Intervento Ministro Moratti - Modena, 29 giugno 2005

Scuola, università, lavoro: nuovi scenari e prospettive per i giovani


 

Scuola, università, lavoro: nuovi scenari e prospettive per i giovani
Intervento del Ministro Letizia Moratti al Convegno "Scuola, università, lavoro dopo la Riforma Biagi"


Modena, 29 giugno 2005

Desidero aprire il mio intervento, incentrato sull'analisi del lavoro del professor Marco Biagi in riferimento alla riforma del sistema educativo ed universitario, ricordando brevemente la sua coraggiosa opera per il progresso e l'innovazione del Paese. Il suo "Libro bianco" costituisce infatti un comune ed esplicito riferimento sia della legge di riforma del mercato del lavoro, sia del processo di riforma del sistema dell'istruzione e della formazione, che è ormai in fase di completamento con l'approvazione, in via preliminare, del decreto legislativo sul secondo ciclo da parte del Consiglio dei Ministri avvenuta il 27 maggio scorso.

Marco Biagi ha saputo raccogliere le indicazioni del percorso che l'Unione europea ha avviato nel 1993, con il Libro bianco dell'allora presidente dell'Ue, Jacques Delors, per raggiungere i traguardi fissati per il 2010 dal Consiglio di Lisbona del 2000.

Il suo impegno per la modernizzazione del Paese, nel quadro della strategia generale dell'Ue per trasformarsi, entro quella data, nell'area economica basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, è stato soprattutto teso a riaffermare la centralità della persona, alla quale vanno offerte opportunità per crescere sotto il profilo umano, culturale e sociale.

Per il Governo, queste sue indicazioni propedeutiche sono divenute una incontestabile preziosa eredità: la metodologia che ha ispirato i processi di cambiamento è stata perciò quella di andare incontro alle persone, con le loro storie da riconoscere, i loro bisogni da soddisfare, il loro potenziale da valorizzare. Seguendo quest'impronta, infatti, tanto il sistema educativo quanto il mercato del lavoro sono stati riformati seguendo una logica di personalizzazione dei percorsi formativi e dei rapporti di lavoro, attraverso regole moderne e flessibili, in grado di adeguarsi alle diverse esigenze degli studenti e dei lavoratori.

Durante il Semestre di presidenza italiana dell'Ue abbiamo condotto un'analisi sui 25 paesi dell'Unione Europea "allargata" che ha evidenziato profonde differenze tra i "clusters" di popolazione individuati per livello di occupazione, di istruzione e di inclusione sociale. Colpisce in particolar modo la gravità del rischio che corrono i giovani adulti europei con bassa scolarità, non occupati o occupati in attività a limitato valore aggiunto, che rappresentano, è vero, una piccola parte (3%) della popolazione attiva, ma che sono destinati a subire una drammatica esclusione dal mercato del lavoro ed un'altrettanto drammatica emarginazione sociale.

Colpisce ancor più il rischio che grava sugli europei oltre i 45 anni - un quinto della popolazione dell'Unione - che, con un livello educativo medio-basso, sono oggi sostanzialmente senza un'occupazione; come la posizione di grave pericolo nella quale si trovano oltre 30 milioni di adulti che hanno un livello di istruzione medio-alta (tra questi, il 70% sono donne) che comunque non trovano lavoro, o addirittura non lo cercano, contribuendo poco o nulla alla formazione del valore del capitale umano.

E, infine, i "lavoratori a rischio" (53 milioni di persone, il 21% dell'intera popolazione) che, distribuiti uniformemente su tutte le fasce di età, sono minacciati dalla rapida obsolescenza delle loro competenze professionali e che, più di altri, avrebbero bisogno di accedere ad un sistema di educazione e di aggiornamento permanente nel corso della loro vita attiva.

Questi dati suonavano allora come un forte campanello d'allarme, poiché il fattore più potente di insicurezza e instabilità che minaccia oggi i nostri sistemi di vita è il perdurare, e in molti casi l'aggravarsi, di squilibri sociali, di emarginazioni, di esclusioni di intere parti della nostra società da una soddisfacente vita lavorativa e da una proficua partecipazione alle relazioni interpersonali e con le istituzioni.

