Milano, 15 marzo 2006
Convegno "A che
punto siamo rispetto all'agenda di Lisbona"
Intervento del
Ministro Letizia Moratti
Colgo l'occasione di
questo incontro per fare il punto sull'attuazione degli obiettivi dell'agenda
di Lisbona e, al tempo stesso, ritengo opportuno tracciare un bilancio dei
cinque anni del mio mandato alla guida del Ministero dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca, in via di conclusione.
Un mandato che, come
ha riconosciuto il secondo Rapporto congiunto del Consiglio e della Commissione
europea relativo al programma di lavoro "Istruzione e formazione
2010" approvato poche settimane fa, è stato caratterizzato da una serie di
azioni di potenziamento e sviluppo - secondo una visione per la prima volta
unitaria ed integrata - di tutte le componenti della "filiera della
conoscenza" (scuola-università-ricerca), che hanno portato l'Italia a
compiere sensibili progressi rispetto ai "benchmark" auspicati
dall'Unione europea, in alcune delle aree d'intervento ritenute prioritarie per
migliorare la qualità dei sistemi educativi nazionali.
In particolare,
abbiamo potuto registrare risultati significativamente positivi per quanto
riguarda gli abbandoni precoci nella scuola, il numero di giovani che portano a
termine il secondo ciclo di istruzione superiore e quello dei laureati in
discipline scientifiche e tecnologiche, a dimostrazione dell'impegno del
Governo italiano in questo settore, che ha sin dall'inizio considerato la
centralità delle politiche educative e formative, nella loro complementarietà
con le politiche sociali e del lavoro, quale fattore di sviluppo della coesione
sociale e della crescita economica del Paese.
Ricordiamo
brevemente quali sono i principi fondamentali e le strategie comuni che i capi
di Stato e di Governo dei Paesi dell'Unione europea si diedero nel marzo del
2000 a Lisbona, per fare dell'Europa, entro il 2010, "l'economia basata
sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo". In quell'occasione
fu deciso che l'Europa avrebbe dovuto investire fortemente sul capitale umano
per far fronte al nuovo dinamismo del mercato mondiale e ai nuovi modelli di
organizzazione del lavoro dovuti all'introduzione delle tecnologie telematiche.
La situazione dell'Italia, al pari e, in alcuni settori, più di altri Paesi dell'Unione,
presentava criticità in tutte e tre le componenti della filiera della
conoscenza con le conseguenti difficoltà a fronteggiare gli emergenti problemi
di crescita del mercato, di occupazione e di competitività.
Cinque anni fa,
all'inizio del mandato governativo, abbiamo trovato infatti una scuola che
dettava regole e standard uguali per tutti, complessivamente incapace di
interessare e motivare i ragazzi nel loro percorso di crescita, di dialogare
con le famiglie che hanno il difficile compito di educare i giovani, e anche di
valorizzare le professionalità e i meriti degli insegnanti, poco pagati e
troppo spesso costretti a svolgere dispendiose funzioni burocratiche.
Trecentomila ragazzi e ragazze, oltretutto, restavano al di fuori del sistema scolastico
senza mai raggiungere un diploma o una qualifica. Nel 2001 avevamo inoltre lo
scomodo primato del più basso numero di laureati inseriti nel mondo
dell'impresa e del lavoro; eravamo in presenza di un elevatissimo numero di
"matricole" universitarie pronte ad abbandonare gli studi entro il
primo anno, accanto a numerosissimi "fuori corso".
Tra i punti deboli
del nostro sistema universitario relativamente agli esiti dei processi
formativi, indicati dall'Ocse nel 2001, si segnalavano inoltre la bassa percentuale
di laureati e dottori di ricerca sulla popolazione attiva, la percentuale
rispetto al PIL delle risorse pubbliche destinate all'istruzione superiore,
l'entità della spesa per la formazione universitaria per studente, l'indice di
passaggio tra scuola e università, il basso rapporto tra studenti e docenti e
il tasso di produttività del sistema relativamente al numero dei laureati e
diplomati. Ben 65 studenti su 100, ovvero due terzi degli iscritti, non
giungevano alla laurea.
In altre parole, il
nostro era un sistema universitario fondamentalmente incapace di dare risposte
a una reale domanda di professionisti e di talenti che la società richiedeva.
Queste criticità venivano ripetutamente sottolineate a livello internazionale,
insieme con l'auspicio che il nostro Governo intervenisse finalmente in maniera
strutturale per dotare il Paese di un sistema di Istruzione superiore moderno e
competitivo.
