asciutta e fortemente preparati attraverso appositi master triennali; mantenere alta la considerazione sociale dei prof, prima ancora dello stipendio, che comunque è decisamente più alto dei nostri; lasciar loro molta autonomia nel decidere i programmi (vincolati solo per alcune materie di base); poter contare su una forma mentis sempre disponibile al cambiamento e a migliorarsi; delegare la gestione del personale scolastico non allo Stato ma direttamente ai Comuni, che per chiamare i supplenti attingono da loro albo cittadino. Sono i cinque punti salienti che in Finlandia hanno fatto salire l’istruzione scolastica in cima al mondo: a toccarli con mano, e a riassumerli in un lungo servizio, pubblicato sull’ultimo numero dell’Espresso, è stata la giornalista Roberta Carlini. Che per l’occasione ha visitato l’istituto Jakomaki di Helsinki. Una scuola dove regna la tecnologia (un portatile a studente, ambienti wi-fi, ecc.), ma prima si guarda alla preparazione. Soprattutto di chi sta dietro alla cattedra. Tanto è vero che “chi vuole diventare insegnante” è colui che “il più delle volte ha avuto un buon insegnante”.

In base al resoconto, la ricetta vincente della Finlandia è fatta di “molte ricerche e di un progetto ad alto tasso di tecnologie: che non vuole dire – si legge nell’articolo - mettere computer e lavagna elettroniche in classe, ma saperli usare per riorganizzare l’interno ambiente scuola”. Certo, grazie al fatto che il Paese nordico ospita la stessa popolazione del Lazio rimane tutto più facile: gestire 500 mila studenti non è proprio come organizzare la formazione ad 8 milioni.

Tanto squilibrio di domanda non può però giustificare il gap abissale di offerta: in Finlandia “l’istruzione resta gratis – racconta Carlini - con i connessi servizi fino a tutta l’università. “Tasse? Rette? No, niente di tutto ciò. Gli studenti non pagano finché non escono da qui. Con laurea o Phd”, dice una docente universitaria. E più soddisfatti sono sicuramente anche i prof, visto che guadagnano in media oltre 30.000 euro l’anno e svolgono un mestiere che qualora volessero lasciare gli permetterebbe di trovare impieghi alternativi, sempre nel campo dell’educazione e della formazione: lo stipendio peraltro non è nemmeno altissimo (anche da noi si attesta attorno ai 23-24.000 euro), se si considera il tenore di vita del Paese. Ma quel che sorprende di più in assoluto è che alla resa dei conti l’impegno economico procapite per studente che lo Stato affronta è minore del nostro; senza contare che in Italia le famiglie si devono pagare, a differenza della Finlandia, spesso tutti i libri, la mensa ed il Governo non sovvenziona di certo “l’apparecchio per i denti”. Il risultato, incredibile ma vero, è che da noi si spendono in media 8.243 euro a studente, contro gli 8.048 della Finlandia.

Non è però solo una questione di soldi. La differenza, rispetto non solo all’Italia ma al resto del mondo, la fa l’organizzazione. Sempre proiettata al futuro. Un esempio? Dopo anni di sperimentazioni in Finlandia si è deciso di far frequentare in un unico istituto gli alunni dai 7 ai 16 anni: un modo intelligente per integrare ma soprattutto per sviluppare l’autonomia. Oltre che le conoscenze, competenze e capacità, visto che agli ultimi test Ocse-Pisa i 15enni finlandesi hanno svettato in tutte e tre le prove base: lettura, matematica e scienze. Le scuole sono poi il “centro della comunità”: anche se gli studenti fanno sulla carta poche ore obbligatorie (600 annue contro le oltre 1.000 dei nostri), in realtà tornano spesso il pomeriggio, fino a sera, tornano in classi ed aule magne per svolgere le attività più svariate. A volte anche con la famiglia. Come è lontana la Finlandia