Per scongiurare questo pericolo, è stato pertanto necessario affrontare una sfida assolutamente impegnativa: ridisegnare, cioè, l'intero "welfare system" nel nostro Paese partendo dall'obiettivo di formare e valorizzare il capitale umano e il capitale sociale in una sempre più stretta integrazione tra politiche del lavoro e politiche educative e formative.

È forse banale ricordarlo, ma la conclusione alla quale è giunti dopo una gran mole di lavoro empirico fatto in questi anni a livello europeo è che c'è una relazione strettissima tra istruzione formale e livelli salariali, probabilità di occupazione e partecipazione al mercato del lavoro.

Meno banale è andare ad analizzare i meccanismi profondi che determinano queste relazioni. Lo ha fatto l'Ocse (Programme for international student assessment, PISA) arrivando alla conclusione che oggi è soprattutto la qualità dell'istruzione - e non più la scolarizzazione in termini assoluti delle nostre popolazioni - che dovrebbe orientare le nuove politiche di riforma dei sistemi educativi e formativi.

Ad esempio, le analisi dell'Ocse dimostrano che, mentre il gap tra anni di istruzione ricevuti da uomini e donne si sta progressivamente riducendo (in Italia come nel resto d'Europa), è la differenza tra ciò che gli uomini e le donne studiano a scuola e nelle università che influisce maggiormente sulle disparità retributive e sul loro inserimento nel mercato del lavoro.

Immaginiamo lo sviluppo atteso delle professioni e dei mestieri nei prossimi 20 anni, così come ce lo prospettano tutti i maggiori centri studi internazionali: destinati a crescere sono i lavori legati all'ingegneria, all'informatica, alle telecomunicazioni, alla salute, alla protezione ambientale... Ebbene, lo svantaggio che le donne ancora manifestano rispetto agli uomini in matematica e nelle materie scientifiche in generale peserà molto sulla loro capacità di partecipare a pieno titolo alla crescita attesa delle nuove professioni e soprattutto pregiudicherà in una certa misura la possibilità che le donne ottengano i migliori sviluppi di carriera disponibili invece ai loro colleghi maschi.

Questo è solo un esempio delle debolezze che contraddistinguono oggi la relazione tra mondo della scuola e mondo del lavoro e che possono minacciare la sicurezza della nostra società. Se vogliamo costruire una società più forte, più giusta, più sicura, è quindi verso i segmenti "deboli" delle nostre popolazioni che dobbiamo orientare le politiche educative e le politiche del lavoro.

D'altro canto, è ormai evidente a tutti, io credo, che soltanto da una forte integrazione tra politiche dell'istruzione e della formazione e politiche sociali e del lavoro potremmo sperare di ottenere un durevole incremento di competitività dei nostri apparati produttivi ed un reale rafforzamento della coesione e della stabilità sociale dei nostri paesi.

Per impartire competenze tecnologiche ad una quota sempre maggiore della forza lavoro occorrono oggi interventi di natura sociale e lavoristica a supporto dell'acquisizione di tali competenze in segmenti della popolazione che storicamente presentano livelli bassi di capitale umano. La complementarietà tra capitale umano e istruzione formale e formazione sul posto di lavoro indica che il successo di questi interventi dipende in larga misura dalla generalizzazione dell'accesso a opportunità di apprendimento fin dai primissimi livelli di istruzione.

D'altra parte questo stesso rapporto di complementarietà indica che opportunità di aggiornamento e di riqualificazione debbono essere date, in termini di apprendimento continuo, anche agli adulti che non hanno avuto occasione di ricevere un'adeguata scolarizzazione formale negli anni della loro gioventù.

Il "nuovo welfare" che stiamo provando a costruire, secondo gli auspici dello stesso professor Biagi, è quello che mette la persona - ogni uomo ed ogni donna - al centro del sistema sociale. Al centro, innanzitutto, delle politiche per l'educazione e al centro delle politiche del lavoro.

Ad esempio, al centro del sistema educativo e formativo, a qualsiasi livello, nella scuola primaria, in quella secondaria e nel ciclo di istruzione superiore, come nei percorsi formativi post-laurea, saranno pertanto soltanto la persona e la sua crescita integrale, coniugando aspetti cognitivi dell'apprendimento con quelli del "saper fare" e del "saper essere", cercando di realizzare la massima inclusione, offrendo pari opportunità, garantendo standard qualitativi crescenti.