Per quanto riguarda
il settore della ricerca, le nostre "prestazioni" a livello
internazionale erano inficiate da alcune criticità strutturali del tessuto
produttivo nazionale, quali ad esempio la limitata dimensione delle imprese, la
loro scarsa propensione ad investire in innovazione, la bassa percentuale di
valore aggiunto e di occupazione attribuibile al settore "high tech"
rispetto all'intero settore produttivo, la scarsa utilizzazione di processi di
trasferimento tecnologico che consentissero alle imprese di utilizzare nuova
conoscenza proveniente dalla ricerca di base. Tutte queste peculiarità generano
infatti debolezza strutturale e conseguente impossibilità di sostenere i grandi
investimenti in ricerca scientifica, soprattutto da parte dei privati, nei
nuovi settori ad alta crescita su un orizzonte temporale adeguato. E' questa
situazione che rende ancora essenziale un forte intervento del sistema pubblico
nel settore della R&S per sostenere la competitività del sistema produttivo
italiano e europeo.
Questi erano i
problemi più rilevanti che ci siamo trovati ad affrontare. Abbiamo perciò
avviato un'azione riformatrice complessiva in tutte e tre le componenti della
"filiera", che ha trovato i suoi capisaldi nella riforma della
Scuola; nella riforma degli ordinamenti didattici universitari, dei meccanismi
di reclutamento dei docenti e nell'introduzione di un nuovo criterio di
finanziamento degli Atenei, basato sul merito e sulla valutazione della qualità
dei processi formativi e della ricerca; e infine nel rilancio del sistema della
ricerca scientifica italiano in termini di assoluta discontinuità con il
passato, attraverso una strategia "mission-oriented", intesa come
strumento per migliorare la qualità della vita dei cittadini per quanto
riguarda la salute, la sicurezza, la tutela ambientale, per favorire la
competitività delle imprese e lo sviluppo sostenibile a livello globale.
Tra gli obiettivi
prioritari che ci eravamo dati all'atto dell'insediamento del Governo
Berlusconi, c'era pertanto quello di costruire una scuola, una università e una
ricerca al servizio della persona, della famiglia e della società, in grado di
liberare l'energia, la creatività, la capacità delle persone, di ciascuna
persona. Una scuola, una università e una ricerca che fossero inoltre in grado
di creare, valorizzare e consolidare la conoscenza come risorsa strategica per
lo sviluppo e la coesione sociale dei popoli, facendo dell'Italia un Paese
protagonista in Europa e nel mondo, soprattutto in termini di innovazione e di
competitività reale, così come era stato stabilito nell'Agenda di Lisbona.
Guardiamo
rapidamente a quanto è stato fatto per ciascuna di queste tre componenti.
Istruzione e
formazione professionale
Dopo decenni di
immobilismo - l'ultima riforma scolastica risaliva a circa 80 anni fa - abbiamo
varato la legge n. 53 del 2003, che ha ridefinito il sistema educativo di
istruzione e formazione professionale.
Rispondendo alle
indicazioni di Lisbona, la nostra Riforma intende, nei suoi principi generali,
dare anche concreta attuazione all'obiettivo dell'apprendimento per tutto
l'arco della vita, assicurando a ciascuno pari opportunità per il
raggiungimento del successo formativo, secondo i vari livelli culturali, e
sviluppando le capacità e le competenze adeguate all'inserimento nella vita
sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionali
ed europea.
Nel 2004 è stata
varata la riforma degli ordinamenti scolastici relativamente al primo ciclo di
istruzione, comprendente la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e la
scuola secondaria di 1° grado. L'introduzione dello studio obbligatorio della
lingua inglese e dell'informatica fin dal primo anno della scuola primaria va
in direzione del perseguimento degli obiettivi fissati nell'agenda di Lisbona e
recepiti nei programmi nazionali. L'acquisizione di competenze ed abilità da
parte degli studenti, fin dall'inizio della scolarità obbligatoria, in due
discipline strategiche per un inserimento qualificato nella vita sociale e nel
mondo del lavoro, mira a favorire quella valorizzazione del capitale umano
considerata risorsa primaria per lo sviluppo e l'occupabilità.
Il riordino
dell'intero sistema di istruzione e formazione è stato poi completato nel 2005
con l'introduzione di un sistema unitario articolato in due percorsi di pari
dignità, quello dei licei e quello dell'istruzione e formazione professionale.
Il sistema dell'istruzione e della formazione professionale, come quello dei
licei, consente agli studenti, attraverso meccanismi di riconoscimento di
crediti formativi certificati, di passare in qualunque fase del percorso da un
percorso all'altro. Tale flessibilità si estende anche all'istruzione terziaria
- Università, Alta formazione artistica e musicale, Istruzione e formazione
tecnica superiore - alla quale, previa frequenza di un anno integrativo,
possono accedere anche coloro che siano in possesso di qualifiche e diplomi
professionali. Parimenti gli studenti dei licei che conseguono l'ammissione al
quinto anno possono accedere ai percorsi Ifts, istituiti nell'ambito delle
misure per il rilancio dell'occupazione. Attraverso la concertazione
istituzionale con le Regioni e gli Enti locali, nel confronto con le Parti
sociali, a partire dal 2004 è stata avviata la costituzione dei Poli formativi
di settore per l'istruzione e la formazione tecnica superiore, con l'obiettivo
prioritario di rilanciare la competitività dei settori produttivi in crisi e di
favorire il trasferimento tecnologico. Sono stati istituiti i primi 20 Poli nei
settori ICT, calzaturiero, agro-alimentare, economia del mare, plasturgia,
tessile e moda, trasporti, automazione industriale.