Quattro fatti, secondo me, testimoniano il forte impegno dell'Italia in questa direzione. Innanzitutto, il "Patto per l'Italia" che nel 2002 indicò nell'istruzione e nella formazione gli strumenti per garantire a centinaia di migliaia di italiani l'opportunità di restare nel mercato del lavoro potendo aggiornare le proprie competenze. Fu quella la prima volta in cui un accordo, frutto della concertazione tra parti sociali, introduceva con tanto rilievo e significato politico il problema dell'intervento della scuola e del sistema della formazione professionale a supporto delle azioni per lo sviluppo e la crescita del mercato del lavoro.

Quindi la stessa "legge Biagi" che un anno dopo confermava quella scelta iniziale e la rendeva ancor più determinante per quanto riguarda la flessibilizzazione del mercato del lavoro, la riforma definitiva del collocamento e la nuova architettura dei contratti (a cominciare dall'apprendistato e dal tirocinio).

In terzo luogo, ciò che è stato fatto sotto la Presidenza italiana dell'Unione Europa, nel secondo semestre del 2003, quando abbiamo introdotto come nuovo metodo di lavoro, accolto unanimemente dai nostri partners, l'interazione stretta e sistematica tra politiche del "welfare" e politiche dell'istruzione e della formazione.

Infine, come detto, la riforma della scuola, che ha introdotto fondamentali novità: innalzamento della scolarità, grazie all'innalzamento dell'obbligo scolastico; ampliamento dell'offerta formativa, attraverso il rafforzamento del canale di istruzione professionale, per garantire le vocazioni di ogni studente; personalizzazione dei percorsi, per favorire la mobilità sociale; raccordo fra scuola e società civile, per favorire l'integrazione fra percorsi formali, informali e non formali e l'alternanza scuola lavoro, per aiutare i giovani a valutare più consapevolmente le loro attitudini.

Tutto ciò in perfetta coerenza gli obiettivi strategici del Consiglio di Lisbona. I Capi di Stato e di Governo intesero allora porre le basi per una "società dei saperi" che avesse come finalità la realizzazione umana e professionale di ciascun individuo, la coesione sociale e la competitività dei singoli paesi dell'Unione.

Ma questa nuova "centralità" dell'istruzione e della formazione non è soltanto il risultato di un nuovo modo di intendere le politiche dell'istruzione e più in generale le azioni per valorizzare e rafforzare il capitale umano del Paese: questa visione nasce dal fatto che ai sistemi educativi e formativi oggi si chiede - in modo pressante e talvolta ancora contraddittorio - la soluzione ai molteplici problemi socio-economici: dalla competitività delle imprese, alle cause della debolezza del mercato del lavoro, ai fenomeni di emarginazione sociale.

In definitiva, dalla scuola, dalla formazione, dall'università e dalla ricerca ci si aspetta per il futuro un contributo decisivo al superamento delle difficoltà attuali che il nostro mondo produttivo deve affrontare ed al controllo dei profondi mutamenti sociali in corso.

È bene inoltre sottolineare che accanto agli obiettivi "storici" dell'istruzione - la sua funzione conoscitiva, basata sull'insegnamento delle competenze di base, e la sua funzione professionalizzante basata sulla trasmissione dei saperi specifici utili all'inserimento nell'attività lavorativa - abbiamo posto per la prima volta l'obiettivo di una funzione socializzante basata sullo sviluppo delle capacità relazionali di ogni ragazzo e ragazza europei.

La sfida nuova è quella di un sistema educativo e formativo capace di creare il capitale umano e il capitale sociale dei nostri paesi. La nostra missione divenne non più soltanto quella di formare e rafforzare il valore economico delle conoscenze e delle competenze, misurabile nel contributo che esse danno alla generazione di ricchezza, ma anche quella di formare e rafforzare l'insieme delle capacità di relazione, di partecipazione e di integrazione fra individui, comunità, istituzioni.

Oggi sappiamo che esiste una chiara correlazione tra valore del capitale umano e valore del capitale sociale. La ricchezza, ma anche la sicurezza di ogni paese, appaiono sempre più il risultato di diversi fattori, tra i quali assumono grande importanza l'impegno sociale, il livello di partecipazione politica e culturale, la diffusione dell'associazionismo, la presenza del volontariato, l'estensione del non-profit e del privato sociale. In una parola, l'adesione anche alle regole non scritte ma tacitamente stabilite del vivere civile e del dialogo all'interno delle reti informali che operano nelle nostre società. Un'Europa con un forte capitale sociale potrà essere un'Europa non solo più giusta e solidale, quindi più sicura, ma anche un'Europa più competitiva e ricca.

Sul consolidamento dei rapporti fiduciari tra cittadini e istituzioni occorre dunque lavorare con l'istruzione e la formazione per stabilire quei comportamenti di cooperazione senza i quali non soltanto l'"architettura dei diritti" che la Costituzione oggi definisce ma le stesse prospettive di sviluppo e di benessere sarebbero gravemente compromesse.

In questi quattro anni di Governo molte cose sono cambiate. La legge delega sul nuovo sistema di istruzione e formazione e quella sul mercato del lavoro sono in fase di completamento e hanno già prodotto importanti risultati.

Ritengo importante illustrare proprio in questa sede i risultati che abbiamo raggiunto per quanto riguarda l'istruzione e la formazione. L'Italia ha fatto proprio il processo avviato a seguito del Consiglio europeo di Lisbona e il conseguente piano di lavoro sugli obiettivi comuni dei sistemi d'istruzione e formazione. In tale contesto, ha attivato una serie di misure nell'ambito delle cinque aree ritenute prioritarie, al fine di assicurare una più elevata qualità del sistema educativo (documento approvato dal Consiglio dei Ministri dell'Istruzione dell'Ue nel maggio 2003).

Ecco i principali interventi realizzati dal 2001 a oggi rispetto alle singole aree.

Diminuzione degli abbandoni precoci
Considerato che l'orientamento assolve a un importante ruolo strategico nella società della conoscenza, è stato messo a punto il Sistema nazionale per l'orientamento, che ha previsto la costituzione di appositi organismi a livello centrale e periferico - primo tra i quali il Comitato nazionale per l'orientamento - con il coinvolgimento di enti, livelli istituzionali, agenzie formative e soggetti rappresentativi delle istanze del territorio, e sono state elaborate le linee guida a supporto dell'attività degli Uffici scolastici interessati.

In tale ottica il Comitato nazionale si è notevolmente impegnato nel delineare il ruolo organizzativo ed operativo del Sistema nazionale, in coerenza con i bisogni e le vocazioni del territorio e le esigenze dei giovani. Sono stati attivati progetti di cooperazione tra scuole e imprese per la realizzazione di modelli di integrazione fra istruzione e percorsi formativi in ambiti lavorativi.

Un aspetto di grande novità in questo senso, ha riguardato il rafforzamento dell'istituto dell'apprendistato, attraverso il quale, come è noto, si realizza l'assolvimento del diritto-dovere di istruzione e formazione e lo svolgimento, al tempo stesso, di un'attività lavorativa. Lo sviluppo di queste iniziative ha contribuito ad una riduzione significativa del numero degli abbandoni in ambito scolastico e formativo prima dei diciotto anni: si è passati dal 25,3% del 2000, all'attuale 20%, rispetto ad una media europea dell'18,8%.

Ciò è stato possibile anche grazie ad una più razionale e mirata utilizzazione delle risorse dei Fondi strutturali, nell'ambito del Programma operativo nazionale "La scuola per lo sviluppo" 2000-2006, in particolare del Fse.

Completamento degli studi secondari o superiori

La legge 53/2003 di riforma degli ordinamenti scolastici ha delineato, con riferimento al secondo ciclo di istruzione, un sistema unitario articolato in due percorsi di pari dignità, quello dei licei e quello dell'istruzione e formazione professionale. La legge 30/03 sulla riforma del mercato del lavoro ha previsto l'apprendistato professionalizzante, che rappresenta un importante canale per l'inserimento occupazionale.