La legge 53 prevede,
inoltre, in linea con gli obiettivi dell'Agenda di Lisbona, il diritto/dovere
all'istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, fino al
conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il 18^ anno di
età. E' stato infine istituito un sistema di alternanza scuola-lavoro,
finalizzato ad assicurare ai giovani, a partire dai 15 anni, oltre alle
conoscenze di base, l'acquisizione di competenze spendibili nel mercato del
lavoro. I percorsi in alternanza sono progettati, attuati, verificati e
valutati sotto la responsabilità dell'istituzione scolastica o formativa, sulla
base di apposite convenzioni con le imprese, o con le rispettive associazioni
di rappresentanza, o con le camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura, o con gli Enti pubblici e privati.
Il progetto che
abbiamo portato a termine con la riforma è invece quello di costruire una
scuola di qualità che sappia coniugare il "sapere" al "saper
fare" e al "saper essere", offrendo ai giovani valori, principi,
ideali perché possano formarsi come persone libere, responsabili e forti,
perché diventino cittadini capaci di vivere a pieno la democrazia, perché
diventino professionisti in grado di inserirsi con successo nel mercato del
lavoro.
Una scuola in grado
di essere prima di tutto comunità educante, idonea a cogliere e valorizzare le
attitudini e le capacità di ognuno, di aiutare i ragazzi a sviluppare relazioni
interpersonali, a vivere i valori dell'amicizia, della comprensione, del
dialogo e della solidarietà. Le nostre iniziative ci hanno permesso, inoltre,
di far già rientrare nel sistema di istruzione e formazione ben 120.000
studenti.
Infine, cito due dei
dati positivi evidenziati dal rapporto congiunto del Consiglio Istruzione del
23 febbraio scorso a cui ho accennato inizialmente.
La percentuale degli
abbandoni precoci nella scuola è passata dal 25,3% del 2000 al 21,9% del 2005
(dati Eurostat), con il tasso di decremento più alto rispetto ai principali
Paesi europei. E' cresciuto quindi il tasso di scolarizzazione nella fascia di
età tra i 18 e i 24 anni. Peraltro, secondo i dati più recenti in possesso del
Ministero, la situazione è ulteriormente migliorata: attualmente infatti il
tasso di abbandono scolastico si attesta attorno al 20 per cento. L'obiettivo
per il 2010 è di arrivare, a livello europeo, al 10%".
Il saldo italiano è
positivo anche per quanto riguarda il dato relativo ai giovani che hanno
completato il ciclo secondario di istruzione: dal 68,8% del 2000 al 72,9% del
2005. L'obiettivo atteso per il 2010 è l'85% a livello comunitario. Anche la
partecipazione di persone tra i 24 e i 65 anni (popolazione in età lavorativa)
ad attività di lifelong learning rivela un incremento nel corso del quinquennio
2000-2005.
Università
Sul versante
universitario il Governo ha dovuto affrontare una situazione di arretratezza,
dovuta anche alla necessità di fornire servizi formativi di qualità ad un
numero sempre più elevato di giovani. Nel quadro del programma dell'Esecutivo,
il Miur ha avviato pertanto una serie di azioni di sistema preordinate a:
migliorare la qualità del sistema universitario soprattutto in termini di
risultati dei processi formativi; migliorare la competitività delle università
sia all'interno del nostro Paese che a livello internazionale; sostenere
l'attrattività del nostro sistema non solo all'interno dell'UE, ma anche a
livello internazionale, secondo gli obiettivi e gli impegni assunti nell'ambito
del processo di Lisbona e con la Dichiarazione di Bologna.
Il nostro obiettivo
era anche quello di un'università che fondasse sempre più le sue regole sul
merito, a partire dai criteri di finanziamento, favorendo l'ingresso dei
giovani ricercatori negli atenei e riacquistando serietà e trasparenza nei
meccanismi di reclutamento. Oggi, ritengo di poter affermare, possiamo offrire
al Paese un'istituzione che pone finalmente al centro della sua azione lo
studente, con i suoi bisogni, il suo diritto di ottenere una laurea di qualità,
nei tempi di durata legale del percorso di studio, e coerente con la
professione che andrà a svolgere, privilegiando i criteri della valutazione e
della qualità dell'offerta formativa e dei servizi per gli studenti.
La riforma degli
ordinamenti didattici universitari è stata completata e sta già registrando
effetti positivi. Tutti i corsi di studio di I e II livello sono stati
completamente riordinati. Attualmente sono attivati, presso i 92 Atenei del
nostro Paese, 2950 corsi di laurea triennali e circa 1670 corsi di laurea specialistici.
E' stata completata la revisione del regolamento sull'autonomia didattica degli
Atenei che consentirà alle università una maggiore flessibilità nella
progettazione di tutti i corsi di studio, in più stretta aderenza alle esigenze
del tessuto economico, sociale e produttivo del Paese.
Cito brevemente
alcuni "indicatori di successo" della politica governativa,
evidenziati dall'ultimo rapporto del Comitato di valutazione del sistema
universitario dello scorso settembre.
In questi anni, i
finanziamenti al sistema universitario italiano sono cresciuti da 6,16 miliardi
di euro (2001) a 6,93 miliardi del 2005, con un incremento del 13,5%. Questo
aumento, unitamente a specifici interventi a favore dei giovani e per il
diritto allo studio per un importo complessivo di 288 milioni di euro, ha
permesso, tra l'altro, l'incremento del 20% circa del personale docente e
ricercatore rispetto all'anno 2000, passato da 50.501 unità a 60.089 al 1
gennaio 2006; il rientro di oltre 400 studiosi italiani residenti all'estero;
l'aumento da 3.000 a 8.000 del numero delle borse di dottorato e degli assegni
di ricerca; l'attivazione di 2.000 nuovi assegni biennali di ricerca; un
incremento di circa il 15% delle borse di studio; il via libera alla
realizzazione di 16.000 nuovi posti nelle residenze universitarie (+44%); il
potenziamento delle iniziative di orientamento e tutorato, mobilità, diffusione
delle tecnologie informatiche. Certamente non siamo ancora in linea con la
media europea, ma siamo perfettamente consapevoli della necessità di continuare
ad investire per potenziare l'Università italiana.
Sono stati poi
previsti interventi specifici destinati a superare le rilevate criticità del
sistema attraverso l'istituzione dell'Anagrafe Nazionale degli studenti e dei
laureati, con la quale, anche attraverso azioni di coordinamento con la Banca
dati offerta formativa del sistema universitario, si conta di offrire agli
studenti un'ampia base di informazione su tutti i corsi di studio attivati
dagli Atenei ed elementi di analisi e valutazione circa l'esito degli sbocchi
occupazionali dei laureati.
Conseguentemente a
questa logica, un'altra delle riforme strutturali ha riguardato il nuovo
sistema di finanziamento degli Atenei, non più basato sul solo numero degli
iscritti ma anche sulla qualità, sul merito, e sui risultati, inclusi quelli
della ricerca.
Il nuovo modello di
finanziamento adottato considera infatti, per l'assegnazione delle risorse
statali, i risultati ottenuti da ciascun ateneo (in confronto con tutti gli altri)
in termini di:
·
studenti "regolari" iscritti
·
risultati ottenuti (esami superati e laureati)
·
impegno nelle attività di ricerca scientifica
Si tratta, com'è
facile intuire, di un'innovazione di forte rilevanza per promuovere la
competitività delle Università e per incentivare la ricerca scientifica e
tecnologica universitaria.
Per accrescere la
competitività, sul piano internazionale è stato avviato un incisivo processo di
internazionalizzazione delle Università.
Sulla base anche
degli impegni sottoscritti a Praga e a Berlino, sono stati riservati 15 milioni
di euro per consentire agli Atenei di avviare programmi congiunti di studio con
Università europee, con gli USA, con i paesi del Mediterraneo, dell'area
balcanica e dell'America latina.
Tali iniziative, che
posizionano oggi il nostro Paese ai primi posti in ambito europeo, hanno
consentito di potenziare la mobilità di studenti, professori e ricercatori, e
di permettere l'acquisizione di titoli di studio spendibili nel mercato del
lavoro europeo. Inoltre, nell'ambito degli orientamenti dell'Unione Europea
mirati a "sviluppare le risorse umane e promuovere la comprensione tra le
culture e il riavvicinamento dei popoli nella regione Euro Mediterranea",
durante la Presidenza italiana dell'Unione sono state poste le basi per una
collaborazione con i Paesi dell'Area, attraverso la "Creazione di uno
Spazio Euromediterraneo di istruzione superiore", il cui percorso è stato
portato a termine con la Dichiarazione di Catania il 29 gennaio scorso.