Inoltre i decreti attuativi della legge 53/03, relativi rispettivamente all'alternanza scuola-lavoro e al nuovo obbligo scolastico, hanno offerto tutta una serie di nuovi modelli e opportunità formativi di cui già oggi si colgono i positivi effetti. Queste azioni normative hanno consentito una più ampia "inclusione" nel sistema scolastico e formativo, hanno notevolmente ampliato la possibilità di transitare dai percorsi di istruzione a quelli di formazione e viceversa, e infine hanno permesso ai giovani di orientare e riorientare le proprie scelte culturali e formative in funzione degli interessi e delle vocazioni personali.

I percorsi di alternanza tra scuola e lavoro hanno dato, inoltre, la possibilità di utilizzare a fini educativi e formativi il potenziale presente nel sistema imprenditoriale e di avvicinare gli studenti al fare e all'agire e in particolare al mondo della produzione e del lavoro. Voglio aggiungere, ancora, che sono stati definiti e attivati in tutte le realtà regionali, sulla base dell'Accordo Quadro stipulato il 19 giugno 2003 tra Miur e Conferenza Unificata, percorsi di istruzione/formazione di durata triennale e quadriennale, finalizzati al conseguimento di una qualifica professionale, che hanno riguardato, sino ad oggi, circa 90 mila giovani che erano fuori dal sistema scolastico.

Sono state inoltre potenziate, attraverso progetti mirati, le iniziative a sostegno degli alunni in difficoltà, che hanno consentito di recuperare un consistente numero di insuccessi e di abbandoni scolastici e di incrementare il numero dei diplomati (oltre il 72%), avvicinandolo alla media europea.

Diminuzione del numero dei quindicenni con scarsa capacità di comprensione della lettura

Al fine della diminuzione del numero dei quindicenni con scarsa capacità di lettura, sono stati realizzati, nel triennio 2001-2004, tre progetti pilota di valutazione degli apprendimenti in italiano, matematica e scienze, cui hanno aderito circa 9 mila scuole. L'importante iniziativa ha anticipato, in maniera assai proficua, l'attivazione in via istituzionale del sistema nazionale di valutazione.

Di recente è stato predisposto un ampio programma nazionale per il rafforzamento degli apprendimenti di base, in attuazione del quale sono state costituite strutture operative centrali e regionali a supporto delle scuole ed è stata attivata tutta una gamma di iniziative finalizzate ad una formazione mirata dei docenti e al rafforzamento delle competenze di base degli allievi. Gli esiti di tale iniziativa si potranno cogliere non nell'immediato, ma nel medio periodo, in consonanza con l'entrata a regime della riforma degli ordinamenti.

Laureati in materie scientifiche

Abbiamo avviato il "Progetto lauree scientifiche", con la collaborazione di Confindustria e Conferenza nazionale dei Presidi di Scienze, finalizzato a migliorare l'apprendimento, ad aumentare l'attrattività delle materie scientifiche e ad incrementare il numero dei laureati in dette materie. Le azioni più significative del progetto sono state:

  • pre-orientamento scolastico, con l'introduzione di nuove metodologie didattiche per l'apprendimento delle discipline scientifiche;
  • predisposizione di un ampio piano di attività di formazione destinate ai docenti di area scientifica degli istituti di istruzione superiore;
  • potenziamento nelle Università degli stage e tirocini formativi;
  • potenziamento dei percorsi post-lauream, in particolare dei master organizzati in collaborazione con le associazioni imprenditoriali, gli enti locali, gli ordini professionali e gli enti pubblici e privati;
  • ridefinizione delle classi di laurea scientifiche, per rendere i percorsi universitari più rispondenti ai fabbisogni professionali del mercato.


Partecipazione ad iniziative di lifelong learning

Un rilevante impegno strategico, finanziario, organizzativo e operativo ha riguardato le politiche per la formazione continua e lo sviluppo complessivo delle competenze dei lavoratori occupati, in un'ottica di Lifelong learning. Il trend è in notevole crescita, poiché la percentuale dei lavoratori in formazione, che nel 2000 era pari al 13,9%, ha raggiunto, allo stato, il 20%.

Sono infatti in rapida evoluzione tutte le modalità di intervento formativo (in particolare quelle a domanda individuale) e gli strumenti rivolti a target specifici: donne, lavoratori interinali e con contratto atipico, lavoratori della Pubblica amministrazione. Gli interventi Lifelong learning sono stati costantemente monitorati e valutati, anche in funzione di una migliore riprogrammazione.