In quell'occasione,
insieme con i Ministri dell'Istruzione e della Ricerca di Algeria, Egitto,
Francia, Giordania, Grecia, Malta, Marocco, Portogallo, Slovenia, Spagna,
Tunisia, Turchia, abbiamo sottoscritto nella città siciliana una Dichiarazione
congiunta che mette in pratica gli obiettivi di Barcellona. I Governi di questi
Paesi si sono impegnati a promuovere la convergenza dell'architettura dei
sistemi d'istruzione superiore dell'area euromediterranea, pur preservando le
specificità di ogni Paese, e a stabilire dei percorsi educativi e formativi
comuni, basati su un sistema di crediti compatibili e trasferibili e su
qualifiche facilmente leggibili, riconoscibili e spendibili nel mondo del
lavoro, condividendo per tali percorsi criteri e metodi di valutazione e di
garanzia di qualità, in modo da facilitare la mobilità di studenti, ricercatori
e docenti.
Nell'ambito di
questa iniziativa sono stati istituiti, dal 2003 ad oggi, 8 centri di
eccellenza attraverso delle partnership tra Università e centri di ricerca italiani
e le migliori Università dei Paesi del Mediterraneo, ed è stata lanciata
l'Università euromediterranea telematica a distanza, sviluppando i risultati
già ottenuti dal Progetto Med Net'U, per agevolare il più ampio accesso
all'istruzione e alla formazione in una prospettiva di lifelong learning,
tenendo conto delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie informatiche e
di comunicazione.
Per promuovere
l'attrattività del nostro sistema universitario, una quota del Fondo di
finanziamento ordinario delle università sarà poi destinata alla stipula di
contratti da parte delle università statali con studiosi ed esperti stranieri o
italiani che vogliono promuovere, in Italia, specifici progetti di ricerca e la
retribuzione dei ricercatori universitari diventerà pari al 70% di quella dei
professori associati a tempo pieno dopo un anno di servizio, anziché dopo tre.
Vorrei mettere
infine in evidenza un altro significativo dato, segnalato dal Consiglio
Istruzione: dal 2000 al 2003 il totale dei laureati in discipline scientifiche
(matematica, scienze e tecnologia) è cresciuto nel nostro Paese da 46.600 a
66.800, con un incremento di oltre 20 punti percentuali. L'incremento del dato
a livello comunitario è del 16%: questo obiettivo di Lisbona è stato dunque già
raggiunto in abbondante anticipo, dato che la percentuale europea attesa per il
2010 era un aumento di almeno il 15%. L'Italia, insieme con Slovacchia, Polonia
e Spagna, è tra i Paesi che hanno dato un maggiore contributo a questo dato,
mostrando una maggiore crescita (circa il 10% annuo).
In generale, quindi,
si può affermare che l'Italia - anche nel settore universitario - sta tenendo
fede agli impegni assunti in sede comunitaria e che, considerati i livelli di
partenza, sta ottenendo importanti risultati.
Ricerca
Per quanto riguarda
la ricerca, con le Linee Guida della Politica Scientifica e Tecnologica
approvate dal CIPE il 19 aprile 2002, e con il "Programma nazionale della
ricerca 2005-2007" è stata attivata una nuova strategia che conferisce agli
investimenti in ricerca scientifica una più marcata finalizzazione al rilancio
della competitività del Paese e delle nostre imprese, puntando sulla loro
capacità di fare innovazione. L'incremento della competitività rappresenta
infatti uno degli obiettivi di Lisbona ed è stata una delle missioni
fondamentali affidate dal Governo al sistema di ricerca scientifico italiano.
Uno dei più importanti fattori della competitività è rappresentato proprio
dall'innovazione, di cui l'attività di ricerca scientifica è una componente
fondamentale.
Sinteticamente gli
interventi del Ministero per la realizzazione di questa strategia sono stati
finalizzati a:
1. rafforzare la base
scientifica del Paese, sostenendone l'eccellenza, il merito, anche attraverso
la crescita e la valorizzazione del capitale umano;
2. potenziare il
livello tecnologico del sistema produttivo a sostegno della sua competitività;
3. sostenere la
partecipazione attiva e l'integrazione del sistema nazionale della ricerca nei
programmi dell'Unione Europea e promuovere attraverso specifici accordi una
forte internazionalizzazione del sistema scientifico italiano.
Relativamente
al primo obiettivo, si è proceduto ad una forte razionalizzazione del ruolo
degli Enti pubblici di ricerca. Sono stati oggetto di riforma il CNR, l'ASI,
l'INAF, l'Istituto per la Montagna e si è dato corso alla creazione di nuovi
enti quali l'Istituto Italiano di Tecnologia e l'Istituto nazionale di ricerca
metrologica. Questi enti, la cui attività spesso si sovrapponeva a quella delle
Università, dispongono oggi di una precisa missione, strettamente collegata ai
bisogni dei cittadini e alla necessità di promuovere il nostro sistema
produttivo.
A
supporto della nuova politica in tema di ricerca e sviluppo è stato lanciato,
attraverso il Fondo per gli Investimenti per la Ricerca di Base (Firb), un
primo set di Programmi Strategici di ricerca "mission oriented" per:
-
sostenere la competitività delle aree produttive esistenti, rivitalizzandole
attraverso una capillare diffusione delle tecnologie-chiave abilitanti
innovazione di prodotto, di processo e organizzative;
-
creare le condizioni favorevoli per lo sviluppo di settori industriali
high-tech concorrenti a diversificare nel medio-lungo periodo, il sistema
produttivo nazionale.
Con tali
interventi si è sviluppata e consolidata una rete di laboratori di eccellenza
pubblico-privato ad alta valenza internazionale. Sono stati attivati progetti
per oltre 450 milioni di euro. Questi interventi sono stati raccordati con gli
investimenti previsti dal PON Ricerca Mezzogiorno, al fine di favorire una
forte partecipazione a queste attività delle Università, degli Enti pubblici di
ricerca e delle imprese del Mezzogiorno.
Per
conseguire la seconda priorità sono stati individuati nuovi modelli operativi
tali da consentire alle grandi e alle piccole e medie imprese di collaborare su
un terreno di innovazione spinta, per raccogliere già nel breve periodo,
risultati mirati alla crescita delle economie locali a diverso grado di
sviluppo e con vocazioni produttive diversificate. A tale riguardo, per la
prima volta di concerto con le Regioni, gli Enti locali, le imprese, le
Università, gli Enti pubblici di ricerca e il sistema del venture-capital si è
provveduto al lancio di distretti tecnologici high-tech che hanno riscosso
grande interesse a livello europeo e internazionale (OCSE, USA, Israele,
Inghilterra, Giappone). Le iniziative fin qui realizzate riguardano attualmente
15 distretti dislocati praticamente in tutte regioni d'Italia.
Al fine
di accrescere l'efficacia degli interventi pubblici in tale nuovo contesto il
Miur e Sviluppo Italia hanno firmato un accordo-quadro per la realizzazione di
un programma di attività a sostegno dell'innovazione nelle imprese teso a
favorire, in particolare, l'interazione fra ricerca, promozione di nuove
tecnologie e crescita competitiva del territorio. In parallelo, si è operato
per sostenere la crescente domanda di ricerca espressa autonomamente dalle
imprese industriali.
Altri
obiettivi strategici sono quelli dell'internazionalizzazione, dello sviluppo
del capitale umano per la scienza, dell'intensificazione della collaborazione
tra sistema pubblico di ricerca e imprese, dell'incremento del livello
tecnologico del sistema produttivo, anche promuovendo 'spin off' e 'start up'
di nuove imprese ad alta tecnologia.
Sotto
questo aspetto desidero citare soltanto tre aspetti.
Incremento
della partecipazione del sistema scientifico italiano alle attività di
eccellenza in sede internazionale attraverso circa 80 accordi di cooperazione
con i paesi tecnologicamente più avanzati e quelli emergenti che prevedono una
reciprocità di finanziamenti e quindi un raddoppio dei fondi disponibili con
ricadute strutturali, scientifiche ed economiche nel nostro paese.
Sul piano
internazionale, abbiamo concluso numerosi accordi per il lancio di iniziative
di ricerca di comune interesse con gli USA, Israele, Cina, Giappone, India,
Regno Unito, Francia, Russia, Canada, Tunisia, Marocco, Egitto, Giordania,
Argentina, Turchia, Spagna e, proprio la settimana scorsa, con Emirati Arabi
Uniti, Pakistan e Qatar. Tali accordi sono incentrati sulla collaborazione
bilaterale e paritetica con le più importanti istituzioni di ricerca di questi
Paesi, con reciprocità di impegni sotto il profilo sia scientifico sia
finanziario, e sull'istituzione su base permanente di laboratori congiunti
(Joint-labs) su cui innestare programmi avanzati di formazione. Tale politica
consente per la prima volta di avere importanti ricadute tecnologiche ed
economiche nel nostro Paese, soprattutto sul fronte della ricerca industriale e
dell'internazionalizzazione della formazione universitaria.
Industrial
Liaison Office: le Università italiane aprono le porte al territorio e al mondo
produttivo.
Per la
prima volta 12 Università capofila e altre 30 partecipanti come partner hanno
avviato un'azione organica sostenuta da fondi statali ed europei, per un
finanziamento complessivo di circa sei milioni di euro. Con gli Industrial
liaison office (uffici per il trasferimento delle conoscenze dalle università
alle aziende), previsti dalla Programmazione del Sistema Universitario
2004-2005, alla quale è seguito l'Avviso del 18 maggio 2005, si aprono concrete
forme di collaborazione fra il sistema pubblico della ricerca e il sistema
industriale, superando vecchie barriere culturali che vedevano l'Italia
penalizzata rispetto ai Paesi più avanzati. L'Università ora diventa anche da
noi sempre più punto di riferimento per l'innovazione, rispondendo alle
esigenze non soltanto delle grandi imprese, ma soprattutto delle medie e
piccole imprese che hanno più necessità di un raccordo forte col mondo
universitario.