Nell'ambito delle iniziative volte a sviluppare un sistema di supporto e di salvaguardia delle politiche dell'occupazione e dei livelli occupazionali, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha promosso e finanziato numerosi progetti, presentati da organismi bilaterali quale espressione della concertazione delle parti sociali. Per favorire l'incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro, che fosse in grado di orientare in modo sistematico e continuativo l'azione del mondo imprenditoriale, di quello della formazione, nonché degli stessi soggetti in cerca di occupazione, si è dato avvio alla costituzione di un sistema di monitoraggio e di rilevazione permanente dei bisogni formativi.

D'altro canto l'attività del Miur è stata finalizzata al potenziamento e alla diffusione di un sistema organico e strutturato di educazione permanente, sia attraverso la costituzione di reti integrate tra i Centri territoriali permanenti (Ctp), sia attraverso apposite misure di sostegno agli istituti di istruzione secondaria sedi di corsi serali. Si è registrato un costante aumento dell'offerta formativa dei Ctp, con il coinvolgimento di oltre 400 mila soggetti, di cui 116 mila stranieri.

E' stato altresì potenziato il sistema di Istruzione e formazione tecnica superiore (Ifts), con l'obiettivo di innalzare i livelli di qualificazione e di alta specializzazione tecnica superiore dei giovani e degli adulti. Dal 1999 ad oggi sono stati attivati sul territorio nazionale oltre 2200 corsi, con un trend di sviluppo annuale di circa il 27% e con il coinvolgimento di circa 40 mila giovani. Gli indirizzi professionali maggiormente richiesti sono stati quelli dell'area Telematica, Informatica e Multimediale, del settore dell'Industria e dell'Agricoltura.

Questi positivi risultati ci incoraggiano ad andare avanti con determinazione nell'ultimo scorcio di legislatura. Vorrei sottolineare con orgoglio che nel recentissimo Rapporto "Prospettive sulle Pmi e l'imprenditorialità", presentato a Trento nel corso della Conferenza internazionale sullo sviluppo dell'imprenditorialità" svoltosi giovedì scorso 23 giugno, l'Ocse ha espresso un giudizio fortemente positivo delle nostre azioni, in particolare per quanto riguarda l'alternanza scuola-lavoro e la Rete telematica del "Progetto impresa formativa simulata", che coinvolge oltre 800 imprese reali. mila studenti delle superiori. Nel giugno 2004 operavano 477 imprese di formazione simulata e altre 280 entreranno in funzione nel corso di quest'anno, coinvolgendo complessivamente 12.000 studenti.

Per concludere, vorrei sottolineare come scuola e università stiano recuperando quella "cultura del lavoro" che sembravano aver perso. Ed anche nel nostro Paese, la distanza tra la cultura del "sapere" e la cultura del "saper fare" si sta finalmente riducendo, anche attraverso nuovi modelli di organizzazione del sistema educativo e il collegamento non solo tra le scuole, le agenzie formative e le imprese, ma anche con gli atenei e i centri impegnati nella ricerca scientifica e nel trasferimento tecnologico.

In questo delicato momento di avvio del confronto parlamentare sul decreto legislativo di riforma del secondo ciclo di istruzione e formazione, che completerà dopo l'estate la riforma avviata con la legge 53/2003, vorrei richiamare una frase del professor Biagi che il collega Maroni ha riportato sul sito del Ministero del lavoro: "Ogni processo di modernizzazione avviene con travaglio, anche con tensioni sociali, insomma pagando anche prezzi alti alla conflittualità".

L'eredità di Marco Biagi, contenuta profeticamente anche in questa riflessione, è un invito alla responsabilità di tutti. Come pure alla responsabilità ci richiamano le sue ultime parole pubblicate in un editoriale su Il Sole 24-Ore il giorno stesso del suo vile assassinio: "Chi è contro le riforme è contro l'Europa". Perché ignorare le richieste di modernizzazione provenienti dalla società e dall'Europa "sarebbe una scelta egoistica, propria di chi pensa a se stesso e non immagina un futuro migliore per i propri figli. La solidarietà è effettiva se davvero si cerca di costruire una società diversa e più giusta".