A questo
proposito, vorrei sottolineare che in Italia c'è una potenzialità di
utilizzazione della proprietà intellettuale ancora da sviluppare, anche se
grazie alla nuova politica della ricerca avviata dal Governo negli ultimi anni
si colgono i primi significativi risultati: ricordo per esempio che il numero
dei brevetti è aumentato del 47 per cento, dal 2001 ad oggi. Molti dei nostri
ricercatori, che, come dimostrano i dati di valutazione della ricerca,
ottengono risultati di grande qualità, devono potersi dedicare anche
all'utilizzazione della proprietà intellettuale e devono per questo essere
affiancati da chi li aiuta a trasformare le idee in prodotti e in innovazione.
Sono certa, che gli Industrial liaison office potranno diventare per loro una
nuova fondamentale opportunità, un punto di raccordo tra idee e innovazione
tecnologica, tra proprietà intellettuale e applicazione pratica nell'impresa.
Un
particolare aspetto riguarda le Università delle regioni dell'Obiettivo 1 del
Mezzogiorno. Tenuto conto che anche nell'ambito del Programma Operativo
Nazionale 2000/2006 "Ricerca Scientifica, Sviluppo Tecnologico, Alta
Formazione" per le Regioni dell'Obiettivo 1 sono previste specifiche linee
di azione dedicate alla realizzazione/potenziamento di Industrial liaison
office (azione c) della Misura II.1 "Rafforzamento del sistema scientifico
meridionale") e alla formazione di personale impegnato e/o da impegnare in
dette strutture (Misura III.1 "Miglioramento delle risorse umane nel
settore della ricerca e dello sviluppo tecnologico"), il Miur ha deciso di
potenziare l'intervento promosso da uno strumento ordinario mettendo a
disposizione risorse aggiuntive del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale
(Fesr), del Fondo Sociale Europeo (Fse) e Fondo di Rotazione (ex lege 183/87).
Questo al fine di consentire a tali Università di realizzare il proprio
progetto nel caso in cui, pur essendo i progetti valutati positivamente, non si
sarebbe potuto procedere al loro finanziamento per mancanza di risorse. Il
Ministero ha inteso così ottimizzare l'impatto auspicato con l'intervento in
termini non solo di ampliamento del numero di strutture universitarie dedicate
a promuovere e intensificare i rapporti tra sistema accademico e sistema
produttivo, ma anche di promozione e sostegno alla creazione/rafforzamento di
reti tra università, con conseguente trasferimento e fertilizzazione di
competenze ed esperienze maturate in contesti territoriali anche differenti tra
loro.
Concentrazione
delle risorse finanziarie - 1, 8 miliardi di euro - su 12 grandi progetti
strategici per l'industria nazionale da sviluppare in collaborazione con il
sistema pubblico.
Così come
previsto dal PNR, abbiamo destinato a carico del Fondo rotativo previsto dal DL
311/2004 1.100 milioni di euro per 12 programmi strategici in grado di
incrementare la competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali.
L'intervento che ci siamo proposti con questi progetti è finalizzato a far
convergere i migliori laboratori di ricerca pubblici e relativo stock di
ricercatori, tecnici ed infrastrutture, con attività di ricerca proposte da
gruppi di aziende nell'ambito di specifiche filiere di significativo interesse
per l'economia del Paese.
La
risposta del sistema produttivo, delle Università e degli Enti pubblici di
ricerca al bando del Miur, è stata superiore ad ogni aspettativa: le richieste
di finanziamento dei progetti verranno finanziate con un meccanismo di prestito
agevolato per i quali si prevede con rimborso da parte dei proponenti entro un
periodo massimo di dieci anni. Le richieste di finanziamento sono state di
oltre 10 miliardi di euro; si tratta di una somma superiore alla spesa
ufficiale annuale in ricerca di tutto il sistema industriale italiano.
E' una
dimostrazione evidente della disponibilità della nostra industria ad investire
in ricerca e della nuova attitudine delle nostre Università e degli Enti
pubblici di ricerca a collaborare con l'industria per lo sviluppo di programmi
di interesse strategico per il Paese.
Ritengo
di poter affermare che in questi cinque anni abbiamo lavorato, assieme alle
strutture del Ministero, assieme agli esperti e a tutti coloro che hanno
fornito il proprio prezioso contributo, avendo chiara la direzione di marcia
per far uscire la ricerca scientifica del Paese dalle carenze 'strutturali' che
l'hanno condizionata per anni.
Lungo
questo difficile ma entusiasmante percorso abbiamo incontrato spesso difficoltà
e ostruzionismi di tipo ideologico, insieme con veti e inefficienze legate a
vecchie tare consociative e geneticamente resistenti ad ogni tentativo di
riforma. Ma siamo andati avanti convinti dell'importanza che scuola, università
e ricerca rivestono per il rilancio del Sistema Italia, per la sua ricchezza di
valori e di cultura che garantisce sviluppo, benessere, equità, qualità della
vita, pace e democrazia, oggi più che mai legata alla conoscenza, al sapere,
alla competenza che ogni uomo ed ogni donna avranno saputo formare nel corso
dei propri studi e, successivamente, nel percorso di lavoro e nell'ambito
familiare.
Riflessioni
finali
L'Italia,
al pari di altri Paesi dell'Unione Europea, ha dovuto affrontare la crisi che
ha investito l'area dell'euro anche a seguito dell'ingresso nel mercato
mondiale della Cina e di altri Paesi asiatici emergenti.
Il
processo avviato nel marzo del 2000 dai Capi di Stato e di Governo ha quindi,
nel corso degli anni, subito in tutti i Paesi dell'Unione un forte
rallentamento. Il Consiglio europeo del giugno 2005 ha di conseguenza deciso un
rilancio della strategia di Lisbona, e i Paesi membri hanno adottato Piani
nazionali per la crescita e l'occupazione per dare concretezza all'impegno di
attuare le politiche comunitarie per attrarre investimenti, puntare sulla
formazione e l'innovazione, creare posti di lavoro.
In
Italia, il Piano è stato redatto da un Comitato tecnico al termine di un ampio
giro di consultazioni con diverse amministrazioni, parti sociali e enti locali,
e individua cinque obiettivi prioritari centrati su competitività e libera
iniziativa economica, formazione, ricerca e innovazione, realizzazione di
infrastrutture, tutela ambientale.
A
ulteriore conferma della centralità delle politiche educative e formative quale
fattore di sviluppo della coesione sociale e della crescita economica per tutti
i Paesi dell'Unione, i due terzi del piano riguardano le attività del Miur.
Considero la definizione del Piano italiano per la crescita e l'occupazione,
che gli addetti ai lavori chiamano PICO, una grande opportunità per proseguire
e rafforzare le azioni che abbiamo avviato in questi anni.
Nel
contribuire alla definizione del Piano ho puntato infatti su
·
azioni destinate a rafforzare l'innovazione nella ricerca, a
sostenere i distretti tecnologici per favorire l'evoluzione del modello dei
distretti industriali e a potenziarne il livello tecnologico attraverso un
forte coinvolgimento delle imprese con le università e gli enti pubblici di ricerca;
·
la prosecuzione delle attività di cooperazione scientifica
internazionale e sulla ulteriore realizzazione in appositi
"laboratori" di forti concentrazioni di competenze
scientifico-tecnologiche, di alto potenziale innovativo con la organica collaborazione
tra imprese industriali e mondo della ricerca pubblica;
·
il potenziamento dei programmi strategici per il rilancio
dell'industria italiana e per il potenziamento tecnologico delle imprese medie
e piccole.
Sul fronte del
capitale umano abbiamo inserito nel Piano per la crescita e l'occupazione
progetti destinati soprattutto a rafforzare i percorsi di istruzione e
formazione professionale, attraverso la creazione di poli tecnologici
formativi, e gli interventi destinati al lifelonglearning, comprese alcune
misure specifiche per l'educazione degli adulti.
Abbiamo inoltre
ritenuto opportuno potenziare il pacchetto di misure destinate all'Università,
finalizzate al sostegno delle lauree scientifiche, dei dottorati di ricerca e
dei poli di alta formazione scientifica, del sistema di orientamento e
tutorato. E abbiamo previsto infine un incremento del fondo per prestiti
fiduciari e degli interventi per il rientro dei "cervelli".
Grazie anche ad un
intenso lavoro di coordinamento del Ministro La Malfa, il Governo Berlusconi ha
deciso di ancorare il piano d'azione comunitario a scelte di politica
finanziaria, attraverso l'istituzione di uno specifico capitolo di spesa
dedicato a PICO, Piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione.
Mi auguro quindi che
il Ministero possa presto contare su finanziamenti aggiuntivi specificamente
dedicati alle future realizzazioni.
Sta ora al nuovo
Governo che uscirà dalle elezioni del 9 e 10 aprile proseguire su questa
strada, nell'interesse esclusivo dei giovani, delle famiglie, del Paese.
L'augurio che faccio all'Italia è, di conseguenza, che la "filiera della
conoscenza" continui a rimanere nell'agenda politica come prima priorità
per la crescita del Paese.
Grazie.